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È chiaro come dal punto di vista ontologico ciò risulterebbe estremamente significativo nella definizione di accezioni filosofiche quali predeterminazione, responsabilità, libero arbitrio e libertà per la creatura umana. Un essere reale, finito, cosciente quale l'uomo, è forzatamente posto nella necessità di porre in atto decisioni, specialmente quelle intese come volontarie, che in realtà sono sempre e comunque frutto di una valutazione parziale dei veri elementi causali di ogni evento, pur infinitesimo che sia. In tale evenienza pan-deterministica questa volontarietà e ponderatezza risulterebbero allora soltanto perfette illusioni di attuare scelte, gesti, principi, emozioni coscienti e libere mentre in realtà l'ente senziente, assolutamente inconsapevole della vera causa determinante di ogni evento, pone in essere solo oscure dinamiche sottostanti ad ogni possibile percezione d'individualità e libera scelta. Ma non è tutto. La cosa più frustrante ed irrimediabile è che questo ora avverrebbe nella consapevolezza che le cause ultime di ogni infinitesima dinamica naturale risiedono, in ultima analisi, oltre il muro costituito dal limite d'indeterminazione di Heisenberg.

Ogni risposta alle nostre vertiginose domande è infatti irrimediabilmente celata oltre quel (dove =3,14159..., h =costante di Plank, il prodotto dell'indeterminazione della posizione e velocità della particella di massa m), che chiude la nostra osservazione al mondo dell'infinitamente piccolo. Nell'eventualità di relazioni sottostanti agli eventi microscopici descritti indeterministicamente dalla meccanica quantistica, ovvero dell'esistenza delle cosiddette variabili nascoste, il muro di indeterminazione di Heisenberg si andrebbe a porre lungo i termini di una sequenza causale totalmente deterministica, precludendo la determinazione di tutti i livelli inferiori da parte di un qualsiasi osservatore fisico macroscopico.

Fig (1)

Questa eventualità sancirebbe in modo irreversibile sia una perfetta e totale predestinazione del reale che una altrettanto perfetta e totale impossibilità per qualsiasi essere cosciente di risolvere quest'angosciante ignoranza. Non è azzardato allora considerare come questa paradossale realtà sembra generare un disagio ben più profondo, oggettivo ed immediato di quello paventato da Einstein e dagli altri scienziati che rifiutano i paradossi della fisica quantistica.

Si può immediatamente osservare per contro come le cose cambino in modo radicale nell'eventualità che la concezione intrinsecamente indeterministica procedente dalla meccanica quantistica rappresenti la corretta interpretazione della dimensione quantistica. Nella misura in cui la soglia d'indeterminazione di Heisenberg rappresenti dunque un'oggettiva cesura causale tra il determinismo dei livelli fisici classici, principalmente macroscopici, e l'intrinseca indeterminatezza dei livelli quantistici, principalmente subatomici, si ottiene una rappresentazione generalizzata della realtà in cui non si ha nessun insondabile sfondamento di tale soglia.

Fig (2)

Ciò implica considerazioni peculiarissime dal punto di vista metafisico epistemologico. Per primo il determinismo del mondo reale giunge sino alla soglie di fenomeni quantistici indeterministici e ciò ci permetterebbe di osservare come la natura esprima, alla soglia dei livelli accessibili all'osservazione da parte di enti coscienti fisici, un'intrinseca ed apprezzabile indeterminatezza.

Una semplice considerazione metafisica: è veramente azzardato intendere, seppur come mera ipotesi di contorno di un'ipotesi teistica, questo fatto quale messaggio altamente significativo della natura?

Questa qualità spezza ogni sequenza deterministica introducendo continuamente, per ogni evento quantistico, una novità, un'indeterminabile componente di caos fisico che, specialmente nell'ottica delle dinamiche dei sistemi complessi e del caos, funge da polmone indeterministico inesauribile di tutte le possibili dinamiche successive, sia nella dimensione spaziale che temporale.

Questa valenza caotica, introducendo degli elementi perturbanti in ogni istante, evento e luogo nella sequenza Ez(p), rende intrinsecamente imprevedibile ogni pur elementare dinamica naturale. Ad ogni livello, infiniti eventi quantistici I, causalmente disgiunti dalla sequenza in corso, ed assolutamente non imputabili ad alcuna legge deterministica sottostante, entrano inattesi nella stessa, insufflando il reale di novità, in una continua, infinita creazione ex novo di ulteriori dinamiche causali di evoluzione – dunque di sequenze di eventi naturali – assolutamente imprevisti nella . Tale situazione potrebbe essere così rappresentata:

Fig (3)

L'inestricabile complessità della natura, come accennato, è così perentoriamente sancita dalla coazione tra evoluzione dinamica dei sistemi fisici e meccanica quantistica. Il divenire dell'universo, in ogni infinitesima espressione, non è dunque contenuto nel novero delle condizioni iniziali da cui avrebbe preso origine la realtà naturale attuale: la conoscenza delle leggi naturali e delle condizioni iniziali non può più rappresentare completamente il dinamico evolversi dei sistemi fisici. La non linearità delle leggi fisiche, spesso definite da relazioni complesse tra numerose variabili, amplifica esponenzialmente l'influenza esercitata da ogni pur infinitesima componente dell'intero universo. Ne deriva che il progredire della quasi totalità dei sistemi fisici, sin dai più semplici, è intrinsecamente imprevedibile: la realtà risulta essere, a livello di dettaglio, perfettamente caotica, pur essendo intesa, nei livelli superiori, in un quadro generale olisticamente deterministico.

Vorrei far notare come l'indeterminatezza quantistica proponga anche una possibile soluzione al problema della continuità dello spazio/tempo relativistico, visto che i processi in cui si realizzerebbe la risoluzione degli stati controfattuali, il cosiddetto collasso quantistico, rappresenterebbe un'asimmetria tale da incanalare il divenire dei fenomeni fisici propri del continuum spazio tempo in un'unica direzione temporale risolvendo così i problemi connessi alla freccia del tempo sollevati dalla visione einsteiniana della natura.

Dalla considerazione completa del paradigma incentrato su tale asimmetria della realtà fisica derivano dunque un universo, una realtà naturale che esprime, prodigiosamente, una qualità preziosissima: la maggioranza dell'evoluzione dei sistemi fisici, dai movimenti degli strati atmosferici alle più microscopiche dinamiche biologiche, mostra un comportamento in cui l'elemento deterministico delle leggi fisiche s'interseca profondamente con una intrinseca, rilevante frazione di aleatorietà, determinando armonicamente e simultaneamente una leggibilità, complessità ed imprevedibilità prodigiose della realtà.

A tal pro c'è da osservare come molte altre conferme di questo paradigma provengono dall 'odierna cosmologia non fanno altro che porre contributi ulteriori, decisivi, all'accezione di una realtà intrinsecamente indeterministica a livello cosmologico. Infatti, molti odierni aspetti teorici di questa disciplina, dalle ipotesi sugli gli stati fisici delle primissime fasi del Big Bang al problema dell'entropia dei buchi neri, dalle rotture di simmetria da cui deriverebbe la separazione delle forze fondamentali della natura alla formazione ex novo di particelle dovute a fluttuazioni quantistiche del vuoto, al calcolo dell'intensità della radiazione fossile di fondo, alle teorie inflazionarie e così dicendo, sono basati sui principi indeterministici della meccanica quantistica. 127

Seppur il maggior ruolo nella definizione di un paradigma indeterministico sembra essere stato espresso da discipline hard come la fisica, possiamo però affermare che il primo, deciso colpo alle passate aspettative deterministiche fu portato, seppur per quanto riguarda i fenomeni biologici, dalla casualità implicitamente affermata da Darwin nella sua teoria dell'evoluzione.

Sviluppatasi a partire dal lavoro di questo pioniere, la moderna teoria dell'evoluzione, base assiomatica fondamentale in tutte le discipline biologiche odierne, pone ulteriori evidenze a favore di un universo intrinsecamente indeterministico, in special modo per quel che riguarda i processi biologici. 128

E la maturità raggiunta dal paradigma evolutivo moderno sembra indicare come siano oramai maturi i tempi affinché lo stesso possa esprima un'influenza anche oltre i suoi più consoni campi empirici di applicazione. Si può proporre infatti un'inedita metafisica teistico realistica, in nuce coerente con il paradigma cosmologico evolutivo. Ciò ovviamente conduce ad ipotesi metafisiche inedite, possono essere comprese appieno solamente ridefinendo lo stesso profilo ideale di divinità e delle modalità del suo intento creativo.

Nella nostra cultura siamo di fatto abituati ad attribuire in toto alla divinità le qualità di ente creatore, ente onnisciente, ente morale ed ad accettare inevitabilmente un determinato rapporto etico tra creatura e divinità. Ebbene, si è dimostrato come questi caratteri non rappresentino affatto un insieme elementare di qualità da attribuire al sacro, quanto coacervi compositi, dovuti all'apposizione di assunti metafisici in realtà fortemente disconnessi tra di loro: infatti si possono teoricamente concepire sistemi teologico cosmologici che ospitano enti sovrannaturali che esprimono solo alcune di queste qualità. Alla luce di questo fatto, è facile notare come la teologia ortodossa sviluppata nella nostra cultura occidentale abbia espresso solo una concezione contingente di divinità, creazione ed altri caratteri ulteriori, fondandosi in particolare su di una visione fissistica, antropocentrica e geocentrica. Tutta la Scolastica, le riflessioni teologiche di autori quali S. Tommaso, S. Agostino, S. Bonaventura, Spinoza, Kant e via dicendo, sono comprensibili solo inscrivendo il problema dell'esistenza di Dio, il rapporto uomo Dio, l'antitesi tra bene e male e così via, in una teologia particolare, ma niente affatto assoluta o elitaria, che risulta essere in realtà strettamente legata ad una cosmologia ed un'antropologia ormai sconfessate, nettamente in opposizione da quelle evincibili dalle odierne teorie scientifiche. E le inquietanti accezioni proposte scienza moderna in merito a queste concezioni metafisiche sono tali che quell'incoerenza, quello scollamento risulta talmente ampio da non poter essere assolutamente superato o composto.

Ad esempio, si hanno seri veti sulla possibilità di postulare determinate finalità nello svolgersi delle naturali dinamiche bio-evolutive. L'impossibilità di cogliere il fenomeno dell'evoluzione biologica, nelle sue singole forme, quale strumento di un progetto originario incentrato sull'emersione nel creato della specie umana, come abbiamo visto anche nelle parole di autori come Gould e Dawkins, rappresenta un ostacolo insormontabile per intendere le dinamiche naturali quali docili effettori di un magnifico progetto divino puntato sull'uomo.

I processi evolutivi, lasciati a se stessi, mostrano una intrinseca incapacità di condurre all'emersione di un predeterminato obiettivo filogenetico – a meno di invocare un continuo intervento correttore degli eventi mondani tramite una provvidenziale supervisione divina di ogni infinitesima dinamica naturale, aspetto questo estremamente problematico da proporre. Tutto ciò rappresenta in particolare un veto intransigente ai tentativi, mai domi, di contemplare qua e là nelle dinamiche naturali, sedicenti interventi divini destinati ad indirizzare opportunamente le stesse verso fini ultimi, o mete finali. Tentativi che, proprio a causa di questa ostinazione, non fanno che ostacolare qualsiasi valutazione oggettiva di questi aspetti mostrandosi null'altro che ciechi, inopportuni, goffi e sospetti ricorsi a Dio quale soccorso dell'ignoranza umana.

Ma Dio non può essere ridotto in una qualsivoglia concezione teologica che si rispetti a tappare le falle della nostra ignoranza! Né si deve, né si può, ricorrere a Dio per invocare la soluzione delle nostre contingenti esigenze dottrinali; e, più di ogni altro aspetto, Dio non è affatto il soggetto più indicato per ricevere da noi eventuali consigli su come creare.

In proposito, ad un convegno a Forlì, organizzato dalla Nuova Civiltà delle Macchine, in cui avevo trattato delle dinamiche indeterministico evolutive come modalità di emersione delle forme complesse, uno dei presenti, un seminarista, rimbrottò seccato: «Se lei sostiene che le forme di vita complesse presenti sulla terra, l'uomo stesso, tutti noi presenti qui ora, siamo derivati solo ed esclusivamente da queste dinamiche evolutive, a suo dire così intrise di caso ed indeterminatezza, e che il creato stesso sia estesamente lasciato in balia di tale cieco caso, allora la prego di rendersi conto di come e quanto lei stia offendendo la mia intelligenza!» Replicai semplicemente: «Ma scusi, lei con quale autorità o conoscenza pretende di insegnare a Dio come creare?» Non ebbi risposta.

Ritornando al nostro tema, possiamo affermare come il paradigma deterministico, o meglio pan deterministico, rappresenta un'eventualità che mina irrimediabilmente il più blando principio di libero arbitrio delle creature. Al contrario, nel contesto di un universo indeterministico, caotico, autorganizzantesi, è evidente un fatto fondamentale in funzione della possibilità di affermare una qualsiasi istanza teologico teleologica. Ma questo fa si che ogni creatura che si origina nel creato tramite il processo evolutivo risulta essere assolutamente impredicibile nei suoi caratteri particolari, sia somatici che principalmente etologici, data l'intrinseca casualità presente nell'interminabile serie di eventi con cui essa si viene ad originare. Parimenti, assolutamente imprevedibile è il contesto spazio temporale ove ciò si andrà a verificare. 129

Se proviamo infatti ad ipotizzare, sulla base delle attuali risultanze scientifiche, quale possa essere il profilo generale delle creature dotate di psichismo sufficiente ad esprimere una qualche forma di autocoscienza, dovremmo attribuire a tali enti senzienti la condivisione di caratteri biologici ed etologici necessariamente ricorrenti – a prescindere dal contingente ambito bio-evolutivo da cui originare. Simili creature devono infatti esibire capacità psico intellettive e percettive assai raffinate, per molti versi addirittura ipertrofiche rispetto alle necessità esistenziali fondamentali, in grado attuare una adeguata interpretazione strutturale e logica degli aspetti ontologici della realtà.

Le capacità intellettuali umane si fondano su di un'interpretazione della base sensoriale grezza in cui si definiscono ed identificano prevalentemente oggetti singoli, enti dotati di persistenza spazio temporale, che proprio per queste loro caratteristiche formali ed essenziali possono essere colti in relazioni reciproche. Bisogna altresì considerare che questa capacità interpretativa esula dalle mere prerogative sensoriali, pur risultando profondamente ed ineluttabilmente connessa con queste.

Sia che si tratti ad esempio di un'osservazione diretta di un ambiente, che del semplice guardare una fotografia, possiamo riconoscere «un bicchiere appoggiato su di un tavolo», piuttosto che essere noi stessi quasi fatti oggetto di una piatta ed informe percezione cromatica, solo ed esclusivamente attribuendo quasi intenzionalmente ai vari insiemi percettivi un senso logico e strutturale, una propria unità ed univocità fisica, associate ad una persistenza ed estensione spazio temporale. Da parte sua quest'ultimo aspetto, la persistenza ed estensione temporale, è esso stesso decisivo: ciò ci porta ovviamente a postulare l'esistenza di una base mnemonica anch'essa finemente integrata con l'incessante flusso percettivo – sempre debitamente rielaborato e definito intellettualmente a livello strutturale ed ontologico. Ecco quel che ci fa riconoscere «lo stesso bicchiere appoggiato su di un tavolo» anche mentre ci muoviamo attorno a quest'ultimo, a prescindere dunque da eventuali variazioni di illuminazione, della prospettiva, delle dimensioni apparenti, della continua trasformazione dell'angolo di osservazione dell'identico quadro percettivo e così via dicendo.

Queste funzioni interpretative sono infatti fondamentali in qualsivoglia processo cosciente, in qualsiasi atto razional-intellettivo: ed è infatti solo contando su questa base percettivo neurale che noi esseri umani possiamo dar luogo alle forme di attività mentale con cui attuare i processi di identificazione, classificazione, estensione e persistenza spaziale e temporale, di relazione causale etc. sugli enti che identifichiamo sotto il profilo semantico dalle informazioni grezze procedenti dall'incessante flusso percettivo.

Ma tutto questo implica necessariamente il poter contare su livelli sufficientemente integrati di percezione sensoriale e cinestetica, dunque su forme di rielaborazione psico percettiva altamente integrate e soprattutto ridondanti, in grado di farci disporre di una percezione estesa quanto esplicativa della realtà esistenziale. Solo sistemi neuro percettivi adeguatamente potenti sono capaci, ad esempio, di dare origine a modalità di visione cromatica ed alla ricostruzione spaziale tridimensionale del campo visivo – modalità percettiva questa fondamentale nell'attuazione dei nostri processi logici – ed alla composizione ed interpretazione dello stesso in oggetti a cui sono attribuiti caratteri propri e persistenti, così da coglierli quali entità a sé stanti, magari animate, rispetto ad uno sfondo a cui attribuire un ben diverso senso ontologico. Ecco come sappiamo cogliere il concetto di «volo di una farfalla su di un campo fiorito» a partire da quell'affresco solare di colori e movimenti di luce che giunge ai nostri occhi in una tersa giornata di maggio. È chiaro che qualcosa di analogo è già possibile ad organismi quali una rondine, od un rospo; ma i dati anatomico etologici attualmente disponibili ci mostrano come solo in forme di vita di maggior complessità emergono dotazioni neuro percettive capaci da giungere ad interpretazioni del campo percettivo tali da condurre a quei comportamenti complessi, ben più esplicitamente intenzionali, in cui sia sempre più evidente quella rielaborazione razional-intellettiva posta alla base di una qualche forma di coscienza riflessa.

Inoltre c'è da considerare la necessità, significativa sotto il profilo cognitivo, di interpretare debite porzioni del proprio campo psico percettivo come proprie di un da contrapporre alla percezione di una realtà esterna in tempi di rielaborazione molto brevi, tali da far scaturire reazioni pertinenti, immediate ed efficaci di tutte le informazioni inerenti la realtà. È su questa base organica infatti che giungiamo a cogliere il concetto del nostro corpo, manifestazione di un concreto e tangibile, ampiamente e costantemente sovrapposto a quell' Io, alle sue percezioni ed ai suoi stati interiori, a quel soggetto interno che contrapponiamo logicamente ed ontologicamente alla realtà esterna, al mondo esterno. Ebbene, tutte queste performances possono essere esibite solo da organismi adeguatamente complessi sotto il profilo neuro-motorio; organismi che hanno dunque necessità di raffinate rielaborazioni sensoriali ed intellettive dell'ambiente, o meglio, degli ambienti che percepiscono, in cui agiscono, in cui si muovono e di cui attuano la ricostruzione strutturale.

Orbene, tutti questi caratteri implicano estese capacità di movimento e, di conseguenza, centri efficaci di coordinazione dello stesso. Ed è proprio da questi caratteri organico funzionali di base, dalla pianificazione e coordinazione dei movimenti più complessi e rapidi che sembrano essere emerse, tramite un tortuoso processo evolutivo, capacità umane superiori come la capacità d'immaginazione spazio temporale, la manipolazione e composizione dei significati logico ontologici nonché – come “strumento” di tali esigenze psico-intellettuali - il linguaggio. 130 Ora, questa concomitanza di caratteri, queste necessità operative, possono essere soddisfatte solo ed esclusivamente da organismi dotati di metabolismo efficiente e veloce, capace di supportare energeticamente l'attività motoria e non di meno neurale: sin noti a tal pro che l'attività del nostro cervello assorbe mediamente circa il 20% dell'energia metabolica complessiva impiegata dal nostro corpo.

Facendo riferimento alle varie forme viventi conosciute ed ulteriori aspetti bio-ecologici, ciò ci fa concludere che tali caratteri psichici debbano esser tipicamente posseduti da specie animali, eterotrofe, ovvero che si procurano il cibo attivamente, tramite un comportamento predatorio di altre forme viventi – necessità queste che richiedono lo sviluppo evolutivo di apparati neuro sensoriali e motori particolarmente raffinati. E queste specie, sulla base di quanto possiamo osservare nella storia della vita sulla terra, sono riscontrabili tipicamente ai livelli medio superiori delle piramidi ecologiche.

Ci sono poi da aggiungere ulteriori valutazioni: queste forme di vita presentano caratteri psichici che si possono esprimere solo in concomitanza di forme di aggregazione sociale sufficientemente ampie, ove vengono ad attuarsi dinamiche di apprendimento e di interazione intersoggettive tali da sviluppare forme di comunicazione complesse, idonee a tali livelli culturali, ma soprattutto fondamentali per l'emersione ed attuazione dei processi autocoscienti. Solo questi ambiti infatti sembrano in grado di attivare quelle spinte culturali evolutive da cui la base organico neurale può essere sospinta a livelli psichici in cui finalmente emergeranno capacità mentali, intellettive tali da dar origine al fenomeno della coscienza riflessa.

Ora, in considerazione del fatto che sempre e comunque tutto ciò deve potersi sorreggere su di una consona base organica, e non di meno che questi caratteri devono essere intesi sempre e comunque come fenomeni emergenti da stadi anteriori, sprovvisti di queste prerogative, sia a livello filogenetico che ontogenetico, dobbiamo giungere alla conclusione che tali prerogative non possono esprimersi se non tramite un concorso inestricabile tra istanze genetiche e culturali: questo vuol dire che le forme concrete di realizzazione di queste prerogative intellettive possono essere riscontrate non solo sulla base della complessità meramente organica di cui si è parlato sinora, ma altrettanto e non meno su quei livelli di strutturazione sociale che solo le forme viventi animali superiori, a prescindere dalle specifiche famiglie zoologiche, mostrano di aver raggiunto – o di cui potrebbero disporre in potenza qualora le condizioni eco evolutive lo giungano a permettere.

Un aspetto importante riguarda il particolare plateau intellettivo a cui queste forme coscienti potranno approdare: un ambito su cui realizzare forme di coscienza riflessa in cui inevitabilmente si possa osservare l'emersione di istanze pienamente coscienti da una base percettiva ed inconscia.

Ora, questo quadro è tale da configurare – si pensi all'esempio precedentemente riportato delle forme di vita di E. Wilson – un ambito cosciente limitato, quanto evolutivamente condizionato da aspetti ontologici simili ai nostri. Questo vuol dire che in tali ambiti si giunge inevitabilmente a riscontrare tematiche filosofiche sull'origine e sulla natura della realtà cosciente dell'individuo in oggetto, sulle sue caratteristiche intrinseche, e non meno sul suo futuro analoghe alle nostre. Tematiche rivolte all'ineluttabile fine fisica, alla collocazione e senso ontologici dell'essere, alle eventuali origini, senso della realtà esterna che il soggetto senziente sperimenta e quant'altro. Ebbene, in questa cornice metafisico ontologica l'ente senziente non può che comprendere i nevitabilmente, giusto applicando le ontologiche categorie spazio temporali, causali mediate dalla propria stessa realtà, anche il problema inerente l'esistenza di eventuali entità da porre filosoficamente e logicamente quali causa causarum dell'intero reale: ovvero dell'esistenza di un ente creatore divino. Dio.

Un così elevato livello psichico nella dotazione organica di tali creature, e di conseguenza tali risultati intellettivi, sembrano dunque essere realizzazioni esclusive, o se vogliamo tappe avanzate, di processi bio-evolutivi in atto su di opportuno e specifico materiale biologico: dobbiamo quindi attenderci, nel quadro di una qualsiasi possibile piramide ecologica, l'emersione di queste forme viventi da forme animali sufficientemente complesse, di adeguata dimensione e capaci di una alta capacità motoria, supportate fisiologicamente da un elevato metabolismo basale, capaci poi di occupare efficacemente nicchie ecologiche tra le più distinte a seguito di capacità etologiche puntate su quella de-specializzazione comportamentale ed istintuale a cui fa l'evoluzione organica fa fronte con un'amplificazione operativa dello stesso psichismo. Organismi dunque in cui risultino già attuate manifestazioni sociali e socio affettive in grado di stimolare un significativo tasso di apprendimento culturale, dunque da cui sia possibile giungere, in tempi evolutivi ragionevoli, ad idonei sistemi di elaborazione intellettiva, dunque a modalità di scambio rapido, semanticamente efficace e dettagliato di informazioni.

Questi aspetti implicano che tali forme di vita possono essere annoverate tra quelle in cui il cosiddetto ventaglio genetico giunge alle sue più estreme potenzialità, e in cui siano già significativamente in atto meccanismi ulteriori, imperniati su fenomeni rispettivamente epigenetici ed esogenetici. Ecco dunque il profilo in cui è possibile riconoscere una possibile, tipica specie auto cosciente emergente da un processo bioevolutivo. A questo punto è necessario spendere due parole sul possibile contenuto delle rielaborazioni intellettive di tali forme di vita autocoscienti, sul tipo di esperienza logico razionale che tali soggetti potrebbero attuare. C'è da sottolineare innanzi tutto come non sia possibile in questo ambito sviluppare alcuna ipotesi che non sia fondata su mere speculazioni.

Vari autori hanno sinora delineato come le nostre attuali capacità logico percettive siano fortemente influenzate dalla nostra particolare collocazione tassonomica, dai caratteri contingenti della nostra radice biologica e come, nell'ipotesi di altre forme di vita autocoscienti, sia forse possibile osservare l'attuazioni di ulteriori forme di autocoscienza. Pur condividendo tali indicazioni è comunque da osservare che per quanto riguarda lo spazio evolutivo in cui tali eventuali forme possono prendere origine, è poco probabile che le forme di inferenza logica, gli stessi contenuti logici che ci guidano nel nostro agire quotidiano, ed ancor più che ci permettono una conoscenza così efficace e verificata della realtà esterna, possano non esser proprie anche di queste altre probabili fonti di vita. Ovvero, lo stesso meccanismo evolutivo sembrerebbe in grado di restringere le possibili configurazioni razional-intellettuali condivisibili da una qualsivoglia forma di vita autocosciente.

Questo contribuirebbe dunque ad oggettivizzare, pur negli ovvi limiti, lo spazio ontologico in cui una data forma di vita andrebbe a trovarsi, con il risultato che tale situazione, che richiama il plateau di poco sopra, rappresenterebbe una sorta di dimensione inevitabile a cui tali creature sono destinate ad approdare. È ovvio allora che su tale dimensione solo sia possibile invocare, sotto il profilo etico, giusto a prescindere da qualsiasi contingente carattere biologico, solo ed esclusivamente l'attuazione di quella prassi logico ontologica che è alla base della nostra stessa attività razional-intellettiva, della nostra stessa base psico percettiva.

Questo implica che a tali creature sia possibile attribuire solo ed esclusivamente l'espressione di quella base ontologica che rappresentiamo con il termine di autonomia etica personale. Ovvero se ci accingiamo a definire lo spazio operativo di queste creature l'unico carattere che possiamo intendere quale termine comune di quella sorta di classe ontologico tassonomica in cui esse stesse potrebbero essere incluse, non possiamo che rivolgerci alla loro potenzialità di esprimere quell'autonomia etica, quella responsabilità e quella liceità di espressione piena e responsabile delòa propria principale caratteristica. Quella di essere creature finite, per questo fallaci, ma libere di esprimere questa loro libertà di creature, giusto considerato il contesto in cui sono state originate ed in cui possono agire. Ovviamente questo nucleo di caratteri è da intendere quale sorta di attrattore ontologico nell'alveo di un sostanziale in determinismo di fondo delle dinamiche bioevolutive – e non di meno dei quadri cosmologici in cui questo potrà andare eventualmente ad attuarsi.

Ne deriva allora che ogni ipotesi finalistica che non sappia ovviare a questi aspetti indeterministici risulti assolutamente improponibile.

In particolare, rispetto ai canoni metafisici delle ortodosse teologie dalla nostra cultura, la classica concezione di un universo in cui predeterminate creature siano alfine chiamate a realizzare, con la loro speciale emersione, la base biologico fenomenologica su cui imporre l'attuazione di assoluti, sovrannaturali principi etici, risulta totalmente incompatibile con l'universo descritto dalla scienza attuale. 131 Come esigere infatti che una data linea evolutiva condurrà a e quella determinata specie vivente ed ancor più a quei peculiari caratteri biologici che ne determineranno, ad esempio, la sessualità?

Dal punto di vista fenomenologico causale come stabilire principi morali assoluti, ad esempio tabù sessuali, principi sociali etc. a priori dello stesso evento creativo, dunque a monte del livello (0), se addirittura le particolarità anatomico etologiche di un essere vivente - evento Es(k), ove k è un intero di molto maggiore di zero – risultano assolutamente impredicibili, visto il corso di milioni e milioni di anni di processi di evoluzione intrinsecamente indeterministica frapposti tra l'ipotetico atto originario e tale ente terminale?

Tali entità o qualità contingenti non possono essere assolutamente intese, nell'eventualità di una loro realizzazione, quali mete finali di un intento originario affidato alla spontanea, naturale attuazione del processo di evoluzione cosmico biologica. E tale impossibilità è perentoriamente sancita dalle stesse modalità sull'evoluzione dinamica dei sistemi fisici, dalla meccanica quantistica e dai recentissimi studi sul caos che, nel contesto delle dinamiche bio evolutive, giungono ad avere un risalto peculiarissimo.

Il divenire dell'universo, ed in particolare delle forme viventi, in ogni dettaglio o espressione, non è infatti assolutamente contenuto nel novero delle condizioni iniziali da cui la realtà naturale attuale ha preso origine: né può la conoscenza delle leggi naturali e delle condizioni iniziali rappresentare completamente il dinamico evolversi dei sistemi fisici.

Ma è allora scientificamente impossibile sostenere un qualsivoglia contenuto teleonomico nelle dinamiche naturali? Non sembra affatto, né, sia chiaro, si è minimamente detto questo. Quel che si vuol sostenere è solo ed esclusivamente la possibilità di assumere una ben precisa connotazione universale ai processi bio evolutivi con l'evenienza che questi fenomeni risultino al più statisticamente ricorrenti nell'universo, con scenari peraltro sempre unici, irripetibili ed imprevedibili nei dettagli.

E questa ipotesi risulta perfettamente lecita e realistica anche in un contesto indeterministico. In effetti, il processo evolutivo può essere legittimamente visto come fenomeno a cui attribuire la possibilità di dare origine, nel tempo e nello spazio, comunque in forme e contesti assolutamente imprevedibili a priori, a generiche, contingenti realtà biologiche, progressivamente più complesse. In particolare, è possibile riconoscere una probabilità apprezzabile all'originarsi di quadri bio evolutivi in cui emergano organismi psichicamente sempre più raffinati, capaci infine di giungere all'emersione dell'intelligenza, della coscienza riflessa. Ed è quest'ultima osservazione, se opportunamente collocata, che assume profondo risalto teologico.

In tale eventualità infatti, l'innegabile indeterminatezza che pervade ciascun itinerario bio evolutivo sfuma, sulla base di tali ricorrenze, in una valenza universale del fenomeno evolutivo cosmologico biologico. Questo fa sì che nella stessa misura in cui non è possibile avanzare alcun specifico finalismo nel singolo processo evolutivo, evidenti e generici contenuti finalistici emergono chiaramente qualora si comprenda tale processo al di là della contingenza dei singoli eventi che di volta in volta hanno ad esempio contraddistinto l'affermazione della vita sulla terra o i caratteri dei singoli esseri viventi. Tali risultanze, prese in considerazione nel tentativo di sostenere una valenza finalistica nei processi evolutivi, possono far realisticamente deporre a favore di un quadro che postuli nell'universo una emersione ripetuta, dunque statisticamente attendibile, seppur rara, di eventuali forme viventi autocoscienti.

E' importante analizzare tre principali aspetti connessi con il fenomeno dell'emersione della vita. Il primo è di tipo cosmologico e riguarda la formazione di appropriati sistemi planetari. Il secondo verte sulla biochimica prebiotica sia nello spazio esterno che nella biosfera dei pianeti stessi. Il terzo è riferito ai processi bio evolutivi veri e propri. In tutti questi aspetti è necessario tenere in debita considerazione, il contributo sempre più decisivo ed insostituibile delle teorie sulla complessità e sull'autorganizzazione dei sistemi fisici complessi.

L'aggiornamento dello stadio di conoscenze in merito a questi fenomeni sta spostando sensibilmente le stime probabilistiche relative alla possibilità di vita nell'universo, anche rispetto a pochi decenni or sono. Dapprima è da notare che il miglioramento delle tecniche di osservazione astronomica, fondate per ora sulla ricerca indiretta di pianeti tramite oscillazioni della posizione delle stelle indotte da contributi gravitazionali di oggetti celesti prossimi alle stesse, ha condotto alla scoperta di dischi planetari e pianeti in sistemi di stelle sia singole che multiple. 132 Ciò è molto incoraggiante in merito alla possibile diffusione dei sistemi planetari nel cosmo, d'altronde attesa in base alle attuali, riconosciute ipotesi di evoluzione planetaria. Alla luce delle più recenti ricerche e simulazioni numeriche prospettano poi che le stime relative alle cosiddette fasce abitabili, cioè le zone di un sistema planetario in cui sia possibile la formazione di siti idonei all'evoluzione biologica sono sensibilmente ampliate rispetto alle concezioni passate. 133 C'è anche da sottolineare come la possibilità che i pianeti possano avere a loro volta dei satelliti, i quali esercitano una forte azione stabilizzante dei moti di rotazione, è sempre più riscontrabile nelle simulazioni computerizzate più perfezionate, che tengono conto nelle iterazioni gravitazionali, di algoritmi imperniati sulle teorie del caos e della complessità, sugli attrattori.

Fenomeni di risonanza gravitazionale di natura frattale sono ad esempio stati efficacemente usati per spiegare sia le fasce di asteroidi tra la Terra e Marte sia gli anelli di Saturno che la determinazione delle fasce abitabili anche attorno alle stelle doppie - che rappresentano l'80% circa dei sistemi stellari.

Ulteriore contributo viene dagli studi sulla formazione interstellare abiogena di sostanze organiche. Alle basse temperature degli spazi interstellari la chimica classica afferma l'impossibilità di una formazione apprezzabile di sostanze complesse, quali ad esempio polimeri organici, aminoacidi etc.

Le registrazioni radio astronomiche evidenziano per contro l'esistenza di notevoli quantità di tali sostanze, in grado di formare addirittura immense nubi interplanetarie. Tali fenomeni vengono efficacemente interpretati anche tramite la teoria quantistica, e precisamente con meccanismi quanto meccanici come l'effetto tunnel, in cui particelle ed atomi possono forare barriere energetiche che conducono alle configurazioni molecolari più complesse, altrimenti non superabili data la bassa energia cinetica posseduta da questi a temperature prossime allo zero assoluto.

Un'ulteriore elemento esplicativo in merito alla specificità di queste reazioni potrebbe derivare da nuovi settori di ricerca dell'elettrodinamica quantistica che vertono sull'effetto selettivo indotto dal campo elettrodinamico associato ad atomi o configurazioni molecolari. Esso conduce, tramite processi di risonanza quantistica, alla definizione di domini spaziali di coerenza delle proprietà fisiche della materia estremamente interessanti a livello biochimico.

Questi ultimi fenomeni si annunciano infatti fondamentali sia in questo campo della chimica a basse temperature che nella biochimica prebiotica del classico metabolismo biologico, ad esempio per il loro ruolo nella specificità enzimatica ai normali livelli energetici. Recenti sviluppi teorico sperimentali hanno d'altra parte condotto ad intendere sempre più il processo di selezione naturale quale fenomeno a cui attribuire la possibilità di dare origine, nel tempo e nello spazio, comunque in forme e contesti assolutamente imprevedibili a priori, a realtà biologiche progressivamente più complesse. Questo è dovuto principalmente ai progressi nella comprensione dei meccanismi di evoluzione biochimica prebiotica ed al ricorso di modelli matematico evolutivi sempre più raffinati. 134

Ma uno dei problemi principali della teoria dell'evoluzione è quello di giungere al livello dell'organismo. I meccanismi evolutivi infatti sono adatti a determinare le dinamiche evolutive delle popolazioni viventi, di organismi in grado di contare su basi fisico metaboliche atte ad immagazzinare informazione, di tradurre operativamente tali informazioni in strutture e processi biologici, eppure sono risultati sinora inapplicabili nelle fasi di evoluzione prebiotica.

Il problema epistemologico principale è rappresentato dall'origine stessa delle forme viventi. Da tutti quei passi che, dunque, avrebbero dovuto condurre, a partire da caotiche mescolanze di composti chimici più o meno semplici, alle complesse, prodigiose relazioni metaboliche e strutture cellulari delle forme viventi. Difficoltà che innumerevoli studiosi e divulgatori hanno espresso con metafore – qualche volta assolutamente infondate – nelle quali si paragonava, ad esempio, la probabilità dell'origine della vita per mezzo del cieco processo evolutivo a quella del brano di W. Shakespeare battuto a caso da una scimmia dattilografa, o del Boeing 747 che si assembli semplicemente lanciando in aria tutti i suoi componenti.

Queste critiche, pienamente comprensibili nel quadro culturale mantenutosi sino a qualche decennio or sono, stanno comunque assumendo un risalto sempre meno significativo da quando gli scienziati hanno cominciato ad applicare e verificare proprio le recentissime teorie sul caos e sulla complessità nei processi di autorganizzazione spontanea della materia. Questi contributi si sono infatti rivelati quanto mai decisivi per l'esatta valutazione delle potenzialità teleonomiche del meccanismo evolutivo. Nel contempo questi elementi determinano decisamente alcune qualità soggiacenti di tale processo estremamente pertinenti nel nostro discorso.

Prendiamo ad esempio il problema dell'evoluzione prebiotica. Ogni tentativo di stabilire le probabilità di ciascuna singola tappa di un generico processo bio evolutivo trovava proprio a questo livello un vero e proprio collo di bottiglia. E qui, invero, puntano in special modo le critiche dei sostenitori di una visione creazionistica. Come potrebbe essere stato mai possibile che da questo caos possano essersi originate, tramite fenomeni altrettanto caotici, neutralistici le strutture ordinate e complesse delle forme viventi?

I biochimici ed i biologi erano interdetti dinanzi all'impossibilità di spiegare le modalità con cui i complessi cicli biochimici alla base del mondo vivente, caratterizzati da processi di elevatissima specificità funzionale ed efficienza, - si pensi ad esempio ai ruoli specifici e strettamente interconnessi a carico di acidi nucleici (DNA e RNA) e proteine -, possano essere derivati da caotiche reazioni a carico del cosiddetto brodo primordiale.

Una stimolante prospettiva di ricerca per una risposta a questo interrogativo è venuta da due fatti importanti. La scoperta della funzione enzimatica ed autocatalitica dell'RNA - che sembra aver fatto intravedere il meccanismo a cui affidare possibile superamento del problema dell' uovo e della gallina -, e la valutazione della intrinseca stabilità delle strutture tridimensionali, steriche di determinate molecole biologiche.

In esperimenti in cui sono stati fatti ad esempio assemblare in modo spontaneo i costituenti elementari dell'RNA, si è osservato che le miscele dei prodotti ottenuti non consistevano in omogenee combinazioni del tutto casuali nella loro costituzione, cosa che si dovrebbe attendere da un processo così disordinato, bensì presentavano delle insolite prevalenze di poche, ricorrenti configurazioni. Il fatto più interessante è che tali configurazioni di RNA risultano sorprendentemente simili dal punto di vista della conformazione sterica, cioè nella loro struttura spaziale, e nelle sequenze nucleotidiche, all'RNA transfer che realizza il fondamentale accoppiamento tra informazione contenuta nel DNA ed amminoacidi nel processo di sintesi proteica. Queste anomalie quantitative sono spiegate da eleganti concetti quali quelli della quasispecie e degli ipercicli formulate dal Nobel M. Eigen. 135

Questi strumenti concettuali che, molto sinteticamente, descrivono le reciproche relazioni tra macromolecole simili, in cui ogni variante contribuisce a stabilizzare l'altra in un reciproco equilibrio, hanno permesso di estendere la validità dei tipici concetti di selezione naturale anche in campo biochimico prebiotico. E' significativo, e forse per qualcuno sconcertante, notare che le molecole di RNA che risultavano più stabili nelle condizioni sperimentali suddette erano configurazioni di RNA di molto simili a quelle che mediano nella sintesi proteica l'informazione relativa a quattro più diffusi aminoacidi: la glicina, la valina, l'acido aspartico e l'alanina.

Negli esperimenti quali quelli condotti a suo tempo da Stanley L. Miller, dove in un opportuno ambiente confinato venivano fatti reagire gas semplici come metano, ammoniaca, idrogeno e vapor d'acqua, si ha infatti il deposito di composti organici semplici in cui erano presenti miscele prevalentemente composte dai quattro suddetti amminoacidi!

La sorpresa è che da condizioni radicalmente diverse originano, del tutto spontaneamente e naturalmente, associazioni di composti biochimici che, alla luce delle nostre attuali conoscenze del metabolismo vivente, ci balzano agli occhi in tutto il loro sorprendente significato!

Questi eventi possono rappresentare tappe degli itinerari evolutivi abiotici, assolutamente non deterministici quanto naturali, che ci permettono di rivedere in modo radicale le valutazioni quantitative relative all'emersione delle dinamiche bio evolutive: dei gradini, rifacendoci a M. Eigen, capaci forse di colmare l'impressionante gap teso tra la complessità dei sistemi viventi ed il mondo abiogeno. O quanto meno di darci evidenze significative in relazione all'esistenza di meccanismi di auto assemblaggio, di aggregazione spontanea, anche laddove non si immaginava poteva esserne alcuno. Il risultato di questa più sottile interpretazione di tali fenomeni non fa allora altro che allontanare il moderno concetto di selezione naturale dal semplicistico e monotono connubio caso e necessità che sinora ha informato, forse in modo maldestro, molti intenti interpretativi di queste dinamiche. Il raggiungimento dei livelli di complessità e di autorganizzazione necessari per far emergere il fenomeno vita appare dunque non più alla stregua di una emersione miracolosa di un'isola di complessità dal piatto oceano di una totale e caotica informità ed indifferenziazione.

Piuttosto, esso risulta derivare da processi di continua trasformazione biochimica prima e di mutazione genetica poi che, passo dopo passo, fanno conquistare alle forme biochimiche prima e biologiche poi i rilievi, all'inizio poco accentuati poi progressivamente più elevati e scoscesi, di un paesaggio evolutivo topologicamente differenziato, fatto da picchi, valli, dossi, altopiani di diversa stabilità, perfettamente rappresentabili anche da un punto di vista matematico. 136

Queste predisposizioni intrinseche della dimensione fisica spostano dunque le valutazioni relative alle possibili dinamiche di evoluzione prebiotica dalle scoraggianti bonacce delle precedenti formulazioni evoluzionistiche, che spesso e volentieri conducevano taluni ad invocare in questi passi del processo l'intervento di agenti superiori, esterni, definendo quindi in termini quantitativi nuovi le condizioni al contorno del processo evolutivo, col risultato di prospettare scenari molto meno pessimisti.

Passando agli organismi viventi veri e propri, possiamo osservare come a questo livello possa essere possibile rilevare una ben determinata, e limitata, valenza teleonomica sottesa alle vicende bio evolutive. Sino a qualche tempo fa, si guardava alle dinamiche evolutive ed al significato e ruolo del genoma onde risolvere i problemi connessi con l'emersione di ogni carattere delle forme viventi, confidando su semplici criteri esplicativi riguardo alle modalità di emersione della complessità riscontrabile nelle forme viventi.

Questa qualità era ricondotta direttamente ad un esplicito e diretto contenuto informazionale del genoma, in mancanza di indizi del fatto che ordine e complessità possano risultare in modo significativo da aspetti connessi a reti interagenti di geni ed alla modulazione genica dovuta a fenomeni di autorganizzazione intrinseca della natura. Si pensi ad esempio alla struttura dei bronchi. Un'esatta, pedante codifica nel genoma di tutta la struttura dicotomica della rete dei bronchioli richiederebbe una quantità enorme di DNA. Eppure un semplice algoritmo frattale, uno schema matematico e non meno un'architettura fisica presente sia nel mondo organico che nel mondo inorganico, potrebbe rappresentare uno «strumento» che la natura, sempre attenta a qualsiasi aspetto di economia, in qualche forma sembrerebbe poter essere rappresentato nel genoma degli esseri viventi.

 

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Note

127 Davies Paul, Dio e la nuova fisica. Arnoldo Mondadori, Milano, 1984; Davies Paul, La mente di Dio. Arnoldo Mondadori, Milano, 1993; Hawking Stephen, Dal big bang ai buchi neri. Rizzoli, Milano, 1988, Le scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 119, La radiazione cosmica di fondo e la nuova deriva dell'etere. Muller A. Richard, luglio 1978.

128 Darwin Charles, L'origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita. Newton Compton, Roma, 1973; Hall Rupert A. Hall Boas M., Storia della scienza. Il Mulino, Milano, 1991; Korner Melvin, L'ala impigliata. I condizionamenti biologici dello spirito umano. Feltrinelli, Milano, 1984.

129 Dawkins Richard, Il gene egoista. Zanichelli, Bologna, 1980; Dawkins Richard, L'orologiaio cieco. Rizzoli, Milano, 1988; Le scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 329. La natura: un universo di indifferenza. Dawkins Richard, gennaio 1996. Monod Jacques, Il caso e la necessità. Arnoldo Mondadori, Milano, 1970.

130 Merlin Donald, L'evoluzione della mente. Per una teoria darwiniana della coscienza. Garzanti, Milano, 2004.

131 Verolini Roberto, Petrelli Fabio - Metamorfosi della Ragione. Esegesi evoluzionistico psicosociologica di Gn 1,3 ed implicazioni bioetiche. Dipartimento Scienze Igienistiche e Sanitario Ambientali, Università degli Studi di Camerino, ITALIA, 1994.

132 Le scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 271. I pianeti delle altre stelle. Black C. David, marzo 1991.

133 Le scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 236. L'evoluzione del clima sui pianeti terrestri. Kastling J.F. Toon J.B., aprile 1988.

134 Kauffman Stuart, Esplorazioni evolutive. Biblioteca Einaudi, Torino, 2005.

135 Eigen Manfred, Gradini verso la vita. Adelphi Ed. Milano. 1996; Eigen Manfred, Il gioco. Le leggi naturali governano il caso. Adelphi Ed., Milano. 1986; Kauffman Stuart, op. Cit. [2005].

136 Kauffman Stuart, op. Cit. [2005].

 

Parte 11°                                                                                                                                  Back