1994: Metamorfosi della Ragione
Recensione del Prof. Giuseppe Sermonti:
Quest'operetta ha senz'altro un merito: quello d'aver preso sul serio tanto le categorie della storia sacra quanto quelle della storia naturale. E non per screditare le une o le altre, ma per impiegarle entrambe, alla ricerca di una sintesi. Gli eventi posti a raffronto sono sostanzialmente la “caduta” nel paradiso terrestre e la “ominazione” da cui saremmo derivati.
Gli autori si rendono subito conto che, se qualcosa
di riferibile ad una caduta si è determinata nella preistoria umana ciò
è accaduto in tempi relativamente prossimi; in un periodo, scrivono,
“collocabile a partire dai 50.000 anni or sono, in pieno paleolitico medio”
(o ‘superiore'?). E ciò perché in quel periodo l'uomo era fisicamente
e intellettualmente realizzato, era geograficamente diffuso, aveva sviluppo
culturale omogeneo e possedeva concezioni religiose. La “caduta” richiede un
uomo completo, unico e religioso.
La difficoltà che gli autori si trovano a affrontare è la ardua
conciliazione tra il “progresso” evolutivo che la paleontologia assegna all'uomo
e l'idea di “caduta”. Nel passaggio tra un'epoca mitico-religiosa e l'avvento
della filosofia scientifica, siamo abituati a registrare un “progresso”,
che si esprime nella razionalizzazìone del mondo e nello sviluppo tecnologico.
Come collocare in questo progresso, anzi proprio all'origine di questo progresso,
un qualche evento riferibile ad una “caduta”?
Verolini e Petrelli risolvono l'antinomia definendo
due diverse modalità della religione: una anteriore naturale-intuitiva
ed una posteriore clericale-manichea, tra le quali si colloca la “caduta”.
La religione naturale (o “religione minimale”), come la concepiscono gli autori,
è apertura verso il trascendente, aspirazione all'eternità. Il
clericalismo manicheo, che gli autori chiamano con un neologismo un po' astruso
“teoetotomistico”, è invece quello che si occupa moralisticamente del
dualismo “bene-male”, “luce-tenebre”. Così messe le cose il discorso
sembra filare liscio.
Nell'Eden ci sono due alberi (qui il riferimento iconologico è felice),
quello “della vita”, che corrisponde alla religione che aspira all'eterno, e
quello “della conoscenza del bene e del male”, che corrisponde allo sdoppiamento
della realtà, dell'uomo e alla fin fine di Dio.
E se ne dirà in seguito tutto il male possibile. La storia allora è
questa:
RELIGIONE > (CADUTA) > CLERICALISMO
Dove si colloca, in questo quadro, la Scienza,
che un approssimativo calcolo temporale dovrebbe sistemare alla fine dell'ultimo
periodo?
I nostri autori compiono una operazione garbata. Lasciata la Scienza nella modernità,
quasi come quarto momento, successivo al clericalismo, ad essa assegnano una
visione del mondo che corrisponde, nelle grandi linee, al nucleo centrale della
visione religiosa naturale. Questa era “poetica, ingenua, sa pienziale”, a fronte
della Scienza di oggi che è prosaica, astuta e pratica. Ma esse ne condividono
le motivazioni fondamentali e la rappresentazione generale. E allora si
sarebbe tentati di disporre in circolo i tre momenti della civiltà:
RELIGIONE > (caduta) CLERICALISMO > SCIENZA >
lasciando intravedere un ritorno post-scientifico
alla religione primitiva, che gli autori certo non preconizzano. Le società
clericali (teo-eto-tomistiche) avrebbero avuto breve durata, da 5-4.000 anni
a.C. ad oggi, ma coprirebbero, in sostanza, tutto il periodo delle nostre “grandi”
civiltà letterate: l'egizia, la minoica, la mesopotamica, la greco-romana,
la ebraico-cristiano-islamica. Esse avrebbero adottato il sistema “classista,
autoritaristico, sessuo-repressivo” e sarebbero state guidate dalla norma patriarcale
“cui è intrinseco l'elemento di controllo: controllo della natura, di
donne, di bambini” (Fromm).
È apprezzabile l'impegno degli autori di non legare la “caduta” a una
rivoluzione socio-economica, come quella che si verificò all'inizio della
civiltà agricola-sedentaria. La “caduta” non fu una necessità,
fu un “peccato”, cioè un decadimento autonomo intervenuto nello spirito
umano. A favore di questa tesi, gli autori presentano i reperti del sito di
(Çatal Hüyük, scoperti da J. Mellaart in Anatolia e datati
ben 9.000 anni prima di oggi. L'agricoltura e la vita cittadina erano già
cominciate, eppure non si registrano dislivelli sociali, evidenze di una classe
dirigente autoritaria, violenze e personalismi. La religione di Çatal
Hüyük è tutta fondata sul culto della Grande Dea e (a giudizio
del recensore) su sviluppate conoscenze biologiche e astronomiche. Ci può
dunque essere una società (c'è stata) socio-economicamente simile
alla nostra e tuttavia non autoritaria (teoetotomistica). Questo è un
messaggio di speranza.
La distinzione che gli autori stabiliscono tra religione e moralismo mi trova
pienamente d'accordo, come il loro rifiuto di considerare primitive e selvagge
le culture preistoriche (paleolitiche). Anzi io tenderei ad attribuire loro
un tensione spirituale superiore a quella dei tempi moderni, e una cultura scientifica
per nulla ingenua e approssimativa. (In una ricerca pubblicata sul n° di
sett. 94 del “Giornale di Astronomia”, ho dimostrato che gli uomini dell'età
del ghiaccio conoscevano le nostra costellazioni e la Precessione del Polo).
“Tutto ciò che è grande nasce grande”, scrisse Heidegger.
La collocazione della Scienza come un'affermazione della ragione gentile e incantata
è il punto che mi convince di meno. Il vedere la natura astrattamente,
dal “di fuori”, è tipico della Scienza, ed è ben simboleggiato
dal furto del pomo (o del fuoco prometeico). Nella Scienza persisterà
sempre, come nella religione, una tensione tra il momento della partecipazione
e quello del dominio sulla natura e sull'uomo, tra amore del sapere e scientismo.
Anche la Scienza soffre di manicheismo, di clericalismo e di autoritarismo,
e richiama un riscatto che la ricongiunga alla scienza di sempre, ai confini
con l'eternità.
Giuseppe Sermonti
Da: Rivista di Biologia/Biology Forum,
Volume 89 N° 1 (Gennaio – Aprile – 1996) Pag. 12-16
Casa Ed. TILGHER Genova