CAPITOLO 5 - seconda parte
CAPITOLO 5 - prima parte _____________________________ Back
«Siamo ora in condizione di raffrontare, nei reciproci rapporti, le tre tendenze di cui questo libro si occupa.
Nelle loro manifestazioni meno gravi, la necrofilia,1 il narcisismo e la fissazione incestuosa sono assai diverse l'una dall'altra, e molto spesso una persona può avere uno di questi orientamenti senza partecipare degli altri.
Anche nelle loro forme non maligne nessuno di questi orientamenti provoca una grave incapacità di ragionare e di amare, o dà vita ad una intensa distruttività.
Ma quando più maligni sono i tre orientamenti tanto più convergono. Prima di tutto c'è una stretta affinità tra fissazione incestuosa e narcisismo.
Fin tanto che l'individuo non si è completamente liberato dal grembo o dal seno materno, non è libero di avere rapporti con gli altri o di amare gli altri... Questo si può osservare più chiaramente laddove il narcisismo personale si è trasformato in narcisismo di gruppo. Lì troviamo molto chiaramente la fissazione incestuosa mista al narcisismo. È questa particolare commistione che spiega il potere e l'irrazionalità di ogni fanatismo nazionale, razziale, teoetotomistico* e politico. Nelle forme più arcaiche la simbiosi incestuosa e il narcisismo sono uniti dalla necrofilia. L'ansia di tornare nel grembo e al passato è, al tempo stesso, ansia di morte e di distruzione. Se le forme estreme di necrofilia, narcisismo e simbiosi incestuosa sono associate, si può parlare di una sindrome che io propongo di chiamare “sindrome di decadimento”.»2 Una sindrome diretta dunque verso la violenza, l'aggressività irrazionale, l'odio e la distruzione, la morte, tutti aspetti dove «... la persona con “sindrome di decadimento” diviene pienamente sé stessa.»3
E per ultimo Fromm sottolinea un'importante connessione: «La nostra analisi della necrofilia, del narcisismo e della fissazione incestuosa suggerisce una discussione sul punto di vista qui esposto in rapporto alla teoria freudiana... il pensiero di Freud era basato su uno schema evolutivo dello sviluppo della libido, dall'orientamento narcisistico a quello recettivo orale, aggressivo orale, sadico anale, a quello di carattere fallico e genitale.4
Secondo Freud il tipo più grave di malattia mentale era quello causato da una fissazione (o una regressione) ai primi livelli evolutivi della libido... Come conseguenza, per esempio, la regressione al livello ricettivo-orale sarebbe considerata una patologia più grave della repressione ai livello sadico-anale. Per mia esperienza, tuttavia questo principio generale non è emerso da fatti osservabili clinicamente. L'orientamento ricettivo-orale è in sé più vicino alla vita dell'orientamento anale; quindi, parlando in senso generale, l'orientamento anale si potrebbe dire che conduca ad una patologia più grave di quella recettivo-orale.
L'orientamento aggressivo-orale sembra condurre ad una patologia più grave di quella recettivo-orale, (più arcaica n.d.a.) perché implica un elemento di sadismo e distruttività.
Egli sottolinea le connessioni tra necrofilia e carattere sadico anale, il culto dell'ordine, della pulizia, dell'obbedienza.5
Come risultato, arriveremmo quasi all'inverso dello schema freudiano.
La patologia meno grave sarebbe quella connessa con l'orientamento ricettivo orale, seguito da una patologia più grave negli orientamenti aggressivo – orale e sadico – anale». E, concludendo «... Suggerisco pertanto di determinare la patologia non secondo la distinzione tra i vari livelli di sviluppo della libido, ma secondo il grado di regressione che può determinarsi entro ciascun orientamento (ricettivo-orale, aggressivo-orale, etc.).
Inoltre si deve tener presente che abbiamo a che fare non solo con l'orientamento che Freud vede come radicato nelle rispettive zone erogene (modi di assimilazione), ma anche con forme di relazioni personali (mediati dal contesto socio culturale n.d.a.) (come amore, distruttività, sado-masochismo) che hanno determinato affinità con i vari modi di assimilazione. Così, infatti, c'è un'affinità tra l'orientamento ricettivo – orale e quello incestuoso, tra quello anale e quello distruttivo...
Nel caso dell'affinità tra necrofilia e inclinazione anale, questa correlazione è stata già mostrata dettagliatamente... essa esiste tra biofilia e “carattere genitale” e tra fissazione incestuosa e carattere orale... ciascuno dei tre orientamenti qui descritti può verificarsi a vari livelli di regressione. Tanto più profonda è la regressione in ciascun orientamento, tanto più questi tre tendono a convergere. Nello stadio di regressione estrema essi concorrono a formare ciò che ho chiamato la “sindrome di decadimento”... l'opposto della necrofilia è la biofilia; l'opposto del narcisismo è l'amore; l'opposto della simbiosi incestuosa sono l'indipendenza e la libertà. Definisco la sindrome di questi tre atteggiamenti “sindrome di crescita”.»6
L'analisi e le conclusioni di Fromm sono estremamente chiare ed esplicative: un contributo preziosissimo per la presente teoria. Esse infatti mettono in evidenza le relazioni ed i contributi alla formazione della personalità di due opposte strutture socio culturali, di due antitetiche disposizioni del contesto in cui avviene lo sviluppo del soggetto: una, imperniata su fissazioni incestuose e sulle particolari regressioni alla fase sadico-anale, rivolta verso una caratterizzazione «necrofila» dell'individuo. L'altra, dovuta ad un superamento, una risoluzione delle eventuali spinte incestuose in direzione dell'integrità e della cosciente autogestione etica, della libertà dell'individuo ed ad una caratterizzazione pienamente genitale – evidenza di un sviluppo, in particolare nell'infanzia, alieno da atteggiamenti repressivi, sessuo repressivi – che denuncia un orientamento di fondo «biofilo».
Ebbene, si può qui osservare la veridicità di quanto promesso all'inizio di questo capitolo. Non resta infatti che collocare questi contenuti nella classificazione filosofica sostenuta sinora tra teoetotomie e religioni, tra società patriarcali, autoritaristiche sessuo repressive, classiste e le società religiose, democratiche ed egalitarie, aclassiste; tra l' Homo s. s. religiosus e l' Homo s. s. teoetotomisticus, tra la «lieta novella» evangelica e le altre metafisiche teoetotomistiche, di origine antropica. Una collocazione questa quanto meno agevole, immediata ed efficace che gode di notevoli agganci anche antropologici, il che si presta anche per cogliere interessanti dettagli.
Si è visto ad esempio che in tutte le società umane conosciute esistono prescrizioni e tabù a sfondo sessuale nei confronti dell'incesto. Ebbene, questi tabù si «sovrappongono ed intersecano» ad una dotazione «organica» dell'uomo che sembra finalizzata a dissuadere manifestazioni sessuali tra fratelli od individui cresciuti in ambienti famigliari e parentali comuni, come testimonia tutta una serie di evidenze tratte dallo studio di gemelli e di soggetti nati in ambienti condivisi come ad esempio nei Kibbutz istraeliani.
Tabù sessuali contro l'incesto di origine culturale sono comunque presenti nelle varie società conosciute e questo vale anche per le società teoetotomistiche; eppure in questi ultimi contesti i tabù hanno perso la loro specifica ragion d'essere. In tali società infatti questi tabù sussistono in modo palesemente contraddittorio a fianco di un'etica sociale per contro risulta imperniata proprio sull'istituzionalizzazione di atteggiamenti incestuosi, su una prassi educativa rivolta più che sulla polarità «biofila», sull'opposta polarità «necrofila» e su un'etica sessuo affettiva chiaramente distorta in tal senso: perfettamente «adultera».
Il tabù culturale contro l'incesto rappresenta invece uno degli strumenti di difesa dell'originaria società aclassista ed egalitaria nei confronti delle spinte centripete che proprio l'affermazione di un'etica autoritaristico patriarcale, classista costituirebbe per la prima. Un atteggiamento socio culturale che non costituisce una difesa inconscia dell'essere uomo, dell'animale uomo, inavvertitamente strutturatasi a seguito dei contenuti teratologici, dei negativi aspetti fisiologici e genetici derivanti da unioni incestuose o da pratiche endogamiche, quanto una difesa della società egalitaria contro l'irruzione autoritaristica, le recessioni psico sociologiche che si celano dietro il mantenimento dei legami incestuosi.7 Un vestigio dunque sopravvissuto – benché distorto – alla profonda trasformazione che condusse all'emersione delle teoetotomie e che costituisce un importante elemento di convalida dell'attuale ricostruzione degli eventi che portarono a questa decisiva rivoluzione nella storia dell'uomo.
Tutto quanto detto, in conclusione, delinea ampiamente i termini del problema dell'opposizione di Gesù all'«adulterio». Un'opposizione, pienamente comprensibile e verificabile, che disgrega l'alone misterico di «peccaminosità» della sessualità umana, la quale assume invece il valore di una delle più alte manifestazioni della natura umana, polo centrale del nostro essere mondano, ed indica motivi tangibili per prediligere un approccio «non adultero» alla stessa, il significato sociale e culturale profondo di quest'ultimo. Nelle affermazioni di Gesù sulla sessualità, sul matrimonio, emerge potente e netta l'opposizione dello stesso contro l'etica teoetotomistica, autoritaristica e patriarcale; opposizione che argutamente Freud colse accennando alla trilogia del mito greco di Edipo – e che Fromm ha esteso con altrettanta efficacia ed acume.8
In questo ambito è da cogliere la particolarità del dissenso di Gesù verso quel nucleo parentale che rappresenta la base fondamentale di tali edifici sociali date sia le implicazioni relative alla genesi della personalità, che per le conseguenze di natura prettamente socio economica, politica per la castrante, alienante, realtà esistenziale che da ciò poteva emergere.
Egli aveva compreso la funzione catalitica di tale fattore nella determinazione degli archetipi che informano queste società autoritaristico sessuo repressive, la loro prassi socio economica, la possibilità che ciò potesse essere opportunamente ed inconsapevolmente manipolato dalle classi al potere. Tutte dinamiche psico filosofiche di cui è possibile cogliere inquietanti convergenze archetipiche nelle venature masochistiche e le proiezioni incestuose di quei paralleli «Stato-padre», «Patria-madre», «Cittadini-figli» così spesso proclamati nelle adunate e nelle piazze alla vigilia dei più sinistri ed orribili eventi della storia. E si colleghi quest'aspetto con quanto detto precedentemente in relazione ai movimenti politici atei ed al loro uso – contraddittorio, ma ora esplicitamente chiaro – di tutto questo armamentario soteriologico escatologico.
Ecco dunque il significato recondito delle mobilitazioni irrazionali, violentemente aggressive, mediante le quali lo stato «padre» ed i cittadini «figli», riuniti sotto il controllo delle classi dominanti, possono accanirsi politicamente ed economicamente, nonché militarmente, per il sostegno, la difesa di ciò a cui anelitano: il possesso esclusivo, «sacro» della patria «madre», della terra «madre», all'ombra dello «Stato/Teocrazia-padre», del «Condottiero/Leader-padre». Tutti aspetti questi che in questi tempi vediamo – seppur con modalità tipiche di altre teoetotomie – rappresentare un bacino di violenza, di condizionamento e di terrore internazionale assolutamente inedito nella sua estensione.
Ecco le trasposizioni socio politiche inconsce delle individuali unioni incestuose, trasposizioni recondite ma esiziali per la libertà umana, che Gesù, nel suo tentativo di indicare all'uomo il suo «Regno dei Cieli», non poteva che denunciare, contrastare, sino al suo estremo sacrificio. Un proposito che egli pose in atto, comunque, con estrema circospezione e prudenza, senza mai fare affermazioni esplicite ma dando a ciascuno, a chi avesse «orecchie per intendere», gli elementi necessari per giungere a tali conclusioni.
Dunque abbiamo il movente… ed il colpevole. A questo punto... dobbiamo chiudere il caso.
Vediamo ad esempio la chiave di lettura delle sue affermazioni sul matrimonio, successive a quella appena analizzata di Mt 5, 27-28, la quale contiene la soluzione completa dell'enigma.
In Mt 19, 1-12 – più avanti ci si rivolgerà anche di Mt 5, 31-32 – c'è una delle più complete sequele di Gesù sul matrimonio. Alla domanda sulla legittimità per l'uomo di rimandare, ripudiare la «propria donna» per qualsiasi motivo – si noti il principio maschilista che trasuda dalla domanda – Gesù risponde:
(Mt 19, 4) «Non avete letto che il Creatore da principio li creò e disse:
( " ", 5) per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due saranno una carne sola? (Gn 2, 24)
( " ", 6) Cosicché non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto l'uomo non lo divida».
Qui c'è tutto il necessario. La teologia ortodossa ha colto nell'espressione «... una carne sola...» l'analogia più scontata, per la «loro» concezione incestuosa di amore, con la «cosa sola» che abbiamo già rappresentato come situazione incestuosa, così drammaticamente quanto inconsistentemente intesa come intima, naturale ed ovvia unione tra uomo e donna, trovando conferma ed enfatizzazione, addirittura sacralizzazione alle scellerate idee radicate nella loro cultura, ovviamente teoetotomistica. Una deduzione del tutto opinabile. La realtà descritta qui è solo quella relativa alla normalissima, naturale dinamica della procreazione, della formazione di un nuovo individuo – «... una carne sola…» – per mezzo dell'unione sessuale di due esseri viventi. È di una semplicità sconcertante. Eppure si è travisato anche in questo punto.
Il senso della frase è semplice, forse troppo semplice per le contorte menti di certi teologi. I due unendosi, diventano una carne sola: una nuova persona: il loro figlio o la loro figlia. È dinamica della natura questa, biologia umana: genetica pura! I due individui andranno a formare il nuovo individuo che si originerà dallo zigote, prodotto dell'unione di due cellule sessuali, dove i due corredi genetici si fonderanno a formare la realtà genetica nuova, inedita, di un nuovo essere vivente, di un nuovo «teleologico».9
Un evento mediante il quale ogni cellula del futuro corpo, base inscindibile della sua individualità biologica, risulta formata dall'intima unione plasmatica e genica dei suoi genitori. Un nuovo essere integro, unico: una nuova individualità ontologica fisiologicamente e psichicamente completa: «una carne sola».
Ma c'è di più. Il versetto (Mt 19, 6) «... non divida l'uomo ciò che Dio ha unito» è stato inteso nello stesso contesto interpretativo come sacro sigillo, divino riconoscimento della base sacramentale del matrimonio e nello stesso tempo affermazione ineccepibile dell'indissolubilità dello stesso. Ebbene: il significato è diverso anche in questo frangente. Per visualizzare meglio l'alternativa che si sta proponendo ci si aiuterà con delle figure. Con la figura successiva si rappresenta con un trattino teso tra i cerchietti che raffigurano i due sposi – genitori –, l'inscindibile legame teorizzato dall'esegesi classica.
L'ellisse tratteggiata che circonda il tutto rappresenta quella «cosa sola» che, secondo tale esegesi, rappresenterebbe la «... carne sola» di Mt 19,5-6. Qualcosa, lo si vede immediatamente, di estremamente irreale, infondato, posticcio. L'obiezione, spontanea: «come possono due persone distinte, due “carni” separate divenire “una carne sola”, nel senso suddetto dell'unione matrimoniale dell'esegesi ortodossa?» viene elusa col ricorso al carattere di «mistero sovrannaturale» dell'istituto stesso del matrimonio: una risposta rabberciata, una riarrangiatura necessaria, tutt'al più, a far quadrare ciò che non quadra... e non si conosce affatto. Come spiegare, in tale evenienza, proprio Mt 5, 27-28, nei contenuti che abbiano contestato precedentemente? Una spiegazione, quella qui esposta, che non fila, non calza assolutamente! Esiste un'alternativa. Ricorreremo anche qui a delle figure. La figura successiva riporta questa alternativa:
In questa figura il «legame» del versetto Mt 19, 6 è rappresentato dai tratti che uniscono i genitori A e B alla prole C. Questa nuova concezione è perfettamente proponibile nell'ambito evangelico, risponde, come vedremo, alle esigenze che derivano dalla presente interpretazione, è pienamente combaciante con le dinamiche naturali, evita – e questo è decisivo – la formazione della famiglia patriarcale... ed è perfettamente in accordo con l'interpretazione qui sviluppata per Mt 5, 27-28. E non è tutto. Proviamo a confrontare le figure A e B:
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Nella figura B i genitori A e B sono uniti «indirettamente» tramite l'esistenza di C; nella figura A tale legame sarebbe di natura sovrannaturale. Ma non si ha alcun concreto elemento per sostenere questo; nel caso B... sì. Concreto, quotidianamente verificabile. La differenza è netta ed immediata. E questa differenza risolve ed esaurisce tutto.
Il passo biblico esposto in Mt 19, 5 afferma «semplicemente», e non poteva essere altrimenti, che un giorno il figlio, la figlia, romperanno i cordoni che li legavano ai genitori, si emanciperanno totalmente da costoro, recideranno i legami primari, rifuggendo ogni istanza incestuosa, al fine di raggiungere la loro meta di «Uomo» o di «Donna», la loro indipendenza e la loro integrità per... «Amare», coronare così il loro sviluppo e l'«Amore» che li aveva generati tempo addietro. Questo epilogo rappresenta la coronazione del suo sviluppo ontologico e dell'«Amore» profuso dai suoi genitori. Ostacolando tale epilogo tutto ciò verrebbe inevitabilmente mancato e vanificato.
Nella figura A l'abnorme persistenza dell'istanza incestuosa nel reciproco nuovo legame sessuo/affettivo porta a conclusioni nettamente diverse: i ruoli di A e B vengono cristallizzati in una «monade», impossibile, l'istituto del matrimonio, generando una realtà dove quest'unità incestuosa ed i suoi presupposti psicologici segnano pesantemente il tessuto sociale.
Ma, ancor più, tale cristallizzazione, con i suoi contenuti assoluti, con la sua sacralità, cristallizza identicamente la collocazione dei «figli» nei confronti del «padre» e della «madre», in special modo nel contesto sociale agganciato a questo modello famigliare. Il figlio potrà solo cercare di ricostruire una nuova monade incestuosa per poter essere a sua volta «padre» e «madre» ma resteràpsicologicamente sempre e comunque «figlio», senza raggiungere mai questa sua meta estrema (Vedi anche Mt 8, 21-22). Il modello famigliare della figura A dunque condurrà ad una cristallizzazione irreversibile, mediata da fattori sociali, delle figure coinvolte in esso; ciò si ripeterà, annidandosi continuamente in monadi tra loro concatenate, conducendo da un lato all'incepparsi della funzione principale della famiglia umana ed allo sdoppiamento delle personalità dei singoli individui «figli» in un contesto, «padri», «madri» in un altro, in un'infinita teoria di ricorrenti legami incestuosi, in cui sempre e comunque un «padre», una «madre», sono quasi condannati a non poter essere mai più che... «un figlio e di una figlia che generano altri figli e figlie». Questo e solo questo è possibile da ottenere in questi contesti, nulla più.
Ma «questo» non è il «sano epilogo» della Famiglia Umana: questo è solo quel che occorre per ottenere potere sulle masse e giù di lì. Infatti solo una massa di «figli» e «figlie» può inchinarsi davanti ad un «figlio» o «figlia» che, sull'onda di visioni ed ideali spacciati per espressione di superiori disegni del destino, ma in realtà vere e proprie sindromi psicopatiche o psicopatologie variamente procedenti da un superamento infelice di dinamiche edipiche, giungano a delinearsi in cervellotici e psicopatici profili di «guide del popolo, padri e madri», «unti del signore» nel corso di eventi sociali e storici... indifferentemente destinati a trasformarsi in immense tragedie.
Solo una pavida massa di «figli» e «figlie» può inchinarsi, rimettere le proprie scelte a chi si presenta loro quali incarnazioni di volontà sovrannaturali, espressioni mondane di capacità e mete superiori, che trascendano le singole coscienze. Solo una massa di «figli» e «figlie» può restare muta e confusa davanti a ideali che nel loro interno, proprio in quanto «figli» e «figlie», possono condividere. Solo questi «figli» e «figlie» sono nell'impossibilità di riconoscere il fetore, l'inganno, l'ideologia, e le psicopatologie che si celano al di sotto dei monumenti, della demagogia, della prassi di certe guide, e di ignorare l'orrore della perdita della libertà e della dignità di «Uomo» e di «Donna» perpetrata da certi sistemi.
Un «Adulto», un «Uomo» ed una «Donna» sono immediatamente capaci di afferrare questo travisamento, di riconoscere il re nudo ed opporsi . E questo ogni re nudo lo sa... e lo teme.
Il «sano epilogo» della Famiglia Umana dunque non può essere assolutamente rappresentato da questo inadeguato modello. È invece perfettamente riscontrabile nella figura B, dalla quale può derivare l'unico epilogo capace di rompere le catene dei precedenti, inadeguati rapporti matrimoniali: la rottura del legame tra il «figlio», o la «figlia» con i propri «genitori», fatto questo che rappresenta il termine irrinunciabile dello sviluppo dell'individuo verso la sua fase «adulta» per eccellenza, dal quale non è possibile prescindere pena l'«incepparsi» della Famiglia stessa, della sua funzione di generare «Uomini» e «Donne».
Tale epilogo è presentato nella figura D, dove si vede come il «figlio», o la «figlia», rompendo proprio tali legami, raggiunge infine lo stesso «rango», lo stesso «livello adulto» dei genitori, «Uomo» e «Donna», divenendo finalmente anche loro adulti: «Uomini» e «Donne»:
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Il fine dell'unione tra un «Uomo» ed una «Donna» infatti non è quello di «fare figli, altri figli», ma «generare Uomini e Donne». E questo può avvenire solo «dopo» che un «figlio» od una «figlia» siano a loro volta divenuti «Adulti», «Uomo» e «Donna». Mai prima!
Ecco dunque la differenza devastante. Gesù non si interessa delle singole modalità di unione tra esseri viventi, di condurre l'uomo ad evitare l'«adulterio» al fine di una misteriosa soteriologia individuale, della sedicente necessità di salvare la propria anima, di sfuggire il misterioso peccato che può essere compiuto tramite una «disordinata» l'attività sessuale, come spesso si sente dire.
Gesù cerca solo di perorare una «Famiglia» diversa. Non quella degli «eternamente figli» ma quella degli «adulti», degli «Uomini» e delle «Donne». Egli ha solo indicato la differenza tra il matrimonio così come lo intendevano nella società teoetotomistica ebraica – e come lo si intende ancor oggi nelle odierne teoetotomie o sistemi fondati su analoghi principi – ed una nuova accezione di «Amore adulto ». Il matrimonio comune anzi è una vera e propria «adulterazione» della Famiglia. In esso «figli» originano altri «figli», in un'incessante, eterna ma inadeguata ripetizione di un risultato parziale, incompleto, «adulterato». Nella Famiglia teorizzata da Gesù, invece «adulti» generano altri «adulti». Punto.
La differenza, devastante, è tutta qui. Nessun magico degrado di «santità», nessun «adulterio» spirituale, nessun degrado sovrannaturale o spirituale, nulla di questo ciarpame, di questo «imparaticcio di usi umani», ma solo un deleterio incepparsi dello strumento in cui l'«Uomo che si unisce ad una Donna» origina altri «Uomini e Donne».
Alla luce di questa netta e differente lettura, tutta una serie di misteri e di emerite confusioni in relazione ai brani che trattano del matrimonio svaniscono prodigiosamente. Ed acquistano ben più completo significato tanti aspetti secondari e contenuti collaterali, dando profondo significato a questa nuova accezione.
Di un problema così delicato e naturale Gesù si limita solo ad affermare la necessità essenziale di seguire le sviluppo del figlio/a, l'estrema importanza dei genitori a far sì che esso non si areni in regressioni incestuose.
Il versetto Mt 19, 6 ha il significato di una raccomandazione in merito all'estrema delicatezza del ruolo dei genitori nei confronti dei figli, una raccomandazione valida, e quanto mai necessaria in una società dove era costume separare irrimediabilmente dai figli le madri, con l'uso del «rimandare» la stessa, per ogni vezzo o capriccio, alla propria famiglia, di ripudiarla; un costume invalso tutt'oggi quando esigenze altrettanto irrazionali ed incestuose di «padri» e «madri» vengono spesso, troppo facilmente preposte a quelle dei figli. Gesù infatti non si occupa della «coppia» in tali brani – lo aveva già fatto in Mt 5, 27-28 – ma dello sviluppo dei figli e del ruolo formativo e sociale della coppia famigliare: con molto tatto.
Egli affermò che quest'ultima non si forma per contratto, per convenienza, per necessità incestuose degli individui ma quando, per amore tra un «Uomo» ed una «Donna», va ad originarsi l'intera costellazione della figura B; una costellazione che si esaurisce – e deve esaurirsi! – quando il «figlio», o la «figlia», diventa «Uomo», o «Donna», come i suoi genitori.
Nulla dice degli affetti, dei legami e dei rapporti reciproci tra queste figure paritetiche, dell'amore, dell'affetto che è esistito tra loro. Non per indifferenza: ma per «rispetto della loro dignità e libertà», qualcosa che... molti pii legislatori hanno palesemente ignorato per secoli. Lascia a ciascuno immaginare la riconoscenza del figlio diventato adulto, la soddisfazione dei genitori di esser riusciti a far emergere un «Uomo» dall'indifeso batuffolo di ciccia del loro piccolo, una «Donna» da quel «cucciolo» col ciuccio in bocca, «con le gambine storte».
Nulla dice delle particolarità socio economiche in cui tali triadi elementari si verificheranno e ripeteranno, delle particolari modalità eventualmente poliandriche o poliginiche oltre che semplicemente nucleari, nelle quali tutto ciò si verificherà: tutte particolarità discretamente rimesse ai soli genitori, alla loro sensibilità, ai costumi delle loro culture.
Possiamo quindi a sottolineare le differenze più essenziali tra l'istituto comune del matrimonio – ci si riferisce a quello nucleare delle nostre società moderne e la famiglia nucleare «naturale» che emerge dalla presente interpretazione di questi brani:
Matrimonio istituzionalizzato ( Fam. patriarcale ) |
Famiglia religiosa |
Indissolubile |
Dissolubile |
Fondata su un rapporto incestuoso tra i due membri che costituiscono una “monade” psichico sociale |
Fondata sull'amore tra un Uomo ed una Donna e sul concepimento di un essere umano |
Istituzione nucleare |
Struttura nucleare differenziata in contesti socio famigliari indefiniti |
Con cristallizzazione gerarchica, di figure e ruoli staticamente definiti da contenuti simbiotici incestuosi e sado masochistici |
Dinamica, con evoluzione psichica, delle figure e dei ruoli della costellazione verso un epilogo paritetico. Aliena da contenuti incestuosi e sado masochistici |
Base di una società patriarcale au-toritaristico repressiva teoetotomi-stica |
Base di una società religiosa, egalitaria, non sessuo repressiva. |
Suscettibile all'attuazione di realtà socio culturali rivolte ad una qual-sivoglia supremazia autoritaristica (maschilistica o matriarcale) |
Assolutamente paritetica |
Incapace di portare al raggiungi-mento della fase adulta i membri «figli» |
In grado di condurre alla fase adulta i membri «figli» |
Tabella 1
Attenzione ora! Entrambe queste strutture sono state desunte dall'analisi degli «stessi brani evangelici»: la struttura del matrimonio è stata, ed è tuttora, base di una società teoetotomistica autoritaristico sessuo repressiva. L'altra punta, per contro, all'affermazione di un'etica «biofila», all'affermazione della libertà, dell'indipendenza etica di ciascun essere umano, della sua valenza mondana e sovrannaturale.
Nella prima, un'etica sessuo repressiva favorisce da un lato una determinazione statisticamente rilevante a livello sociale di regressioni sadico anali e, successivamente, tramite l'attivazione delle dinamiche edipiche, causa lo sviluppo di un Super-Io ipertrofico; conseguentemente a ciò si produce una diffusa rilevanza di caratterizzazioni «necrofile», di «sindromi incestuose» che si vanno ad esprimere proprio nell'ambito dell'istituzione matrimoniale, ove tutta la dinamica inevitabilmente si ripete di nuovo.
Nella seconda, un'etica non repressiva conduce ad un completo esaurimento delle espressioni della libido – culminante nella fase «genitale» indicata da Freud –, e la presenza di strutture nucleari famigliari non autoritaristiche permette una strutturazione della personalità binaria, dove non si esprime alcuna contrapposizione tra l'Io e l'Es, ove ottenere il mancato sviluppo del Super-Io. Dalla mancata espressione e delle dinamiche edipiche e del periodo di latenza deriva dunque uno sviluppo psico sessuale distinto, tale da condurre alla risoluzione piena della costellazione nucleare famigliare quando il «figlio» approda alla fase adulta divenendo «Uomo» o «Donna». Mentre la prima dinamica esprime dunque quel atteggiamento necrofilo, menzionando Fromm, rivolto ad una «sindrome di decadimento», nella seconda modalità socio culturale si attua di un orientamento di fondo diretto, sempre nella terminologia di Fromm, ad un «sindrome di crescita». Una differenziazione innegabile, che risolve le motivazioni, la problematica della sessualità, delle espressioni psico sessuali dell'essere umano.
Il confronto epistemologico che si è da sempre invocato tra le due interpretazioni di uno stesso testo, dello stesso testo non di apocrifi od altro,10 è dunque sul tappeto, con tutti gli elementi di valutazione bene in evidenza.
Un unico, identico testo, due conclusioni radicalmente opposte.
L'una che predica un sedicente «istituto matrimoniale sacro, non adultero» nella contrizione e nel pieno contesto di un atteggiamento peccaminoso sessuo repressivo. L'altra che propone un concetto di «Amore».
La prima incapace di esser fondata su null'altro che una fede incapace di corroborare razionalmente le sue affermazioni, la seconda che si basa addirittura sulle risultanze di discipline e valutazioni laiche di tipo scientifico. Ecco dunque l'assillo della questione: una delle due «deve necessariamente» essere sbagliata. Quale? E con quali strumenti decidere tra di esse? Con strumenti epistemologici oggettivi, evidenze concrete, dunque basandosi su condivisi aspetti logico epistemologici… o affidando il tutto ad una contingente tradizione, esprimendo una subordinazione di giudizio a qualche istituzione o pomposa commissione ecclesiastica? A voi la risposta...
Il piatto è servito. Come si vede… il gioco valeva davvero la candela.
A queste punto possiamo passare oltre.
Prendiamo allora Mt 19, 11-12. In questi brani troviamo un'altra affermazione su cui sono sorte gravi incomprensioni. Queste parole di Gesù infatti, sono state prese come un invito alla castità, alla vita monastico sacerdotale, rivolto a quell'eletto manipolo di spiriti «ai quali è dato» comprendere.11
È inutile ripercorrere lo sviluppo delle pratiche ascetiche, sacerdotali, nel novero delle culture umane, dalle figure degli stregoni, dei ministri dei culti tribali agli attuali sacerdoti, dalla prostituzione sacra agli attuali ordini femminili di clausura.12
Esporremo ora la tesi cattolica riguardo l'esegesi di tale brano.13
Ci sarebbero tre classi di «eunuchi»:
1) quelli tali sin dalla nascita, che devono questa loro condizione ad imperfezioni genetiche;
2) quelli poi ridotti a tale stato con la forza: il riferimento più ovvio – e banale – è dato dai sorveglianti evirati degli harem orientali.
3) Infine quelli che si «evirano» simbolicamente, volontariamente, accogliendo un'ideale di castità sessuale in vista del «Regno dei Cieli», per seguire nel particolare cammino del sacerdozio l'opera redentiva di Gesù e contribuire, con questo stoico sacrificio, alla salvezza ecumenica dell'uomo, divenendo strumento «eletto» del Signore, della sua volontà. Un'evirazione simbolica dunque che rappresenterebbe la rinuncia spontanea, «gioiosa» (???) e perpetua della propria sessualità. Una «grazia» addirittura, così è intesa nel pensiero cattolico, concessa dal Signore ai suoi «eletti»: la vocazione.
C'e' da dire che tale condizione di celibato rappresenta, nella scala di valori del cattolicesimo, la più alta vetta spirituale dell'uomo, senza sminuire i contenuti dell'istituto del matrimonio: un dono della propria sessualità, della propria vita mondana a Dio, meta sublime di sacerdoti e monache.14 Questa tesi sarebbe corroborata innanzi tutto dalle caste, ascetiche figure di Gesù e Maria, sua madre.
Quest'ultima avrebbe rifiutato «spontaneamente» per tutta la vita la propria sessualità, mentre Gesù espresse la sua castità rifuggendo ogni contatto carnale nella sua esistenza terrena. Due esempi emblematici dunque della sacralità e superiorità dell'ideale ascetico e, nel contempo, dimostrazione esplicita della fondatezza dell'uguaglianza sesso = peccato. Questo in sintesi.
La nostra esegesi, per contro, è fondamentalmente distinta, e solo per la prima classe di eunuchi corrisponde con la precedente esegesi.
Cambiano le considerazioni delle altre due classi.
La seconda classe di eunuchi, quelli «... resi tali dagli uomini», non è composta dai classici sorveglianti degli harem, fisicamente evirati dagli uomini, quanto da quella schiera di individui che, caduti nel condizionamento delle strutture teoetotomistiche, da intendere quali abnormi e sinistre «opere» dell'uomo, e resi succubi dell'influenza di un'etica sessuo repressiva che identifica la sessualità come veicolo di «corruzione» della natura umana, sono coinvolti in una deformazione della sessualità, un'ulteriore adulterazione della stessa che conduce, infine proprio a quelle «caste ed ascetiche» figure di sacerdoti, di monache, di quegli individui «eletti» del Dio teoetotomistico. Tutte figure riscontrabili nelle teoetotomie conosciute, quanto inutili nel «Regno dei Cieli». A queste figure invece Gesù contrappone la terza classe di eunuchi.
Ma questa classe non è costituita da ascetiche figure sacerdotali, bensì da «Uomini» e «Donne» in grado di vivere la loro sessualità in modo «non adultero», non incestuoso, né in un senso né nell'altro, quanto naturale: in armonia, razionalmente e sentimentalmente, nell'equilibrio proprio dell'Amore, nel contesto di quella cultura «nuova» del «Regno dei Cieli». Una differenza abissale. L'ideale ascetico cattolico propugna la superiorità di una castità assoluta, contemplante inevitabilmente una repressione «perfetta» della sessualità, una sua «serena» involuzione.
Ecco dunque l'obiettivo del sacerdote, del frate, della novizia, della monaca di clausura che, dedicando ogni oncia della loro esistenza alla preghiera, alla contrizione, all'auto mortificazione, reprimendo le più conturbanti pulsioni, i più incontrollabili sentimenti, castrandosi interiormente per un ideale «sublime di servizio e santità», pongono in realtà inconsciamente in essere, come si è detto, solo delle mere regressioni sado-masochistiche, delle sublimazioni di fissazioni incestuose. Tutto ciò deriva esclusivamente dall'aver nebulosamente identificato il sesso con il peccato, e ritornando al Genesi, dell'aver assunto, interiorizzato «la conoscenza del bene e del male».
Si noti, a tal pro, come in Gn. 3, 8-11 uno dei primi effetti indicati dall'agiografo, come conseguenza della «manducazione del frutto proibito» sia proprio un atteggiamento scandalistico, pudico, fatto di vergogna nei confronti del sesso: un fatto estremamente indicativo, da porre in ovvia relazione alle nostre conclusioni in merito ai caratteri sessuo repressivi dei modelli teoetotomistici alla loro propensione ad attuare il complesso della «supremazia maschile», fondata sull'autoritarismo maschile, forza, dominio, controllo, aggressione, competizione, subordinazione della donna etc. Tutti aspetti inevitabilmente riconducibili, come insegna la psicoanalisi, proprio all'influsso dell'esteso, diffuso atteggiamento sessuo repressivo della realtà culturale in cui viene a collocarsi l'individuo.15
Nell'ambito di queste considerazioni risulta estremamente interessante ed indicativa anche l'affermazione di Gn 3, 16 ove, nel commentare le conseguenze della «caduta» dei protoparenti, Jahweh-Elohim così si rivolge ad Eva: «Farò numerose assai le tue sofferenze e le tue gravidanze, con doglie dovrai partorire figliuoli. E verso tuo marito ti spingerà la tua passione, ma lui vorrà dominare te».
Quest'affermazione assume, alla luce delle attuali considerazioni, un'esplicita conferma degli stretti nessi esistenti tra una metafisica dualistico teoetotomistica e specifiche degenerazioni psico ontologiche, una percezione essenzialmente negativa della sessualità che sfocia inevitabilmente nella castrante, sinistra equazione sesso = peccato e nella supremazia maschilistica.
Contenuti questi assolutamente inconcepibili in una concezione religiosa, foriera della percezione di una natura fondamentalmente incorrotta dell'uomo, della sua «inevitabile» santità, del nostro «essere déi», in perfetto rapporto di amore con gli altri e con Dio. L'eunuco del «Regno dei Cieli» non rifiuta né reprime la sua sessualità, ma la vive, non adulterata, naturalmente. Gesù ignora la castità: non rifiuta il sesso, ma propone un'alternativa, una modalità distinta, estremamente naturale e gratificante, di espressione sessuo affettiva.
Le figure di Maria e di Gesù che emergono dai Vangeli non corroborano necessariamente l'ideale ascetico cattolico. Mentre per Maria gli stessi non affermano alcunché riguardo «ventilati» propositi di eterna castità, come si è avuto modo di vedere, la «castità» di Gesù che, per difetto si potrebbe evincere dagli stessi, è in realtà ben diversamente quanto realisticamente intendibile.
Prima di tutto nulla si sa dei rapporti interpersonali di Gesù. Sul fatto poi che egli non abbia avuto contatti «carnali» con alcuna donna, che non abbia costituito un nucleo famigliare, le motivazioni adducibili possono essere ben diverse, alla luce dell'attuale interpretazione, di quelle canoniche. Per primo la sua avversione all'istituto del matrimonio ed all'etica incestuosa che è alla base dello stesso, in perfetta, profonda coerenza con i contenuti del suo messaggio dunque che non poteva sconfessare.
Secondo: ipotizziamo che, generando dei figli, avesse dato origine ad una linea di sangue.
Cosa avrebbe comportato? Quanto meno sarebbe stato assolutamente dannoso e nell'economia della sua missione, delle sue mete, per la situazione che avrebbe, in seguito, ingenerato nel consorzio umano. È, ad esempio, estremamente facile immaginare, considerando quante e quali atrocità hanno seguito l'affermazione del concetto xenofobico di razza, di origine e di discendenza, di status sociale particolare – bianchi e neri, ariani ed ebrei, di nobili e plebei etc. –, quali potenziali conseguenze, quali orrori sarebbero potuti discendere da questo stato di cose, specialmente alla luce dei concreti contenuti con cui è possibile comprendere il comportamento sociale dell'uomo – e nel cui ambito è collocabile la missione di Gesù. Si ponga, seppur per assurdo, che lo stesso, malgrado avesse instaurato una discendenza, abbia concluso la sua missione sino al suo estremo sacrificio.
Riconoscendo a Gesù, proprio a seguito di questo, un'origine divina, una parte dell'umanità si sarebbe potuta sentire «diretta e sacra discendenza di Dio», mentre «il resto» – alla luce dei valori teoetotomistici così diffusi ed affermati nel quadro storico e culturale in cui Gesù compì la sua esistenza, la sua missione –, sarebbe stato considerato alla stregua di una sotto razza umana, inferiore, macchiata dal peccato e dalla corruzione.
Gesù, probabilmente e realisticamente, di più onestamente non si può dire, scelse di non accostarsi carnalmente a nessuna donna proprio per evitare ciò, in conseguenza delle esigenze fondamentali della sua missione e, non meno, non per ultimo, della sua peculiare natura: essere Dio. Egli sapeva che non avrebbe potuto rischiare di avere una discendenza, che non poteva concludere tale iter naturale della sua sessualità, e conseguentemente, coscientemente, rifuggì tale eventualità.
Una scelta inoltre che fu anche conseguenza, non dimentichiamolo, della sua maturazione e della sua stessa natura ontologica: tramite la crescita spirituale, culminata nella sua manifestazione al Battista, nel digiuno nel deserto, Gesù evitò di restare coinvolto, nel suo spessore più profondamente naturale, carnale, animale, nelle spire delle fissazioni incestuose dei suoi legami primari con la madre. E non solo. Era Dio, si sentiva integralmente «Dio», «Uomo». Ciò non vuol dire che non sentisse, nella sua valenza umana, le naturali pulsioni della sua polarità maschile. Ma la meta che si era prefissato gli impediva di poter essere padre, la sua natura divina eccezionale, di essere genitore, e quindi «distolse lo sguardo» da questo. Ma non reprimendo sterilmente, quanto amando totalmente da «Uomo» e da «Dio», perfettamente, «con tutto il suo cuore e tutta la sua mente».
Suvvia… qualche bacetto, qualche carezza… qualche occhiata assassina li avrà anche scambiati. Ed allora?
Come si vede motivi concreti ci sono, e di grande momento, semplici, chiari, comprensibili, quanto rilevanti e non avallano necessariamente un'etica ascetica, votata alla castità, sessuo repressiva, come ci si vuoi far credere.
A questo punto concludiamo il tema occupandoci dei brani rimanenti come Mt 19, 9; 5, 31-32 e similari.
Di questi passi, importanti corollari delle affermazioni precedentemente analizzate e discusse, si mostrerà, come al solito, un' interpretazione alternativa, completamente in sintonia con quanto evidenziato in questo lavoro, in contrapposizione all'esegesi classica. Secondo quest'ultima, tali brani definirebbero gli assoluti contenuti monogamici dell'istituto cattolico del matrimonio, la sua indissolubilità. Il complesso di tale esegesi dunque, a partire da Mt 5, 27-28, per passare poi a Mt 19, 1-12, ed ovviamente a tutti i sinottici, si coagula nel matrimonio indissolubile, unico contesto ove l'«adulterio» sarebbe scongiurato.
In realtà l'interpretazione di tali brani si presenta ben distinta da queste conclusioni, e chiede un approccio meno banale e riduttivo, come si è visto, e nello stesso tempo più aderente alla natura biologica della sessualità.
L'esegesi dei brani restanti deve partire, oltre dalle conclusioni già raggiunte, da una più fine valutazione delle figure interessate. L'analisi dei brani sinottici in cui si parla dell'usanza ebraica del «rimandare» o «ripudiare» la «propria donna» con la consegna del «libello dei ripudio», od atto di divorzio, (Dt 24, 1-4) deve esser fatta cercando di comprendere le situazioni che di volta in volta vengono evocate nelle affermazioni di Gesù, e la dignità, lo spessore umano delle figure ivi coinvolte, attenzione che è sempre stata al centro dell'intero messaggio evangelico. (Mc 2, 27)
Infatti se ci accingessimo a tale lettura con l'atteggiamento di chi voglia indagare queste scritture per trovare in esse la «Legge» assoluta e non l'«Uomo» (vedi a tal pro Gv 5, 39-40; Mt 23, 13-36; Lc 11, 46-52) non si potrà trovare il nucleo recondito, non immediato del discorso.
Ecco quanto affermano tali brani:
(Mt 5, 32) «chiunque rimanda la sua donna, eccetto il caso di fornicazione, la espone all'adulterio e chi sposa una ripudiata commette adulterio»
(Mt 19, 9) «chiunque rimanda la propria donna ( non considero il caso della fornicazione ) e ne sposa un'altra, commette adulterio, e chi sposa una ripudiata commette adulterio»
(Mc 10, 11) «chi rimanda la propria donna e ne sposa un'altra commette adulterio verso di lei; e se la donna rimanda il marito e ne sposa un altro commette adulterio»
(Lc 16, 18) «Chiunque rimanda la propria moglie, e ne sposa un'altra commette adulterio; e chi sposa la donna ripudiata da un uomo, commette adulterio»
Certo che a leggere queste affermazioni l'indissolubilità del matrimonio sarebbe quanto meno ovvia; eppure non è necessariamente ed inevitabilmente così. Iniziamo con il brano lucano Lc 16, 18 osservando le figure evocate dalla seconda parte del versetto: «“chi” sposa la “donna ripudiata” da un uomo commette adulterio».
Questa parte del versetto è identica, nella definizione delle figure interessate dal fatto, alla seconda parte del versetto Mt 5, 32. Questi due brani non specificano minimamente se l'uomo indicato dal «chi» sia a sua volta già stato sposato o meno. È questo un primo aspetto molto importante. Cosa analoga avviene nel caso delle figure dell'«altro» ed «altra» dei restanti versetti. In queste affermazioni cioè non si hanno informazioni esplicite sul fatto che le persone di volta in volta chiamate in causa, ad eccezione del caso delle «ripudiata» – o del «ripudiato» – siano o no sposate.
È pienamente lecito quindi – e si ha anche un avallo cattolico in questo – che tali adulterazioni siano da intendere anche nel caso che dietro queste figure ci siano individui non ancora sposati. Osserviamo inoltre la figura della «ripudiata»: una figura questa essenzialmente «passiva». Passiva come similmente «passiva» risulta essere, nelle società maschiliste, la donna nei confronti della propria sessualità, della procreazione, del suo essere autonomamente madre.
Nelle società maschiliste, patriarcali, ove è affermata l'etica del «controllo» del «dominio», della «proprietà», la donna diviene oggetto di possesso e sfruttamento dell'uomo: «proprietà» del maschio, quasi al pari di appezzamenti, del bestiame, delle abitazioni, delle ricchezze, da «usare», godere, gestire, esibire, acquistare o gettar via all'occorrenza qualora «... si trovi in lei qualcosa di indecoroso.» (Dt 24, 1)16
Una figura estremamente sottomessa e succube del maschio. Una donna ripudiata, specialmente nella cultura ebraica, ma non solo, come ci insegna la storia della condizione femminile nelle società umane sino all'attualità, purtroppo, rappresentava uno «scarto» della società. Ad essa era riservato un destino quanto mai inumano. Una donna ripudiata cadeva in una indignitosa realtà; senza più appoggio morale e finanziario da parte del suo ex sposo, veniva divisa dall'affetto dei figli, eventualmente strappata alla naturale, fisiologica funzione materna, da questi suoi affetti così profondi, costretta magari a prostituirsi per sopravvivere.
Una realtà non tanto remota poi, neanche ai nostri giorni. Ebbene, se questa donna avesse avuto la possibilità di rifarsi una nuova famiglia con un altro uomo, anche non sposato, essa – essi – commetterebbero adulterio. L'adulterio dunque sarebbe effetto una «pregnanza magica» a cui sfuggirebbe esclusivamente il «primo letto», una condizione analogamente occulta e misteriosa che sorge attorno alla manifestazione sacramentale delle nozze e circonda come un'aureola nefasta, una vera e propria tara, ciascuno dei due sposi per tutta la loro vita futura? Uno «scatto» magico, sovrannaturale, che riecheggia nella santità, nella frazione spirituale dell'individuo a suggello di una realtà che irrompe, lacerando i confini tra l'immanente ed il sovrannaturale, nell'esistenza dell'individuo? Un prodigio magicamente aggrappato alla sua sessualità, alla definizione del rito magico in cui un figlio sceglie una figlia come sua proprietà in un tempio?
È possibile che una donna ripudiata, a seguito dell'indecenza che il suo sposo abbia d'un tratto trovato in lei, come affermava il Deuteronomio, possa essere stata, nelle affermazioni di Gesù ai suoi contemporanei, nel senso in cui questi avrebbero inteso tali frasi, costretta a non poter più esprimere la propria naturale sessualità per volontà di un altro? È davvero inevitabile l' aut-aut di essere adultera o castrata sessualmente, ed affettivamente non dimentichiamolo, che Gesù avrebbe esposto a quanti si fossero trovati in situazioni analoghe?
La realtà è – forse – ben diversa. Gesù voleva opporsi all'universo teoetotomistico, alla teoetotomia ebraica ed alla società patriarcale, sessuo repressiva ad essa collegata, per mostrare all'uomo il vero volto di Dio, la vera immagine di se stesso. Voleva mostrare a questi l'importanza del raggiungimento del suo essere «Uomo»-«Dio», dell'esercizio «mondano» della propria sovrannaturale valenza, della propria autonomia etica, e per giungere ad un'affermazione ecumenica di questo obbiettivo doveva far comprendere la necessità di minare sin dalla base le società teoetotomistico patriarcali. Ma questo lo poteva ottenere solo neutralizzando lo «strumento» mediante il quale venivano letteralmente «prodotte», nel loro interno, le personalità contraddistinte da «sindrome teoetotomistica», o, nella terminologia di Fromm, da «sindrome di decadimento», con tutta la loro carica aggressiva, sadico-masochistiche, necrofila, incestuosa: la famiglia patriarcale istituzionalizzata, autoritaristico sessuo repressiva.
Una realtà culturale e socio economica profondamente radicata nella struttura caratteriale dell'individuo che, sebbene inquadrata in una cultura teocratica, era esclusiva proprietà del «maschio»: un monolito fondamentale della cultura ebraica. E Gesù voleva distruggerlo. Come proclamare le sue idee senza suscitare la chiusura, l'ostile reazione dei suoi ascoltatori, dei Farisei e del loro seguito, i quali vedevano attaccato ciò che di più profondo possedevano? Come aprire occhi ed orecchi ad individui così profondamente e radicalmente coinvolti in tali contenuti culturali, ideologici ed emotivi?
Egli pose ripetutamente in atto una tattica singolare: dava un insieme di frammenti da incastonare l'un l'altro ai suoi interlocutori, stimolandoli ad un'attiva partecipazione alla risoluzione del suo messaggio, ad un'attiva ricerca dei nesso esistente tra gli stessi elementi. Inoltre si esprimeva in parabole, mediante le quali veicolava i suoi messaggi senza ricorrere a dogmatiche, esplicite e compromettenti affermazioni, riuscendo così, dall'evidenza dei fatti ivi narrati, ad esporre con particolare risalto il senso delle sue narrazioni.
Veniva sovente interrogato da Scribi e Farisei, (Mt 8, 19; Mc 2, 24; 7, 5; 10, 2) dai Dottori della legge che cercavano di metterlo alla prova, proponendo delle domande trabocchetto per poi accusarlo e metterlo a morte (Lc 10, 25; 11, 16; 19, 47-48; 20, 19-20; Gv 7, 36; 10, 31 etc.). Era una figura di spicco, che calamitava le folle e riusciva a mettere in difficoltà i suoi interlocutori, specialmente coloro che cercavano di farlo cadere in fallo nei confronti della Legge, con stringate affermazioni (Lc 13, 10-17; 20, 20-25) Spesso i suoi avversari cercarono di lapidarlo. (Gv 10, 31) Gesù sfidò il potere: non con gli stessi strumenti del potere ma con la verità, la sete di libertà e l'amore per l'uomo, mettendo a nudo le contraddizioni e l'ipocrisia del potere.
Ed il potere prima o poi sarebbe intervenuto con la forza, non appena fosse emersa negli strati sociali l'importanza rivoluzionaria delle sue idee, delle sue accuse: non avrebbe potuta passarla liscia a lungo. Era una corsa contro il tempo. E Gesù sapeva questo (Lc 18, 31-34; Mc 10, 32-34).
Spesso si esprimeva con affermazioni a doppio senso, (Gv 2, 19-21) fatte apposta per ingannare gli interlocutori o per passare messaggi non immediatamente comprensibili.
Questo «stile maieutico» è quanto mai adatto a veicolare i particolari contenuti che voleva diffondere, per ottenere quella presa di coscienza profonda che doveva stimolare l'uomo e evitare, nel contempo, gli effetti di «resistenza» dovuti alla particolare natura del «blocco» psichico prodotto dai contenuti delle metafisiche teoetotomistiche contro cui si scagliava.
Spesso un'affermazione, per quanto esatta ed acuta, può perdere la sua efficacia nella misura in cui vada a cozzare con delle rimozioni o inneschi quella sorta di «resistenza» dell'individuo, espressione del suo «carattere sociale», già evidenziata dalla psicoanalisi.17 Quest'approccio «diretto» dunque perde ogni efficacia, fa chiudere a riccio colui verso cui è rivolta; schierandosi dietro le sue difese psichiche, egli scambia il tentativo originario di fargli prendere coscienza in modo oggettivo e rispettoso delle realtà negative che lo investono pesantemente, come un attacco, una violazione antagonistica della propria persona.
Gesù invece stimolava i propri interlocutori a giungere attraverso un itinerario autonomo alle mete che egli proponeva, prendendoli per mano, aiutandoli a superare i punti più ostici, in modo che il raggiungimento delle stesse sia, anche e soprattutto, una conquista individuale emotivamente ed intellettualmente gratificante (Lc 10, 25-37; 7, 36-43; Mt 19, 16-26).
Un itinerario accessibile a tutti ma che veniva intrapreso solo da coloro che si avvicinavano a Gesù col desiderio di «ricevere» ciò che loro era sempre sfuggito, non per verificare la loro condizione, la loro «legalità», le loro «sicurezze»: ecco dunque i «poveri di spirito», i peccatori e le prostitute, ecco il consenso che cresceva intorno a lui non su basi emotive, ma oggettive, come lui desiderava.
Ecco il senso di:
«... a voi è dato di conoscere i misteri del Regno dei Cieli, agli altri non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo in parabole a loro: perché vedendo non vedano, e udendo non odano e non comprendano. Così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:
“Udrete ma non comprenderete,
e guarderete ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo si è fatto
insensibile,
e si sono turate le orecchie,
e si hanno chiuso gli occhi,
per non dover vedere con gli occhi,
e non dover sentire con le orecchie,
e non intendere con il cuore e convertirsi,
perché io li risani.”» (Mt 13, 11-15).
Ebbene, nell'ambito di queste modalità espositive sono da intendere anche i brani collaterali, ma non meno importanti degli altri, al discorso sul matrimonio e sull'adulterio.
Focalizziamo dunque le figure umane coinvolte in tali narrazioni. Occupiamoci della figura di «colui che ripudia la propria moglie (o donna)» cercando di comprendere, alla luce delle osservazioni sui rapporti interpersonali a sfondo «incestuoso», dinamiche e motivazioni di tali gesti. Un uomo giunge a «ripudiare» la «propria donna», moglie o no non fa differenza, quando quest'ultima non riesce più ad essere ai suoi occhi oggetto delle sue incestuose fissazioni, delle sue traslazioni (è chiaro che tutto quello che verrà affermato di seguito è analogamente valido nel caso opposto di «lei che rimanda lui»).
Questo avviene o per l'esaurimento della proiezione, per l'incapacità della stessa persona di essere ancora colta come idealistica figura da «desiderare», con cui si era formata la simbiosi sado-masochistica, oppure se l'individuo abbia d'un tratto diretto su di un'altra donna queste sue fissazioni, queste sue pulsioni.
All'improvviso si assiste alla rottura del «rapporto» incestuoso, della simbiosi posta in essere tra i due – non si trattano qui i casi dovuti a problemi diversi: socio economici etc. Ciò avviene il più delle volte in modo traumatico, con particolare riferimento a colui che per tradizioni sociali, o per il persistere delle propria «reciproca» fissazione, va a subire questa disgregazione del rapporto di coppia: nel nostro caso la donna ripudiata.
Tale epilogo può aver luogo a seguito di un reciproco esaurimento delle fissazioni che avevano a suo tempo dato origine al rapporto; fissazioni culturalmente determinate, che sintetizzano un coacervo assai ampio di situazioni, interiori ed esterne, consce ed inconsce. D'un tratto dunque i due passano da un'esistenza intimamente ed esteriormente partecipata, condivisa, ad un'indifferenza non sempre «mutua», terribilmente più castrante.
Nel caso poi che tale epilogo fosse causato da un proposito unilaterale, come nel caso di «colui che ripudia la propria donna», questa trasformazione viene ovviamente vissuta in modo diverso dai due soggetti.
Chi «lascia», «ripudia», vive quest'epilogo nell'interesse, nell'ansia di affrancarsi dalle richieste, dalle implorazioni dell'altro, di superare il disagio di affrontare con responsabilità la penosa condizione dell'altro, di sconfessare magari i suoi passati, dichiarati propositi di dedizione, di partecipazione e d'affetto, di amore, e cerca solo di fuggire. Ecco allora frasi fatte, assurde razionalizzazioni, ostentata indifferenza, chiusura, mutismo, menzogne. L'altro... sprofonda nel fango dell'angoscia.
Non riesce a darsi pace di quel repentino voltafaccia, si arrovella di comprendere, senza riuscire, i motivi della fine di quel «romantico» rapporto così bello, così profondamente passionale.
Cade, come dice Alberoni, in uno stato di «pietrificazione».18 Entrambi gli individui si trovano a vivere un evento di profondo rilievo per ciascuno, scossi da propositi, sentimenti, necessità tra loro contrastanti che non riescono comunque a focalizzare completamente. Ciascuno addurrà motivazioni calzanti alla decisione presa o insisterà sulle penose conseguenze che andrà a subire a seguito di ciò, cogliendo comunque tale epilogo nel contesto di quell'inevitabilità ed ineluttabilità delle passioni «irrazionali» del «cosiddetto amore», ai giochi del «cuore», alle universali passioni umane.
Eppure, proprio le discordanti reazioni delle figure coinvolte in tali epiloghi, i loro reciproci, distinti ma stereotipati comportamenti, fanno emergere il vero volto delle pulsioni, di quel «sentimento» che li «spinse» un giorno l'uno nelle braccia dell'altro: un reciproco bisogno psichico, che aveva come fine la creazione di una monade psichica in cui ciascuno cercava incestuosamente di rievocare i legami primari, di creare quelle simbiosi in cui ciascuno si «completava» nell'altro, nell'integrità della coppia. Tutto, all'infuori che «Amore».
Colui che ha parte attiva in tale «rottura» è volto a «dimenticare» il partner, a non interessarsi più della sua figura, ormai inutile per lui; può anzi esser già rivolto a nuove figure, o ha già questo nuovo surrogato con cui «ripetere» le stesso dinamiche, all'infinito, senza alcuno sbocco evolutivo che lo sollevi da tali spirali. Poco importa ormai dell'altro: anzi le sue eventuali richieste, le sue sofferte affermazioni, atteggiamenti, rivendicazioni, servono solo ad acuire un'indifferenza che può culminare addirittura in una profonda ostilità, spesso poi contraccambiata.
Situazioni drammaticamente comprensibili, non c'è che dire, ma rivelatrici dell'autentica natura del «cosiddetto amore»: un egoismo a due, una soluzione mostruosa come un feto a due teste, a cui si tenta utopisticamente di affidare la propria incapacità di giungere ad un'unità ed integrità interiore, di affrontare e gestire la propria ontologica individualità, la «solitudine» ad essa associata.
Un mezzo in cui ciascuno «usa l'altro», «possiede l'altro», si «dona all'altro», ed intende tutto ciò con il termine «amore» (... ma che, come canta E. Bennato in «La fata»: «Si dice amore, però no, chiamarlo amore non si può…»)
Basta confrontare tali comportamenti con altri tipi di rapporti interpersonali, non coinvolti in tali ridde emotive, per avere un quadro esauriente e completo in relazione alla loro natura, ai loro contenuti.
È straordinario osservare con quanta «indifferenza» e «cinismo» si possano calpestare la dignità, i sentimenti di un essere slabbrato, impaurito, barcollante, che sta cercando solo di lottare contro le sue paure, la sua insignificante auto-percezione, la sua incapacità di emergere nella sua esistenza in modo integro, univoco, schiavo com'è solo di condizionamenti sociali e di particolari, penose esperienze affettive del suo passato.
Nessuno di noi si sognerebbe di accogliere di punto in bianco, con indifferenza se non ostilità una persona «amica», anche se superficialmente amica, solo per il fatto di aver conosciuto un altro amico, a meno di qualche suo atteggiamento discutibile. Si giunge ad aver più rispetto per un conoscente che per chi ha vissuto con noi passati ma intensi momenti!
No, l'«Amore» e tutt'altra cosa. Questa non è affatto l'ineluttabile altalena dell'amore. Quello è «non Amore». È solo una particolare modalità di ovviare a delle problematiche individuali irrisolte sicuramente condizionate nel loro verificarsi ed esprimersi da una particolare realtà socio culturale ed economica.
Una modalità che rappresenta dunque una conseguenza di un'etica ben precisa imperniata, rifacendoci ad un altro modo di esprimersi di Fromm, sull'«avere» piuttosto che sull'«essere».19
Come superare dunque tale stato di cose?
Come intendere in modo alternativo i rapporti interpersonali?
Come percepire i connotati di una «sana» relazione, consona oltre tutto a quella definizione di amore data in precedenza, e risolvere il contenuto dei brani di cui ci stavamo occupando, dell'«adulterio»?
È possibile definire nuovi, inediti contenuti dell'amore, del vero «Amore»?
È giustificabile il timore che ciò comporti espressioni «riduttive», dal punto di vista espressivo, rispetto all'attuale, canonica modalità di amore?
Questi interrogativi possono avere finalmente un'idonea risposta.
Proviamo a rispondere. Innanzi tutto: l'uomo è un bizzarro essere vivente, che illumina il suo cammino col chiarore vivido della sua intelligenza. Ebbene:
«Chi» ha detto che questa luce sia fredda, inespressiva, emotivamente sterile?
«Chi» ha coniato quest'antitesi tra intelletto e sentimenti, se non un'etica che alle vette positive dell'uno ha contrapposto la corruttibilità e peccaminosità del profondo dell'uomo, dei suoi sentimenti, dei suoi istinti?
Nella prima parte del versetto Mt 5, 32 Gesù ci illustra come comprendere l'autentica natura delle dinamiche psichiche associate a questi atteggiamenti, a queste «soluzioni», inefficaci, di tali dinamiche. Egli anzi pone l'equazione adulterio = matrimonio. I fautori di quei rapporti interpersonali «così romantici e sublimi» in cui ciascuno si dona incondizionatamente, corpo ed anima, all'altro, per dare origine alla «cosa sola», saranno sicuramente scandalizzati dall'affermazione che, al contrario, nei Vangeli, tutto ciò sia irrimediabilmente rifiutato, ed identificato addirittura con l'adulterazione della sessualità.
Ma tant'è. Delle due, una. Ricordo: il piatto è servito…
Il fatto è che l'ideale religioso ha come termine una realtà esistenziale, un'integrità psichica dell'individuo, tali da porre una soluzione delle fissazioni primarie, dell'auto-percezione ontologica dell'individuo, costituita non da monadi simbiotiche ed incestuose, ovviamente accettate nelle culture non religiose (atee e teoetotomistiche), ma da un totale superamento psichico di tali fissazioni, di tali regressioni.
Termini estremi esplicitamente e perentoriamente definiti, a tutto tondo.
Esaurire e risolvere in modo «non adulterato» tali dinamiche non può che comportare l'espressione di una base emotiva ed intellettuale capace d'informare i rapporti interpersonali con contenuti affatto distinti dalle sclerotiche fissazioni che contraddistinguono le relazioni incestuose di cui si è detto. Ne deriva la possibilità di impostare tali rapporti su di un'espressione «complementare» a quelle proprie delle modalità adultere indicate da Gesù nelle stesso matrimonio. Questa è la conclusione tratta dalla logica che trasuda dai brani in oggetto.
La prima parte di Mt 5, 32 afferma come il fatto che l'uomo ripudi la prima moglie non comporti di per sé un adulterio né da parte di lui né da parte di lei. Quest'adulterio resterebbe per la donna «una minaccia», un'esposizione, nulla più: mentre solo chi sposa, anche per la prima volta, si badi bene, una ripudiata, commette, lui, un adulterio.
Allo stesso modo, commette adulterio chi si sposa per una seconda volta, anche con una donna ancora nubile. Mc 10, 11 ci dà un altro prezioso contributo che avvalora quanto stiamo dicendo. In esso si afferma infatti che chi sposa una donna, dopo averne ripudiata un'altra, che non è detto sia la prima, commetterebbe «adulterio verso di lei». Questa precisazione mostra come nell'accezione attribuita da Gesù al termine adulterio sia attribuita una unilateralità netta.
Tale termine non implica dunque inevitabilmente una «reciprocità» ma esprime solo una singola disposizione individuale. Si ammetta ad esempio il caso di una donna che convoli a nozze con un uomo il quale le nasconda per tutta la sua vita il fatto di essere stato precedentemente sposato con un'altra. Oppure, ancor più assurdo, che, per una grave amnesia, abbia dimenticato tale fatto.
Se l'adulterio è – come si afferma – un'istanza sovrannaturale che si esprime quando certe unioni «proibite» si realizzano, si potrebbe indicare costoro come adulteri, come peccatori, dunque passibili di una postuma punizione – in linea di principio per entrambi? Potrebbe essere in particolare la donna passibile dell'accusa di «adulterio»? E dovrebbe essere recisso quel matrimonio? Ma quale principio di giustizia pervaderebbe quindi una simile interpretazione? Comprensibile che sia quello di una qualche teoetotomia, ma non quello di una religione, non quello, superiore, del «Regno dei Cieli». Ma continuiamo.
Abbiamo dunque figure estremamente passive da un lato, dall'altro un'accezione del termine «adulterio» chiaramente unilaterale e non meno interpretazioni singolari di affermazioni quali Mt 5, 27-28 e 19, 1-12, che spingono a comporre una soluzione la quale, per essere completamente definita, ha bisogno solo di un'altra considerazione: ovviamente l'analisi delle dinamiche psicologiche che condurrebbero a queste ripetute nozze.
L'ipotesi di matrimonio indissolubile visto come luogo ove l'adulterio sarebbe scongiurato potrebbe reggere, o quanto meno avrebbe più valore e significato, se si potesse almeno osservare qualche sostanziale differenza, che non sia riferibile a sedicenti contenuti magico-ideologici, tra la disposizione ontologica, affettiva, dell'individuo che convolerebbe a prime nozze e quella delle successive eventuali unioni matrimoniali. Dal punto di vista ontologico e psichico, non è evidenziabile alcuna differenza tra queste successive manifestazioni dell'individuo.
Si potrebbe anzi affermare una ben diversa maturità nelle scelte di un individuo che vada ad edificare un nuovo legame famigliare in età avanzata, rispetto ai contenuti con cui, come succede in molte culture, convolò magari ancora nell'adolescenza a prime nozze spesso pianificate, definite, come è costume in parecchi popoli, dai genitori stessi per motivi di convenienza socio economica o stabilite, come avviene nelle società a forte sviluppo del complesso della superiorità maschile, a seguito di un'autoritaristica decisione unilaterale20 – e non c'è da escludere che forse proprio questo capitò a Maria e Giuseppe.
L'approccio dell'individuo a tali rapporti è, pur nell'economia di una innegabile maturazione dello stesso, quanto meno identica in ogni caso visti i contenuti formali della base emozionale, sentimentale e filosofica in questione – fissazione affettiva, reciproco geloso possesso, reciproco controllo dell'attività sessuale ed affettiva del partner etc. – nell'ambito dei quali i soggetti intendono ed interpretano vicendevolmente le loro emozioni, le loro scelte, i loro atteggiamenti.
Cambiano sì situazioni, persone e contesti, ma le pulsioni intime di ciascuno degli «attori» di questi psicodrammi sono in fondo assolutamente identiche per la psicoanalisi: identicamente incestuose, identicamente «adultere» aggiungiamo.
Quest'innegabile, evidente similitudine rappresenta il tratto mancante per la composizione finale dell'autentico significato di queste affermazioni. In esse Gesù usa abilmente delle situazioni «limite» per veicolare la sua accezione di adulterio: la figura della ripudiata, nella società ebraica completamente passiva e succube ai voleri ed ai capricci dei suo consorte, completamente passiva nella determinazione del suo futuro, nell'attuazione della sua sessualità, dei suoi affetti e fa intendere che chiunque si accostasse a tale patetica figura, anche per convolare a prime nozze, commetterebbe adulterio.
Usa la situazione «limite» delle nozze tra una donna ripudiata ed uomo, tout court, per affermare che quest'ultimo commetterebbe adulterio sposando la stessa. Non scende ad analizzare le particolari tematiche sentimentali eventualmente coinvolte in questi epiloghi, in queste nuove unioni, né lo status degli individui coinvolti in esse. Pone situazioni che nulla, assolutamente nulla hanno di diverso nella loro caratterizzazione psichico ontologica, né sotto il profilo sociale né rispetto alle dinamiche ed alle modalità con cui gli individui convolarono alle «prime nozze».
Tenendo conto delle sue affermazioni in merito alle manifestazioni sessuo affettive dell'uomo e considerando la perentoria affermazione di Mt 5, 27-28, ove attesta che «desiderare una donna nel proprio cuore è adulterio», considerando le contingenti esigenze «strategiche» che la sua delicata missione richiedeva e le particolari modalità «espositive» attuate, la conclusione più verosimile, ed esauriente, del complesso delle sue affermazioni, in particolare di questi brani, è che egli abbia voluto affermare l'uguaglianza adulterio = dinamiche che conducono al matrimonio, ergo: adulterio = matrimonio. Non ci sono prime nozze «lecite» per sedicenti quanto inconsistenti motivi di ordine magico, sovrannaturale ed eventuali successive unioni «adultere».
Tali unioni sono in nuce «tutte assolutamente adultere», senza eccezione.
Il nocciolo del discorso è comprensibile osservando l'astuzia, se non il tatto e la sagacia di Gesù, nell'esporre questo greve, «violento» contenuto senza dare ai suoi avversari appigli per l'accusa di aver violato quest'importantissimo aspetto della legge ebraica, della Tôrâh. Egli concentrò questi brani sulle «seconde» eventuali nozze di uno od entrambi gli individui interessati, scegliendo però od individui che non erano responsabili ed artefici della situazione verificatasi – è il caso della ripudiata – o che potevano essere intesi, come abbiano fatto qui, alla loro iniziale esperienza matrimoniale.
Essi, secondo Gesù, si rendevano dunque responsabili di «adulterio» – si rammenta esperienza intesa come unilaterale da Gesù – nel convolare a nozze, anche per la prima volta, con soggetti che per conto loro erano caduti in situazioni d'«impurità sociale», di «segregazione sociale» inumane e penose non per scelta o colpa, bensì per una volontà esterna completamente inumana – e per questo piuttosto almeno meritevoli di misericordia.
Solo una contorta mente autoritaristica avrebbe potuto posticipare queste immediate considerazioni, questa naturale misericordia e comprensione per le figure ivi evocate, definire sulla loro pelle e sul loro dolore l'esigenza della sacralizzazione dell'indissolubilità del matrimonio e disconoscere l'autentico significato dell'adulterio stigmatizzato da Gesù.
A proposito, un'ultima, devastante considerazione. Sembrerebbe oltremodo singolare, se fosse stato questo l'autentico pensiero di Gesù, che questi non avesse fatto un'esplicita espressione in tal senso, dato che essa non sarebbe stata, come in realtà avviene per la sua autentica accezione dell'adulterio, in contrasto con la legge ebraica. Gesù cioè avrebbe potuto tranquillamente affermare, se questo fosse stato il suo autentico intento: «Il matrimonio è assolutamente indissolubile. Punto!», ma ciò «non è stato» e nessuno può mettergli in bocca quest'affermazione. Il modo per comprendere questa sua interpretazione è dunque di considerare l'assoluta analogia delle dinamiche espresse da ciascun individuo in queste unioni a prescindere dalla loro collocazione reciproca, come d'altronde accade in realtà.
Una valutazione non poi così ardua, difficile. Basta solo un po' di umiltà, fiducia nell'«Uomo» e se si vuole in Dio (comunque religioso) ed un briciolo di buon senso, acume, spirito di osservazione. Gesù non afferma il alcun passo dei Vangeli l'esistenza di un misterioso legame sovrannaturale che si instaurerebbe tra due sposi alle loro prime nozze. Il «ciò che Dio ha congiunto», la «carne sola» di Mt 19, 5-6, anche in considerazione del contesto in cui Gesù formulò tale profonda risposta – la domanda era, lo si ricorda, se fosse lecito rimandare la «propria» donna «per qualunque motivo» – è, lo si è visto, qualcosa di completamente diverso, naturalissimo: il frutto della loro unione. Un figlio… che dovrà però esser fatto diventare «Uomo».
Emerge dunque in modo netto l'esigenza fondamentale di Gesù, disconosciuta dall'esegesi classica, di curare non la contingente e personalissima unione tra i due coniugi, bensì il legame, questa volta concreto, tangibile, clamorosamente evidente, tra i «figli» ed i genitori, tra i «figli» e la loro madre, che un'indecente tradizione maschilistica poteva unilateralmente spezzare senza pietà. Gesù non formulò alcun sacro legame tra marito e moglie, non parlò di come qualsiasi nuovo nucleo famigliare, che coinvolgesse individui già convolati a precedenti nozze, debba essere considerato «adultero» rispetto al primo, nulla di tutto ciò.
La sua affermazione complessiva sul tema è ben più perentoria: egli identifica in tutta quella serie di pulsioni che conducono al matrimonio, inteso come istituzione sociale di perfetto «coronamento del sogno d'amore» dei due sposi l'adulterazione profonda ed inaccettabile, non solo e principalmente per Dio, ma per l'«Uomo», per la «Donna», della propria sessualità. Egli giunse addirittura a puntualizzare come il suo obiettivo non fossero delle laide unioni «fornicatorie», ma l'autentico istituto matrimoniale maschilistico patriarcale, fine consono, ufficialmente riconosciuto dunque, dalla società (Mt 19, 9; 5, 32). E c'è un altro importante brano evangelico che conferma in blocco questo nostro approccio, dandoci nel contempo gli spunti per intravedere i contorni dell'alternativa che Gesù ci propone.
Il riferimento va a Mt 19, 29; Lc 9, 57-62; 18, 29-30.
«In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa, moglie, fratelli, genitori, o figli per il Regno dei Cieli, che non riceva molto di più in questo tempo – il centuplo in Mt 19, 29 n. d. a. – e nell'età futura la vita eterna» (Lc 18, 29-30).
Passi come questi sono stati addirittura presi a motivo di quegli stoici proponimenti – che possiamo considerare solo «investimenti personali a lungo termine travestiti da vocazione virtuosa» – con cui sacerdoti, monache, missionari, hanno abbandonato le loro famiglie, i loro cari, spesso con un groppo in gola, per «uscire dal mondo» verso una vita di rinuncia, di servizio, per «... percorrere il mare e la terra per fare un solo proselito, e quando c'è lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi» (Mt 23, 15).
È forse dissacratorio riferirsi ai sacerdoti che partirono al seguito di Pizzarro, di Cortez, che si imbarcarono sui Mayflower per costituire la «testa di ponte» per l'evangelizzazione dell'America, il genocidio degli indiani, degli Indios? In realtà il loro contenuto era, e resta, ben diverso.
La casa, i fratelli, la moglie, i genitori, sono tutte figure che hanno un comune denominatore: evocano intimità, calore umano, partecipazione, affetto. Evocano quel sentimento soave, tenue e struggente inteso anche dall'immagine del «focolare domestico», ma non è questo contenuto quello che Gesù vorrebbe «togliere» all'individuo. Non emerge in questi brani la necessità di un lacerante distacco dai propri affetti (vedere anche Mt 9, 13 – specialmente la prima parte – e Mt 11, 28-30) ma un invito a crescere interiormente, psichicamente e filosoficamente verso l'«Uomo» e la «Donna», verso una struttura caratteriale, una personalità, estremamente emancipate dai legami consanguinei– assolutamente non disconosciuti si badi bene! –, con fratelli, sorelle, padre, madre, sposo e sposa, figli, che ci obbligano, e qui è il nocciolo del discorso, ad essere riduttivamente e conseguentemente fratelli, sorelle, figli, sposi, genitori, in contenuti vincolanti, che invischiano la nostra libertà, la nostra trascendente valenza di «immagini di Dio».
Non un rifiuto, un rigetto sterile ed incomprensibile di questi affetti nella ricerca di salvezza, di servizio, mortificazione delle proprie esigenze individuali, ma una maturazione delle espressioni affettive e spirituali di ciascuno che si estenda «oltre» tali ambiti, tali figure, tali «limiti». Oltre le pastoie, sicuramente inevitabili – ma non insuperabili – della propria infanzia, dei tabù della società, con contenuti ben diversi, per… rinascere, anche a 50 anni, e gustare l'eccitazione di dischiuderci gli spazi prima preclusi dalle stesse, dalle paure a cui eravamo infantilmente ed irrazionalmente attaccati.
Ecco il senso del dialogo tra Gesù e quell'uomo che all'invito a seguire Gesù «... rispose: “Signore, permettimi prima di andare a seppellire mio padre”. Allora gli disse: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti: tu va e annunzia il Regno di Dio”. E un'altro disse: “Ti seguirò, o Signore, ma prima permettimi di congedarmi da quelli della mia casa”. E Gesù gli disse: “Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio”» (Lc 9, 59-62).
Gesù promette a chi s'incamminerà verso se stesso il «centuplo» di «fratelli, genitori, sposi, figli, case» qui, sulla terra, ed un itinerario armonico, lieve, verso l'infinito. E questo centuplo lo troveremo negli Uomini e Donne del mondo, in «... chiunque infatti compie la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre» (Mc 3, 35).
Ecco quindi l'orizzonte in cui si moltiplicherà l'amore tra Uomini, tra Donne, cosa si contrapporrà ai retaggi della propria terra, della propria razza e cultura, delle proprie paure infantili, alla cristallizzazione di quei cordoni ombelicali che altrimenti più non tranceremo. Emancipati dai propri clan, dalla propria collocazione contingente, dalle proprie fissazioni incestuose, potremo dunque far brillare il caldo lume dell'«Amore».
Un «Amore» indifferenziato, unico, coerente e polimorfo, che è a sua volta fraterno, erotico, platonico, libero, completo all'unisono, che è tale proprio perché è sintesi sinergica di tutte queste sue sfaccettature, armonico amalgama di tutte queste espressioni finalmente libere, aliene da qualsiasi tabù repressivo e restrittivo e che ci permetteranno di assaporare con un'estensione inaudita, ed un'intensità, una coerenza sconcertante e sconvolgente, il nostro essere fonti e ricettacoli dello stesso.
In conclusione del capitolo si vuol porgere, con muto rispetto ed un inquieto sconcerto, un tributo ad un uomo, ad alcuni suoi «fasci di percezioni», prendendo spunto da Hume, da collocare in un «ben diverso teatro»: Wilhelm Reich, erede diretto del pensiero psicoanalitico di chiara formazione marxista.
Si riporteranno dunque alcuni passi della sua opera più veemente, famosa quanto discussa e per molti versi sorpassata, raccomandando di notare come il pensiero dell'autore della più rivoluzionaria applicazione socio politica dei principi psicoanalitici, applicazione forse insuperata in tutti i suoi evidenti e drammatici eccessi, possa assumere un significato del tutto inedito e sconcertante.21
Si vedà à infatti come, rigettando innanzi tutto senza indugio quella «pansessualità» che invischia l'intera opera di Reich, segnandone irrimediabilmente orpelli intellettuali, lacune ed un'ideologica parzialità, e «ribaltando» questo suo lavoro nel contesto appena esposto, Reich manifesti intuizioni devastanti, riflessi e bagliori non meno accesi e rivoluzionari… quanto sconcertanti nella diversità del significato euristico che assumono in un contesto religioso, rispetto a quanto doveva essere nei suoi originali intenti. Non si aggiunge altro; lasciamo ciascuno alle proprie riflessioni e... all'inquietudine, condivisa, di una sorpresa assolutamente inattesa.
Da «La rivoluzione sessuale» di Wilhelm Reich: «... I concetti sessuo-economici qui presentati si basano sull'osservazione clinica di pazienti che, nel corso di un riuscito trattamento di analisi caratteriale, subiscono un mutamento nella struttura psichica. Giustamente ci si chiederà se è possibile applicare le scoperte riguardanti la trasformazione di una struttura individuale nevrotica in una struttura sana ai problemi di una struttura di massa ed alla possibilità di una sua modifica. Badiamo ai fatti, invece di inoltrarci in discussioni teoretiche.
Non c'è dubbio che l'irrazionale comportamento della massa può essere capito solo sulla base di osservazioni fatte sull'individuo nevrotico. Si tratta, dopo tutto, dello stesso principio che guida una lotta contro un'epidemia: per combatterla, si comincia con l'esaminare le singole vittime e scoprire quel particolare bacillo e i suoi effetti, che sono fondamentalmente uguali per tutte le vittime dell'epidemia.
Il comportamento patologico dell'individuo medio della massa manifesta chiaramente gli stessi aspetti che ci sono familiari attraverso l'osservazione dei singoli pazienti: una generale inibizione sessuale; il carattere coercitivo delle prescrizioni morali; l'incapacità di considerare compatibili la soddisfazione sessuale e le realizzazioni del lavoro; la particolare convinzione che la sessualità dei bambini e degli adolescenti sia un'aberrazione patologica; il non riuscire a concepire altra forma di sessualità che non sia una monogamia destinata a durare tutta la vita; la mancanza di fiducia nelle proprie forze e nel proprio giudizio, e quindi l'acuto bisogno di una figura di padre onnisciente che faccia da guida etc.
I conflitti fondamentali degli individui di una massa sono gli stessi; le differenze di sviluppo individuale portano soltanto a differenze di dettaglio. Se si cerca di applicare alle masse le osservazioni ricavate dallo studio dei singoli pazienti bisogna limitarsi a quelle che si riferiscono ai conflitti caratteristici comuni a tutti; in tal caso, si possono correttamente applicare alla massa le osservazioni che riguardano i mutamenti intervenuti nella struttura individuale.
I pazienti che vengono da noi accusano certi disturbi tipici. Sempre ridotta risulta la capacità di lavoro, i cui risultati effettivi non corrispondono alle richieste della società e neppure ai risultati che lo stesso paziente sente di poter raggiungere. La capacità di soddisfazione sessuale è sempre grandemente ridotta se non addirittura distrutta. Si nota costantemente che la capacità di soddisfazione sessuale naturale è stata sostituita da altri tipi di soddisfazione non-genitali (pregenitali); esistono concezioni sadiche dell'atto sessuale, fantasie di violenza sessuale, etc.
È sempre possibile dimostrare chiaramente che questo mutamento nel carattere e nel comportamento sessuale assume forma definita intorno ai quattro cinque anni di età. Presto o tardi si fa evidente a tutti che il rendimento sociale e sessuale è turbato: il paziente è oppresso da un conflitto tra istinto e principi morali; in condizioni di repressione sessuale nevrotica, il conflitto diventa insolubile.
Le prescrizioni morali che il paziente sotto una costante pressione sociale continua a imporsi mantengono e alimentano la condanna dei suoi bisogni sessuali e, in senso più vasto, vegetativi.
Le turbe nella potenza genitale si fanno più gravi, sempre più grande la discrepanza fra bisogno di soddisfazione e capacità di soddisfazione. Questo a sua volta accentua la pressione morale necessaria per tenere sotto controllo le energie condannate; e poiché il conflitto è essenzialmente inconscio l'individuo non può essere in grado di risolverlo da solo.
Nel conflitto tra istinto e principi morali, tra ego e mondo esterno, l'organismo è costretto a corazzarsi tanto contro l'istinto quanto contro il mondo circostante; è una rigida corazza che si risolve inevitabilmente in una limitazione delle facoltà vitali e di cui soffre la maggioranza degli uomini: è come se tra loro e la vita si innalzasse un muro. È in questa corazza che risiede la ragione chiave della solitudine di tanti uomini in seno alla collettività. Un trattamento di analisi caratteriale libera le energie vegetative dalla loro fissazione alla corazza. Il risultato immediato è un'intensificazione degli impulsi antisociali e perversi e quindi anche dell'angoscia sociale e della pressione morale; se però nello stesso tempo si dissolvono anche le fissazioni infantili alla casa paterna, i traumi infantili e i tabù antisessuali, l'energia si incanalerà sempre più verso il sistema genitale. E allora i naturali bisogni genitali si sveglieranno a nuova vita o si manifesteranno per la prima volta. Se a questo punto si elimineranno le inibizioni e l'angoscia genitali, se il paziente diventa capace di piena soddisfazione orgiastica e ha la fortuna di trovare un partner sessuale adatto (ecco i limiti dell'assillo sessuale del Reich qui rigettato, n.d.a.), si osserva un mutamento in tutto il suo comportamento, in misura spesso sorprendente. Elencheremo i mutamenti più importanti.
Mentre prima ogni pensiero e ogni azione erano determinati da motivi inconsci e irrazionali, ora il paziente è sempre più capace di pensare e di agire razionalmente. Nel corso di questo processo, tendenza al misticismo, religiosità (termine da mutuare in teoetotomicità n.d.a.), sottomissione infantile, credenze superstiziose etc. vanno via via scomparendo, senza che vi sia bisogno di esercitare sul paziente un'influenza ‘‘educativa”. Se prima il paziente era corazzato, incapace di contatto con se stesso e col mondo esterno, o capace soltanto di pseudo-contatti innaturali, ora invece si va sviluppando in lui una sempre crescente capacità di contatto naturale con i suoi stessi impulsi e col mondo che lo circonda. E il risultato di tutto questo è l'evidente sviluppo di un comportamento naturale e spontaneo che si sostituisce al precedente comportamento innaturale e artefatto. In molti pazienti si osserva, per così dire, una duplice natura. Esteriormente, ci appaiono anormali e strani. Pure, dietro questa facciata patologica, si avverte una natura sana. Ciò che rende gli individui diversi l'uno dall'altro è, oggi come oggi, essenzialmente la sovrastruttura nevrotica. Nel processo di guarigione si perde gran parte di tale differenziazione individuale, cui subentra una semplificazione del comportamento, grazie alla quale i pazienti in via di guarigione si vanno sempre più rassomigliando nei tratti fondamentali, senza per questo perdere le caratteristiche individuali. Per esempio ogni individuo dissimulerà in maniera diversa la sua incapacità di lavorare. Ma se si libera del disturbo che gli impedisce di lavorare e acquista fiducia nelle proprie capacità, si libera anche di tutti quei tratti del carattere che servivano a compensare il suo sentimento di inferiorità. Mentre le compensazioni possono essere eminentemente individuali, la fiducia in sé basata sui risultati raggiunti senza sforzo è, per tutti, fondamentalmente la stessa.
Lo stesso si dica per l'atteggiamento nei riguardi della sessualità. Una volta che il paziente riprende contatto con i propri bisogni sessuali, queste differenziazioni nevrotiche scompaiono. L'atteggiamento verso la sessualità diventa uguale in tutti gli individui ed è caratterizzato dall'affermazione del piacere e dall'assenza di sensi di colpa. Prima, l'insolubile conflitto fra bisogni istintuali e inibizioni morali costringeva il paziente ad agire, sotto ogni rispetto, secondo certe leggi estranee e superiori a lui. Egli, pur protestando contro questa costrizione, misurava ogni suo pensiero e azione su un metro moralistico; ma, avviatosi ad acquistare una diversa struttura, appena si rende conto dell'indispensabilità della soddisfazione genitale, si libera dalla camicia di forza moralistica e con essa di ogni senso di colpa nei riguardi dei bisogni dell'istinto.
Prima, la pressione morale faceva più forte l'impulso e lo rendeva antisociale, cosa che a sua volta richiedeva una intensificazione della pressione morale; ma quando la capacità di soddisfazione cominci ad eguagliare l'intensità dell'impulso, non è più necessaria una regolazione morale. Non c' è più bisogno del meccanismo di autocontrollo una volta indispensabile, poiché l'energia si allontana dagli impulsi antisociali; ne rimane ben poca da controllare. L'individuo sano non ha una morale coercitiva in quanto non ha impulsi che richiedano un'inibizione morale. È facile controllare quel tanto che resta di impulsi antisociali, purché siano soddisfatti i bisogni genitali fondamentali. Lo dimostra lampantemente il comportamento di un individuo che abbia raggiunto la potenza orgiastica (Per il Reich «... la capacità di completo abbandono alla convulsione involontaria dell'organismo ed allo scarico completo dell'eccitazione nel culmine dell'amplesso genitale. Manca sempre nei nevrotici. Presuppone l'esistenza o l'instaurazione del carattere genitale...»22 n.d.a.): i rapporti con le prostitute diventano impossibili, scompaiono le fantasie sadiche, diventa inconcepibile esigere l'amore come un diritto e imporre l'atto sessuale al partner o sedurre i bambini.
Scompaiono le perversioni anali, esibizionistiche, e con esse l'angoscia sociale ed il senso di colpa.
Perde ogni interesse la fissazione incestuosa su genitori e fratelli e così si rende disponibile l'energia prima assorbita da tali fissazioni.
Tutti questi fenomeni, insomma, indicano che l'organismo è capace di autocontrollo... Le esperienze cliniche alle quali si è accennato ci consentono di trarre conclusioni di carattere generale per quanto riguarda la situazione sociale.
In verità, le vaste prospettive di queste conclusioni, rispetto a problemi quali la prevenzione delle nevrosi, la lotta contro il misticismo e la superstizione, l'annoso problema del preteso conflitto fra natura e cultura, tra istinti e morale ecc., sono a tutta prima sorprendenti e sconcertanti.
Ma anni di confronti con le scoperte dell'etnologia e della sociologia non lasciano dubbi sulla correttezza delle conclusioni che si ricavano dalla trasformazione, nella struttura, del principio morale in principio sessuo-economico (secondo le opinioni del Reich, non condivise nella loro estensione e risalto teorico, principio col quale pone la mera sessualità, la capacità dell'individuo di scambiare piacere ed attività sessuale, al centro delle sue scelte n.d.a.) dell'autoregolazione.
Se, ora, un movimento riuscisse a mutare le condizioni sociali in modo da sostituire l'attuale negazione del sesso con una generale affermazione del sesso (con tutti i relativi presupposti economici) la trasformazione strutturale delle masse diventerebbe realtà. Non si intende, ovviamente, che si sarebbe in grado di curare tutti i membri della società: è questo un equivoco frequente nei riguardi della sessuo-economia.
Ma significa soltanto che le esperienze ricavate dal processo di trasformazione della struttura individuale fornirebbero principi fondamentali validi per una diversa educazione del fanciullo e dell'adolescente, capace di non provocare o coltivare conflitti fra natura e cultura, fra individuo e società, fra sessualità e socialità.
Bisogna tuttavia riconoscere che le esperienze terapeutiche e le scoperte teoretiche rese possibili all'introduzione della teoria dell'orgasmo (propria del Reich n.d.a.) nella psicoterapia contrastano con quasi tutte le concezioni precedentemente sviluppate dalla scienza. L'assoluta antitesi tra sessualità e civiltà governa come un dogma inviolabile morale, filosofia, cultura, scienza, psicologia e terapia.
Al riguardo, certo, la psicanalisi di Freud assume la posizione più importante; ma ciò nonostante, e nonostante l'originalità delle sue scoperte cliniche e scientifiche, egli aderisce a quella antitesi.
È necessario, perciò descrivere brevemente le contraddizioni insite nelle radici della filosofia della civiltà psicoanalitica che fecero degenerare nella metafisica il lavoro scientifico di Freud: tale filosofia è fonte di gran confusione.»23
Con ciò si esaurisce il riferimento ad un Reich veramente intrigante ed inquietante nel suo feroce ateismo, ma non meno, nella sua contemporanea, clamorosa, inconsapevole religiosità. Stupendo...
Il gioco vale sempre più la candela…
Note:
1 Necrofilia: «amore per la morte». Termine con cui Fromm indica l'atteggiamento di individui attratti da morte, disfacimento, feci, sudiciume, dal potere, dalla forza, da temi dell'orrore, da atteggiamenti distruttivi ed autolesionistici. A suo giudizio Hitler era un esempio di persona necrofila. Egli sottolinea le connessioni tra necrofilia e carattere sadico anale, il culto dell'ordine, della pulizia, dell'obbedienza (E. Fromm, Op. Cit., [1975], pag. 409-542).
2 Erich Fromm, Op. Cit., [1971], pag. 141-142.
3 Ibidem, pag. 145.
4 Sigmund Freud, Op. Cit., [1978], pag. 307 e ss.
5 Erich Fromm, Op. Cit., [1971], pag. 49.
6 Sigmund Freud, Op. Cit., [1978], pag. 146-149.
7 Marwin Harris, Op. Cit., [1990], pag. 143 e ss.
8 Sigmund Freud, Op. Cit., [1978], pag. 245; Erich Fromm, Op. Cit., [1979], pag. 51-59.
9 E. D. P. De Robertis, W. W. Nowinski, F. A. Saez, Biologia della cellula, Zanichelli, 1970, pag. 367.
10 A tal pro, tutti i testi citati in bibliografia sono regolarmente sottoposti ad imprimatur ecclesiastico.
11 Premm Bocklinger, Op. Cit., [1973], pag. 438-442.
12 Marwin Harris, Op. Cit., [1990], pag. 244 e ss.
13 Matteo, Ed Paoline, 1978, pag. 263 nota n° 12.
14 Sr. Maria Teresa dell'Eucarestia, No, non ho saltato il muro, Queriniana, Brescia, 1979.
15 vedi per ulteriori riflessioni Marwin Harris, Cannibali e Re. Le origini delle culture, Feltrinelli, Milano, 1984; Marwin Harris, Op. Cit., [1990], pag. 313 e ss.
16 Vittorio Messori, Op. Cit., [1976], pag. 268.
17 Sigmund Freud, Op. Cit., [1978], pag. 214 e ss.
18 Francesco Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano, 1979.
19 Erich Fromm, Op. Cit., [1977].
20 Marwin Harris, Op. Cit., [1984].
21 Michel Cattier, Op. Cit., [1970].
22 Wilhelm Reich, La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 23 nota 1.
23 Wilhelm Reich, Op. Cit., [1980], pag. 20-25.
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