PROLOGO
«Nell'intera psicologia del «Vangelo» manca il concetto di colpa e punizione; similmente quello di ricompensa. Il «peccato», qualsivoglia rapporto di distacco tra Dio e uomo, è abolito, - e appunto questa è la «buona novella». La beatitudine non viene promessa, non viene vincolata a condizioni è l'unica realtà, - il resto è figura per parlarne
L'istinto profondo di come uno debba vivere per sentirsi «in cielo», per sentirsi «eterno», mentre comportandosi in qualsiasi altro modo uno non si sente affatto «in cielo»: questa sola è la realtà psicologica della «redenzione». Una nuova regola di vita, non una nuova fede...»
Friedrich Nietzsche, L'Anticristo.
Agli inizi dell'itinerario intellettuale che portò alla stesura dell'opera «Il Dio laico: caos e libertà» si cercò di definire, oltre all'analisi di Genesi 1, 3, quanto necessario a presentare anche i contorni di quel che potremmo definire una «teologia evoluzionistica» in grado di porsi come interpretazione alternativa ai Vangeli. Gli interrogativi che scaturiscono da un'interpretazione così singolare del Genesi possono infatti condurre anche a risposte fondate, dai contenuti teologici esaurienti? È, ancor più possibile, dar seguito nell'intero corpus dei testi biblici ed in particolar modo nel Nuovo Testamento alla traccia esegetica impiegata nel Genesi? Ebbene: la risposta è «Sì».
Si ha la piena consapevolezza del fatto che l'ipotesi testé sviluppata, estremamente semplice e lineare nella sua formulazione, potrà avere, se conservata in uno schema interpretativo che non si areni nell'interpretazione dei brani evangelici, conseguenze filosofiche molto profonde. Nella misura in cui, muovendosi da tali posizioni, si riuscirà ad enucleare un inedito messaggio dai Vangeli, si potrà porgere all'uomo una concezione ontologica di se stesso, del trascendente e di Dio, in particolare di Gesù, della sua «missione» terrena, profondamente diverse dalle attuali.
Ciò potrà contribuire a scardinare i pilastri ideologici delle teoetotomie cattoliche e protestanti, denunciando l'infondatezza del concetto di peccato con cui per millenni sono state soggiogate le coscienze di milioni di uomini. Potrà altresì mostrare come sia possibile staccare ulteriormente la figura di Cristo, ed un'accezione assolutamente inedita della sua «lieta novella», da errate interpretazioni e inconsistenti antropologismi per superare dunque il paradigma teoetotomistico, la visione dualistica dell'universo con un confronto condotto proprio sul loro campo, dove sinora hanno goduto di una gelosa esclusività ed ostentato una presunta... quanto inesistente superiorità.
Ma, ancor più, ciò potrà riformulare con ben altre opportunità e contenuti, ed è questo che preme, il quesito eminentemente filosofico dell'esistenza di Dio e proporre all'uomo, indissolubilmente uniti tra loro, trascendente e autonomia etica, dando la possibilità di superare l'intervallo spirituale che ci separa dal potersi sentire in modo del tutto inedito «immagine e somiglianza di Dio». L'uomo allora potrà svincolarsi dal giogo delle società autoritaristico teoetotomistiche per ambire, finalmente, ad una società umana, razionale e veramente fondata sull'Amore, al suo servizio. Un processo socio culturale da affermare, questo è decisivo, senza alcuna violenza o prevaricazione.
Una meta possibile poiché tale innovativo «spirito» è basato solo sul limpido confronto razionale, sull'affermazione del principio della libertà di pensiero e responsabilità dell'individuo, su quella ragione troppe volte violata dall'oscurantismo e l'ideologia clerical teoetotomistica. La speranza è quella di delineare una prassi fondata sulla «forza» dell'evidenza oggettiva, sullo stesso metodo che è alla base della conoscenza scientifica e della speculazione filosofica più illuminata ed aperta; una condotta ove non c'è posto per violenza, ideologia, contrasto di classe. Il suo avversario non è rappresentato da una qualche classe sociale, individuo o popolo, bensì da un preciso concetto filosofico: quello di una divinità che ha al suo seguito non coscienti rappresentanti, quanto impauriti schiavi che «non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). 1
Il presente tentativo esegetico non ha alcuna pretesa di completezza né di inoppugnabilità costituendo solo un parziale contributo un vero e proprio abbozzo da rivedere continuamente, da sottoporre a quella sana e incessante revisione delle idee che rappresenta il cuore pulsante dell'epistemologia moderna mirante a determinare alcuni capisaldi, ed in particolare ad affrontare quei passi evangelici che a tutta prima possono apparire più ostici da interpretare nella presente chiave di lettura, in merito ai quali sembrerebbe impossibile poter anche solo immaginare l'esistenza di interpretazioni alternative.
Il fine, più in generale, è mostrare la concreta possibilità di proporre in questo campo, dove ancora vengono immobilisticamente affermate metafisiche risalenti all'epoca in cui «l'uomo non aveva ancora domesticato il cavallo», come chiosò un acuto antropologo, una prospettiva inedita, fondata su elementi veramente moderni ed attuali. Una prospettiva che non rappresenti un improbabile compromesso tra idee addirittura pre-neolitiche e gli attuali orizzonti scientifici post relativistici, contesti tra loro assolutamente incompatibili, quanto una «metafisica nuova», fondata finalmente su elementi inediti e coerenti con l'attuale orizzonte scientifico. E, non lo si ripeterà mai abbastanza, ciò rappresenta un tentativo eminentemente filosofico condotto da una sempre vigile prospettiva «agnostica».
Nel Vecchio Testamento si narra delle concezioni cosmologiche di popolazioni che vissero nella mezzaluna fertile del Medio Oriente e che andranno a costituire il pool etnico culturale da cui procederà poi il popolo ebreo. Questo complesso di testi costituisce un'ampia base letteraria e storico sapienziale a carattere sacro propria dei popoli di queste regioni. I vari libri che compongono il V. T. costituiscono in particolare lo zoccolo storico culturale del popolo ebraico: riportano dei suoi trionfi e delle sue sconfitte, delle sue leggi ed ovviamente delle sue concezioni teologiche: decisamente teoetotomistiche.
Il Dio ebraico del V. T. mostra infatti un carattere tipicamente patriarcale, teoetotomistico; solo in alcuni brani del V. T. è possibile osservare un inequivocabile spessore religioso. Come spiegare ciò? Non rappresenterebbe quest'evidenza innegabile già una secca smentita dell'ipotesi, ancora così flebile e circoscritta, che si sta sviluppando?
Bisogna ricordare come la Bibbia rappresenti un coacervo singolare, spesso disorganico, di racconti, miti e tradizioni di diversa provenienza ed estrazione, comunque comuni a quelle aree geografiche, frutto di diversi agiografi e soprattutto di distinte, tradizioni storico culturali e letterarie. Nella Bibbia troviamo però anche una base sapienziale dai contenuti che potremmo definire prettamente religiosi, fondamentalmente imperniata nei primi capitoli del Genesi; contemporaneamente presenta i fondamenti del complesso storico culturale alla base della tradizione teoetotomistica ebraica; questo complesso amalgama emerge sì dal Genesi, ma poi si definisce più nettamente e clamorosamente nei libri successivi: l'Esodo, il Levitico, il Deuteronomio etc.
È importante osservare come l'intero complesso nella sua peculiarità, rappresentata dal fatto che la maggior parte dei libri del V. T. altri non sono che l'insieme dei testi «sacri» del popolo d'Israele, della teoetotomia ebraica, risulta innestato sul ceppo mitologico di precedenti popolazioni medio orientali: ciò è ben verificabile già nel Genesi, nel quale traspare quel netto accento religioso sul quale soffermeremo ancora la nostra attenzione.
La manifesta presenza dell'aspetto teoetotomistico è comunque teologicamente irrilevante davanti al respiro religioso che, come si dimostrerà, pervade potentemente tutti i Vangeli. È possibile infatti collocare tale valenza in un'interpretazione dei testi in cui l'ideale religioso verrà ad emergere sempre più nettamente sorgendo proprio da un precedente contesto teoetotomistico: un fatto questo che rende particolarmente avvincente ed inquietante tutto il quadro che andrà ad emergere. In particolare si delineerà un profilo interpretativo il quale permetterà progressivamente di cogliere i particolari della tradizione e della storia del popolo ebraico nello stesso tentativo ecumenico affermato dalla teoetotomia cattolica, limitandosi a qualche semplice, obbligato aggancio ai fini del contesto interpretativo finale.
L'esegesi che si intende proporre verte sull'ipotesi che germe sapienziale fondamentale del V. T. sia racchiuso infatti nei brani del Genesi precedentemente analizzati; è da lì che si può compiutamente enucleare quel fulcro fondamentale da cui è poi possibile dipanare un messaggio teologico che infine, come vedremo, riemergerà sorprendentemente ad informare l'intera missione di Gesù. Il fatto notevole da sottolineare è che così facendo ci si colloca «nella stessa, identica prospettiva» sostenuta dal canone teoetotomistico cattolico, il quale attribuisce a questi primi tre capitoli un risalto teologico peculiare in tutta l'escatologia e soteriologia bibliche:
«Tra tutte le parole della Sacra Scrittura sulla creazione, occupano un posto singolarissimo i primi tre capitoli della Genesi. Dal punto di vista letterario questi testi possono avere diverse fonti. Gli autori ispirati li hanno collocati all'inizio della Scrittura in modo che esprimano, con il loro linguaggio solenne, le verità della creazione, della sua origine e del suo fine in Dio, del suo ordine e della sua bontà, della vocazione dell'uomo, infine del dramma del peccato e della speranza della salvezza. Lette alla luce di Cristo, dell'unità della Sacra Scrittura e della Tradizione vivente della Chiesa, queste parole restano la fonte principale per la catechesi dei misteri delle «origini»; creazione, caduta, promessa della salvezza.» 2
Si farà dunque nostra questa identica valutazione, seppur tralasciando in prima battuta riferimenti all'eventuale ispirazione dei testi, così come sostiene il magistero cattolico. A livello teologico, nel resto del V. T. si parla sostanzialmente dei particolari della teoetotomia ebraica, una delle tante verso cui si scagliò Gesù. Sarà allora sufficiente fare riferimento, nell'ambito del nostro discorso, ad alcuni aspetti profetici direttamente connessi con l'avvento del Cristo, come saranno più che sufficienti le sue parole per trovare, sorprendentemente, conferma della presente proposta esegetica.
Prima di iniziare l'esposizione di questa inedita modalità interpretativa del Nuovo Testamento, si vuol però evidenziare, stante la nuova accezione data ai primi brani del Genesi, il senso ed i contenuti «nuovi» della figura di Gesù, nonché le differenti relazioni tra i contenuti della «caduta» e la missione salvifica che si potrebbe riconoscere allo stesso.
Innanzi tutto una precisazione: nell'intento di formulare un'ipotesi metafisica inedita, ma in tutto e per tutto equipollente in relazione ai suoi contenuti formali con le interpretazioni teistiche sostenute dalle odierne teoetotomie, si contempleranno ipotesi di per sé decisamente «stravaganti» sotto il profilo epistemologico, che esulano dal rigoroso metodo d'indagine scientifico: ad esempio ammettere un'ipotesi teistica in cui si contempli un Creatore ed un processo creativo, l'eventualità che sia stato in atto nel passato un «intervento redentivo divino», concedere l'eventualità di una natura divina di Gesù, il suo coinvolgimento in fenomeni razionalmente del tutto inspiegabili e così dicendo. Tutti elementi, assunti etc., che fanno parte del bagaglio metafisico e delle concezioni cosmologico cosmogoniche ed escatologiche delle odierne confessioni di fede di ceppo biblico ed in generale del polo teistico metodologicamente lontano da ogni sano approccio epistemologico.
Questa scelta sicuramente farà inorridire ogni ateo o agnostico che si rispetti, ma non meno ogni «puro e neutrale» epistemologo, e sembrerebbe costituire un vero e proprio tradimento metodologico, capace di sconfessare tutto il precedente lavoro. Ma come precisato, si spera debitamente, nell'avvertenza alla presente sezione (VEDI AVVERTENZA), quest'intento è condotto «solo ed esclusivamente» al fine di «confezionare», come antitesi alle ortodosse modalità esegetiche, un'interpretazione assolutamente analoga, «dello stesso status» teistico teologico delle comuni teoetotomie. E accingersi a tale proposito implica l'accettazione in blocco di tutto il corpus metafisico teologico su cui sono basati i quattro Vangeli: e questi sono l'«identità Gesù/Dio» e l'affermazione di una «dimensione post mortem» a cui l'uomo possa in qualche misterioso ed inaccessibile modo poter partecipare. Rigettare questi aspetti, che sono da intendere come mere congetture metafisiche è impossibile da fare se si vuol giungere ad una interpretazione religiosa veramente alternativa che abbia uno status analogo alle interpretazioni teoetotomistiche.
Solo così si potrà dimostrare sempre nella prospettiva di un confronto eminentemente filosofico come la concezione teoetotomistica sinora affermata come consona ed unica interpretazione dei testi in oggetto sia solo una contingente ma ancor più infondata interpretazione viziata da precetti e assunti assolutamente vuoti di significato.
Onestamente c'è da dire che è possibile valutare piani di lettura differenziati dei Vangeli, in cui intendere Gesù con un profilo meno intriso di sovrannaturale, senza perdere alcuni degli importanti aspetti interpretativi sinora tenuti in evidenza. Si può infatti andare incontro ad una riduzione del suo profilo, per la precisione la sua presunta «identità Gesù/Dio», senza perdere il senso dei più importanti concetti ed istanze religiose dei Vangeli, della filosofia di fondo degli stessi; un'«antropologia» inedita che, comunque sia inteso Gesù, definisce decisamente il profilo inedito di «Uomo» che risulterà al termine della presente analisi. L'uomo Gesù può anche essere inteso in questi termini; la sostanza, la logica intrinseca dei suoi insegnamenti, della sua predicazione, resterà comunque inalterata. Eppure optare per questo profilo «minore» rappresenterebbe un netto depauperamento del valore teologico dei Vangeli, il che potrebbe porre la presente interpretazione su di un piano altrettanto «minore» rispetto alle teoetotomie. Non si vuol dunque cadere in questa riduttiva accezione, e concedere a queste alcun privilegio, benché si possano condividere eventuali istanze a favore di questa lettura meno mondana specialmente procedenti dal polo laico. Si opterà allora di «osare» qualcosa di più, pur consapevoli dei validi motivi di queste obiezioni e di tali proposte di lettura, comprensibilmente realistiche e prudenti.
Focalizzati questi limiti ed intenti, possiamo allora passare a definire i termini della nostra proposta esegetica.
Secondo la presente teoria dunque, i tratti teologico escatologici più essenziali del V. T. sarebbero dunque i seguenti:
a) creazione dell'universo e dell'uomo;
b) caduta ontologica dell'uomo rappresentata dall'accettazione e diffusione socio culturale di un ideale cosmologico dualistico teoetotomistico;
c) azione riparatrice, salvifica di Dio, manifestata nella missione di Cristo il quale, nella sua esistenza terrena avrebbe dovuto far comprendere all'uomo la verità della sua autentica collocazione ontologica, il significato trascendente della sua figura, del suo essere «immagine e somiglianza di Dio», nonché la vera immagine di Dio, l'autentica valenza del creatore divino da cui ogni cosa sarebbe originata.
L'uomo era caduto schiavo delle divinità teoetotomistiche e degli orrori delle strutture socio economiche collegate a queste concezioni metafisiche. Nella misura in cui questa «caduta» è intendibile in un'accezione negativa è pressoché inevitabile concludere quale possa essere il reale contenuto del messaggio evangelico: Gesù lottò contro lo strumento oppressivo d'elezione di queste realtà teologiche, l'idea stessa del «peccato». Cercò di abbattere questo sinistro concetto e sconfessare ogni immagine paternalistico sessuo repressiva di Dio, ogni valenza teoetotomistica. Doveva mostrare all'uomo la profonda dignità della propria figura ontologica, l'importanza, se non la vera e propria necessità ontologica nell'economia stessa della eventuale creazione divina dell'autonomia etica dell'uomo, del suo poter vivere in completa e perfetta autonomia, sin dalla propria esistenza terrena, la grandezza della propria valenza divina. (Gv 9, 39)
Una prima importante differenza, rispetto alle classiche interpretazioni teoetotomistiche, è che nel modello che si sta proponendo il senso di un «Dio che si fa carne» non si esprime ed esaurisce nella tensione di giungere ad una meta prettamente «extra mondana». Sinora l'opera e la missione del Cristo sono state intese esclusivamente come necessità di portare ad un'umanità intrinsecamente «macchiata» dall'abominio di un'interiore colpa la speranza di un'interiore e sovrannaturale purificazione spirituale. Cristo, la sua opera, la sua missione, sono stati conseguentemente visti quali manifestazioni del cosmico scontro tra il «Bene» ed il «Male» collocati nel quadro di una concezione sostanzialmente «dualistica» della realtà. Una concezione questa niente affatto necessaria per una positiva interpretazione dei testi: una concezione, come vedremo, facilmente opinabile.
Ma togliendo quest'eventuale valenza, cosa resta al Cristo, della sua missione? Non era suo obbiettivo dare all'uomo la possibilità di salvare la sua anima trascendente, di percorrere le «vie del Bene» che lo avrebbero portato alla presenza santificante del Padre? Non era suo fine «sconfiggere Satana», il suo avversario, liberare l'universo, l'intero creato dalla sua presenza devastante, affrancare l'uomo dalla sovrannaturale, infausta, maligna, azione del principe delle tenebre, del Male?
Ed ancora...
Contemplando un universo monistico, immune da qualsivoglia degrado sovrannaturale originario, in cui venga affermata unicamente la figura divina del Creatore e negando l'esistenza di qualsiasi sedicente principio sovrannaturale ad esso contrario non si svuota di ogni possibile contenuto teologico teleologico la venuta ed il sacrificio di Cristo? Se nessuna «caduta originale» ha intaccato lo spirito umano, se l'anima dell'uomo non è ghermita da alcuna potenza maligna, se il creato non è in alcun modo minacciato da un Male sovrannaturale e personale e se nessun ostacolo si è di fatto interposto tra l'uomo e Dio; se il creato non è sottoposto ad alcuna corruzione ontologica, perché allora il Cristo, la sua venuta, la sua morte? Non perde di significato il tutto?
La risposta a questi legittimi interrogativi è concreta e semplice, e non meno facilmente comprensibile: ma ancor più, pur essendo lo si ripete ancora solo un'ipotesi metafisica, «non è una risposta teologicamente minore» di quella promulgata sinora. Ricordiamo che il nostro fine dichiarato non è quello di proporre qualcosa di «superiore», una nuova fede, ma solo una concezione filosofica da cui derivare un'«ulteriore» lettura teologico metafisica, altrettanto valida: una «simulazione esegetica» dello stesso status delle consuete teologie teoetotomistiche. E questo limitato, ma importante risultato, è stato conseguito. Ciò è più che sufficiente per i nostri intenti.
Per comprendere il senso di quest'ulteriore proposta, di questa sua valenza concreta, quasi scarnificata da sedicenti aspetti sovrannaturali, bisogna spostare molto laicamente l'attenzione comunemente rivolta alla dimensione extra terrena, futura, ipotizzata oltre l'evento della morte.
Ovvero bisogna abbandonare la concezione di un'esistenza intesa come «palestra di salvezza» in cui operino enti «monadici animati». Questo concetto, o meglio preconcetto, risulta del tutto erroneo ed ancor più anteriore, esterno agli eventuali contenuti dei testi da valutare ed esprime, già a monte della possibile interpretazione, l'assuefazione forse inconsapevole ad una cornice metafisica teoetotomistica. Nella misura in cui questo sarà possibile ci si potrà rivolgere ad una nuova, antitetica «antropologia» dell'uomo, della sua valenza sovrannaturale, nella quali si pone particolare riguardo all'esistenza mondana: ed è proprio lì, in quella sfera, che possiamo scoprire essere rivolta la vera missione del Cristo.
Ovviamente, in questa inedita chiave di lettura non si perorerà un'interpretazione del messaggio evangelico alla stregua, ad esempio, dei fautori della teologia della «liberazione», i quali intesero Gesù quasi come un leader rivoluzionario, sostenitore di mere trasformazioni socio economiche, tralasciando in un certo qual modo l'aspetto redentivo spirituale sovrannaturale. Il profilo di Gesù che si andrà a proporre è tutt'altro di quello, riduttivo, di semplice riformatore sociale, di mero predicatore della libertà sociale del proletariato: sarà invece il profilo di un Gesù/Dio teologicamente equivalente nell'essenza a quello proposto dalle dottrine odierne al preciso fine, lo ripetiamo, di proporre sino in fondo, nello stesso campo e con il massimo vigore, una vera e propria alternativa teologica.
Nella prospettiva di questa meta ci si disporrà ad accettare seppur per assurdo, o quanto meno coscienti delle totale indimostrabilità, come mera ipotesi/congettura formulata da una posizione prettamente agnostica che egli possa esser venuto al mondo per ridare all'uomo i mezzi, gli insegnamenti necessari a riaffermare, nel mondo, la sua congenita valenza divina, ad insegnare il senso teologico della libertà di vivere concretamente come «immagine e somiglianza di Dio», «come Déi»; a riconsegnare all'uomo il sogno di un infinito, di una perfezione dell'essere «Uomo» oramai smarriti nella notte dei tempi per spingerlo infine a ricercare in se stesso, senza compromessi, la maestà di una sua «ineluttabile» divinità.
Ma oltre a ciò, quale conseguenza della nostra interpretazione, emerge un altro aspetto notevole: «questo» Gesù dette anche un'ulteriore contributo concettuale per una delle più profonde speranze dell'uomo; morendo sotto gli occhi di tutti e, forse, resuscitando agli occhi di pochi, propose un «sospetto dolce», una vaga «verità ultima» insita nei suoi insegnamenti, nei suoi principi: «la finitude della morte poteva essere superata e questo destino non sarebbe mai più stato condizionato». L'uomo poteva anelare con speranza, ad un'ulteriore dimensione. Questo ovviamente potrà essere inteso, come si accennava, solo come mera «utopia personale». Ma sarà, finalmente, un'«utopia personale» non più condizionata e condizionabile, una speranza/«utopia» pura, non più laidamente «ricattabile» così come avvenuto sinora nelle teoetotomie con l'applicazione del concetto di peccato. Un risultato di assoluto rilievo.
Ed in più, come si spera di dimostrare, ciò rappresenterà l'unica concessione, o se vogliamo «scommessa» rammentando il Pascal in modalità e contenuti del tutto inediti , che à possibile concedere ad un'ipotesi teistica con la pretesa di mostrare «coerenza» con la scienza e l'epistemologia. In altre parole: un radicale de profundis, almeno filosofico, visto che si è sufficientemente realisti per intuire come non sarà facile che questa concezione possa essere assunta nel senso comune, come però ci si auspica, in opposizione ad ogni possibile ideologia teoetotomistica.
Ma non è un «nostro» problema questo: il fine di questo lavoro è di formulare un'ipotesi alternativa sufficientemente solida, non di imporla alle coscienze. Il nostro fine «non è la definizione una nuova fede», ma «la definizione di nuovi scenari logico filosofici». È sufficiente dimostrare la liceità ed intrinseca validità formale di tale ipotesi, la sua eccellente coerenza con le attuali concezioni scientifiche. Agli altri l'onere di confutarla... semmai ci riusciranno.
D'ora in avanti con un atteggiamento che forse farà storcere il naso a molti, comunque sempre in modalità rigorosamente agnostiche e con fini eminentemente filosofici ci si interesserà della vita e degli insegnamenti del Cristo cercando di trovare in ciò un seguito consono a quanto sostenuto sinora.
A questo punto coloro che si sino accinti alla lettura degli altri documenti presenti nel sito si accorgeranno di un netto cambiamento di metodo nella trattazione, nel tagli delle dimostrazioni e nell'approccio analitico; un mutamento che potrebbe far erroneamente pensare ad un decisivo cambio di prospettiva.
Il fatto è che in questo tipo di argomentazioni non si potrà ricorrere, come in precedenza, a fonti bibliografiche autorevoli ed oggettive, ma ancor più a quella modalità di riscontro continuo e di analisi epistemologica che ha informato tutti i documenti precedenti. Questaè comunque un'impossibilità insormontabile, visto che si affronteranno temi e ci si accingerà ad accettere fatti propri di un contesto fideistico intrinsecamente estraneo a qualsiasi analisi dotata di un minimo di «scientificità».
Nelle pagine che seguono, in conclusione, si manifesterà qualcosa che può apparire «sospetta», «troppo» coincidente ad un'aperta, inequivocabile condotta «fideistica», in apparente netto contrasto con quell'approccio «scientifico» e quell'atteggiamento «laico ed agnostico» che ci si augura di aver correttamente mantenuto nel corso dell'esposizione della presente teoria. Ma questo diverso approccio è inevitabile. Parlare di un ipotetico ruolo escatologico del Cristo nell'ambito dell'interpretazione sostenuta sinora, se da un lato obbliga ad impostare il discorso su un'ipotesi teistica che necessariamente risulti complessivamente «accettabile» nel contesto della visione scientifica dell'universo fisico, dall'altro non permette di poter contare, in tali ambiti, di una così rigorosa verifica. Hipóthesis non fingo, sentenziò Newton 3. Ebbene, qui si dovrà fare, forzatamente, l'esatto opposto.
Accettato il fatto che una data ipotesi teistica possa essere collocata anche in una visione cosmologica quale quella che la scienza moderna ci ha proposto, risulta impossibile porre una verifica stretta, pedante circa la figura, la natura e la vita del Cristo, dell'assunto che in tale ente storico debba essere riconosciuta addirittura la divina essenza di Dio. Ma accettare, solo ed esclusivamente quali Hipóthesis, che Dio possa essersi «impersonato», «incarnato», «manifestato» in qualche modo a noi inaccessibile nelle spoglie del Cristo, non è assolutamente un'affermazione incongruente, seppur ardita. È solo un tentativo filosofico intellettuale di «confezionare» un modello teologico alternativo a quelli conosciuti, nell'intento di innescare logicamente la necessità epistemologica di valutare in modo oggettivo e non più subalterno a tradizioni, ipse dixit, dogmi ex cathedra e sedicenti autorità o sogli papali asserti, contenuti e ambiti di validità dei vari modelli.
Il presente modello è e resterà niente più che espressione di un'ipotesi metafisica; un'ipotesi religiosa da contrapporre alle teoetotomistie sinora universalmente diffuse. Sia chiaro: non si vuol scivolare nell'inconsistenza di «dimostrazioni» dell'esistenza di Dio o giù di lì, ma esclusivamente sostenere, con liceità, una mera congettura metafisica nell'interpretazione di tali testi, ed in particolare della figura di Gesù. Nulla più; si sta solo «mimando filosoficamente» un proposito di fede e si accetta, umilmente, che possa essere anche inteso in questi termini, in modo del tutto simile ad altri analoghi propositi. Ma il «gioco vale la candela...»
Questo proposito però non si pone d'incanto come espressione superiore ad ogni altra ma esibisce «oggettive conferme» a monte, in ben altri campi, dove è possibile definire e verificare tale congruenza. Un proposito che sottostà umilmente ad un giudizio di congruità non procedente da sedicenti autorità o tradizioni ma solo ed esclusivamente, negli ambiti opportuni, dallo stesso metodo d'indagine della scienza e dell'epistemologia. Una disposizione che però, parallelamente, esige altrettanto anche agli altri modelli, costringendo i loro sostenitori ad un confronto inedito, ad una feroce competizione per ambire ad una positiva concordanza con le odierne concezioni scientifiche: ed è «questo» il vero fine. Stanarli dalla tana...
L'opera, la figura del Cristo, possono dunque essere inserite in un quadro escatologico compreso e sostenuto alla luce della moderna ricostruzione storico scientifica di determinati eventi passati; la figura storico ontologica di Gesù-Dio è al più «l'unico utopia, atto di fede» in cui si sia nella necessità di prescindere da ogni pedante verifica, senza però cadere in contraddizioni metodologiche, dato che proprio dagli stessi postulati filosofici «agnostici» che la sostengono si può definire senza incongruenza l'eventuale unicità della sua essenza ontologica e delle sue manifestazioni mondane.
È ovvio che l'ipotesi di fede legata alla presente interpretazione verte su un postulato che mai potrà venir né dimostrato né confutato: l'esistenza di un'entità ontologica esterna ed anteriore al mondo fisico che, oltre ad essere posta filosoficamente quale causa, origine del creato, dell'universo sperimentato e sperimentabile, del nostro essere fisico è qui, in questo ambito, che si pone la verifica di congruità della scienza moderna , viene riconosciuta anche in un unico evento storico mondano: l'Uomo Gesù, Figlio di Dio, Dio.
Un ente ontologico mondano emanazione, manifestazione, «sintesi» unica, perfetta ed irripetibile, dell'Ente increato, Creatore «nell»'ente creato. Si è pienamente consapevoli dei contenuti evocati da questo concetto: qualcosa che sicuramente trascende ogni umano intento di razionalizzazione o velleità di verifica.
Nel riconoscimento della natura ontologica di Gesù il principio di quella continua ricerca di conferme concrete sinora seguito dovrà dunque essere sfumato. Ma ciò, lo si ripete, non rappresenterà necessariamente un'incongruenza. È solo un' «utopia metafisica» che pur in un continuo e sano scetticismo può esser fatta lecitamente propria anche da chi come il sottoscritto si muove a tutti gli effetti quale «agnostico radicale».
L'interesse che anima quest'ulteriore ricerca, quest'azzardo epistemologico, è il poter mostrare come la figura storica, escatologica di Gesù possa essere intesa in modo inedito rispetto alle attuali posizioni esegetiche, in un quadro «globalmente» compatibile con la nostra attuale concezione scientifica. Un profilo che mostrerà rispetto alle precedenti interpretazioni, un ben maggiore livello di credibilità, di «verosimiglianza», riprendendo le espressioni di Popper: è chiaro che credere nella figura di Gesù Cristo-Dio è e resterà per sempre un atto di fede, ma «questa» fede non potrà più essere tacciata, come è stato sinora dinnanzi alla scienza, seppur con rispetto, come irrazionale. Ed ancor più questo profilo religioso potrà surclassare quelli teoetotomistici sinora proclamati. E questo è già molto, anche per un agnostico come il sottoscritto.
Si «chiuda dunque un occhio» ci si rivolge ovviamente ad atei ed agnostici su questo punto: come vedremo il risultato potrà essere particolarmente gradito specialmente a costoro.
«Il gioco vale veramente la candela...»
A questo punto, un importante contributo, veramente interessante...
Al fine di introdurre il tema in essere, e non meno per «non sentirsi soli», soli così come è stato per anni, quando quel giovane che allora ero cercò, cercò, cercò fino a restare... senza fiato, si vuol introdurre una scheggia di pensiero di un uomo che personalmente è considerato il più vero, struggente e affascinante ateo da abbracciare commossi che mai abbia avuto la possibilità, pur non conoscendolo personalmente, di considerare tale: Friedrich Nietzche.
Questo suo prezioso e stupefacente brano, che mi capitò di leggere restando letteralmente sbigottito quando questo lavoro si definì inespresso nella mia mente, e che mi diede il coraggio di «osare», rappresenta ancora oggi, in relazione alla sua eventuale genesi, un vero e proprio mistero, visto l'autore e l'intera sua opera. Un mistero capace di cristallizzare ed esprimere in modo sconcertante ed intrigante l'essenza delle conclusioni a cui si è giunti beninteso procedendo da ben altri contesti.
Un vero e proprio «manifesto» della presente opera, di cui in testa al Prologo è stato riportato un piccolo frammento. Frammento che, di buon grado, si riporta per intero...
Friedrich Nietzsche dunque, da L'Anticristo:
«Nell'intera psicologia del «Vangelo» manca il concetto di colpa e punizione; similmente quello di ricompensa. Il «peccato», qualsivoglia rapporto di distacco tra Dio e uomo, è abolito, - e appunto questa è la «buona novella». La beatitudine non viene promessa, non viene vincolata a condizioni è l'unica realtà, - il resto è figura per parlarne
La conseguenza di una siffatta situazione si rispecchia in una nuova pratica; la pratica propriamente evangelica. Non una «fede» contraddistingue il cristiano: il cristiano agisce, egli si distingue attraverso un diverso agire: nel non opporre resistenza a colui che gli fa del male, né con la parola, né in cuor suo: nel non far differenza tra forestieri e indigeni, tra Giudei e non Giudei («il prossimo» è propriamente il compagno di fede, l'Ebreo). Nel non adirarsi con nessuno, nel non umiliare nessuno: nel non farsi né vedere, né implicare in tribunali («non giurare»): nel non dividersi dalla propria donna in nessun caso, neppure in quello di comprovata infedeltà. In sostanza un unico principio, tutte conseguenze di un solo istinto.
La vita del Redentore non fu altro che questa pratica, - anche la sua morte non fu nulla di diverso Egli non aveva più bisogno di formule, di un rito per la comunicazione con Dio nemmeno della preghiera. Ha chiuso la partita con tutta la dottrina ebraica della penitenza e della riconciliazione; sa solo che con la pratica di vita l'uomo si sente «divino», «beato», «evangelico», in ogni momento «figlio di Dio». Non l'«ammenda», non «la implorazione del perdono sono strade verso Dio»: la pratica evangelica sola conduce a Dio, essa è appunto «Dio»! Ciò che si toglieva di mezzo col Vangelo era l'ebraismo dei concetti di «peccato», «remissione del peccato», «fede», «redenzione mediante la fede» - l'intera dottrina ecclesiastica ebraica era negata dalla «buona novella».
L'istinto profondo di come uno debba vivere per sentirsi «in cielo», per sentirsi «eterno», mentre comportandosi in qualsiasi altro modo uno non si sente affatto «in cielo»: questa sola è la realtà psicologica della «redenzione». Una nuova regola di vita, non una nuova fede...» 4
Dolcemente inquietante...
Note:
1 I riferimenti ai vangeli seguono il metodo classico. Le sigle Mt, Mc, Lc, Gv, Dt etc. indicano i quattro Vangeli sinottici e gli altri libri della Bibbia. I numeri (Esempio Gv 8, 32; Mt 3, 5-9) capitoli e singoli versetti o gruppi di versetti..
2 Catechismo della Chiesa Cattolica, Op. Cit., [1992], par. 289, pag. 89.
3 Giuliano Toraldo di Francia, L'indagine del mondo fisico, Einaudi Ed., Torino, 1976, pag. 108.
4 Friedrich Nietzsche, L'Anticristo, Newton Compton Editori, 1979, pp. 54-55.