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•  Scienza e fede come metodi di conoscenza. Ambiti di conoscenza di scienza e fede

È ovvio che tale intento ci spinge verso questioni di assoluto rilievo: quali sono gli ambiti di validità delle teorie scientifiche? Quali gli aspetti più fondamentali inerenti alla sfera della fede? Che contributi possono dare all'uomo, nel suo processo di conoscenza, queste distinte modalità di percezione ed esperienza della realtà? In quale modo è possibile contemplare il passaggio dalla sfera della seconda al regno d'indagine della prima – e viceversa? E, ancor più radicalmente: ha senso oggi come oggi porsi questi interrogativi?

Non si vuol in questa sede trattare estensivamente gli aspetti epistemologici e filosofici connessi a tali campi di indagine ed alla loro definizione. Molto più umilmente, l'intento che ci si propone è di illustrare un'ulteriore lettura, di definire un'ulteriore collocazione delle varie teorie e cornici metafisiche sottostanti questi quesiti, in particolare in relazione all'applicazione del pensiero scientifico – specialmente evoluzionistico – a queste tematiche.

Ma quale potrebbe essere l'intento… quali i fini? Possiamo prendere ulteriore spunto da due altre citazioni di Einstein.

«Non posso concepire un Dio personale che abbia un'influenza diretta sulle azioni degli individui… La mia religiosità consiste in una modesta ammirazione dello spirito infinitamente superiore che si rivela in quel poco che noi… possiamo comprendere della realtà.» - Lettera ad un Banchiere del Colorado, Agosto 1927 20

«Fra gli scienziati dalla mente più profonda, difficilmente ne troverete uno che sia privo di una sua religiosità, diversa però da quella dell'uomo semplice: per quest'ultimo, Dio è un essere da cui spera protezione e di cui teme il castigo… e per il quale prova un sentimento simile a quello che il figlio prova per il padre.» - Da The Religious Spirit of Science, pubblicato in Mein Weltbild, 1934. 21

Sia ben chiaro che queste citazioni sono poste solo per la loro convergenza con certe nostre considerazioni, che procedono da posizioni sicuramente distinte da quelle di Einstein, pur tuttavia giungendo a conclusioni molto prossime a quelle dell'illustre fisico. Non si può però negare che tale compagnia risulta indubbiamente gratificante!

Come si è detto, nella maggior parte dei lavori sinora condotti, il pensiero laico, così come espresso nel metodo scientifico epistemologico attuale, è stato inteso in un confronto in cui si sono accettati, come lecita espressione della controparte, gli aspetti canonici di una precisa tradizione fideistica, ammettendo dunque nel dibattito l'ovvio ricorso a questi prototipi, ai loro particolari contenuti ed alla loro specifica architettura. Ma cosa ha potuto in realtà dimostrare questo particolare confronto? E quali significati ha assunto su di se, del tutto indebitamente, tale contrapposizione?

Tali interrogativi sono stati sollevati a partire dell'osservazione di quanto tale secolare confronto ha rappresentato non per la scienza moderna quanto per la fede cattolica; ciò è ben espresso dalla precedente citazione di Molari, quando scrive: «…L'esame perciò dell'atteggiamento che via via i teologi hanno assunto mette in luce le resistenze di una comunità credente di fronte a una teoria scientifica e gli adattamenti che sono stati adottati perché essa non ponesse più problemi ai credenti.» 22

Ebbene: quali sono stati tali adattamenti? Ed ancora: cosa è stato adattato, e non del pensiero dei vari teologi cattolici, quanto del Magistero cattolico? Quali problemi si è cercato di risolvere con tali adattamenti e nel contempo quali difficoltà questi adattamenti hanno in realtà sollevato soprattutto a livello del Magistero cattolico? Passeremo in rassegna più avanti questi aspetti. Ma la convinzione è sin d'ora che questi sofferti, e in definitiva inadeguati intenti, sembrano oggi come oggi veder stagliare su di loro l'ombra lunga di un ammonimento evangelico molto duro, quanto sovente travisato e dimenticato in certi entourage clericali: «Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova su un vestito vecchio, perché il rattoppo strappa il vestito e lo strappo si fa maggiore. Né si versa del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si spande e gli otri si rovinano. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano.» (Mt. 9,16-17)

•  Dibattito attuale: distinzioni e parallelismi.

Dobbiamo innanzi tutto prendere in corretta considerazione, onde evitare di ridursi, come è stato fatto sinora, nelle infondate prese di posizione di entrambi i versanti, la natura epistemologica e filosofica sottese alle posizioni di ciascuna controparte; in seconda battuta valutare i processi revisionistici che la controversia ha prodotto nei distinti versanti.

Sul versante dei detrattori dell'evoluzionismo – alias fautori di una concezione creazionistico teistica – abbiamo autori che propongono in alcuni casi una negazione netta di ogni ipotesi meramente evoluzionistica. Questa corrente di pensiero è oggidì spacciata come propria di falangi fondamentaliste, le cui posizioni non corrisponderebbero, almeno in modo esplicito, alla posizione delle gerarchie ufficiali delle grandi religioni moderne – specialmente quelle del mondo occidentale. Le cose in realtà non stanno in questo modo. Dobbiamo infatti distinguere quel che costituisce l'espressione ufficiale dell'istituzione religiosa, ovvero il Magistero cattolico, dalle eventuali opinioni e le proposte interpretative dei singoli teologi – seppur appartenenti alla stessa confessione religiosa.

Ovviamente questo ha particolare significato per una dottrina come quella cattolica, in cui il tema dell'autorità del Magistero e del papa in materia di fede assumono un risalto fondamentale ed irrinunciabile. Fatto stà che oggi come oggi abbiamo una situazione assai particolare per quel che riguarda le posizioni ufficiali del Magistero e lo state of art della teologia di stampo cattolico. Una vera e propria cartina al tornasole di una sostanziale separazione tra questi due diversi livelli.

È indubbio che nell'ambito degli studi teologici, delle proposte della maggior parte dei teologi cattolici, il confronto tra dottrina e istanze procedenti dal mondo scientifico abbia condotto negli ultimi decenni ad una profonda revisione. Fatto stà però che tutti questi tentativi non adducono nulla di significativo alla questione. Le varie proposte non sono, innanzi tutto, parte del Magistero, né sono state recepite in alcuno dei documenti ufficiali prodotti dallo stesso.

È dunque quanto meno scorretto ricorrere a questi lavori per stabilire il reale stato della questione, visto le stesse gerarchie vaticane hanno da sempre preteso di esprimere la loro superiorità interpretativa dottrinale tramite modalità esclusivamente ufficiali. È ovvio che l'uso del motto «pensiamo nei secoli», così caro a Roma, è da intendere in modo quanto mai opportuno in tal senso. Ma altrettanto opportunamente non è minimamente accettabile un confronto sul tema in cui si avanzino ad hoc proposte affatto personali di questo o quel teologo in luogo delle ufficiali posizioni magisteriali. Non è per nulla corretto trincerarsi all'occorrenza dietro i risultati di questi studi teologici, tra una tappa e l'altra delle riflessioni dell'incedere secolare del Magistero, allorquando il confronto, se condotto con onestà intellettuale, renderebbe a piene mani quanto le stesse affermazioni magisteriali risultino palesemente inadeguate, anacronistiche e nettamente superate.

Questo è clamorosamente dimostrato ad esempio dalla storia di uno dei maggiori artefici del tentativo di revisione della esegesi cattolica susseguente l'affermazione delle teorie evoluzionistiche: il paleontologo, gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, capostipite del pensiero filo evoluzionistico che, dalla metà del secolo scorso in poi, si è andato diffondendo nel campo della teologia cattolica. Il suo pensiero è stato diffusamente ripreso e rivalutato positivamente nelle opere di molti autori post conciliari con il sostanziale beneplacito delle autorità cattoliche. Si noti a tal pro come costui fu, nei primi anni della sua carriera, pesantemente osteggiato ed ostacolato, proprio a causa delle sue inedite idee ed audaci opere, dai suoi superiori della Compagnia di Gesù – Teilhard de Chardin fu addirittura pregato di allontanarsi nel 1926 dalla cattedra dell' Institut catholique di Parigi e mandato in Cina, dove rimase bloccato sino al 1946 a causa della II guerra mondiale; successivamente, tornato in Francia, pur avendo ricevuto l'offerta di una cattedra al Collège de France fu di nuovo costretto a rifiutare, sempre a motivo delle sue idee e della sua attività, dai suoi superiori e fu spedito negli Stati Uniti, ove morì il 12 aprile 1955.

Tutto questo suona quasi a tragica beffa visto che proprio dalle sue originali idee autori come Rahner23,24, Alszeghy25, e tanti altri, hanno successivamente attinto per sviluppare le più riconosciute ed attuali riformulazioni delle questioni esegetico teologiche interessate dall'introduzione del paradigma evoluzionistico – ed in generale da una concezione della natura non più deterministico meccanicistica quanto indeterministico evolutiva.

Nello caso specifico dell'interpretazione della Genesi, l'ortodossa interpretazione cattolica di Gn 1-3 – si noti ancora totalmente mantenuta nei documenti ufficiali – è rappresentata da una collocazione monogenistica della coppia umana costituita dalle persone fisiche di Adamo ed Eva, coppia fisica, individuale, storica, posta all'origine dell'umanità tutta e, di conseguenza, autrice personale e diretta del gesto della caduta originaria, il cosiddetto «peccato originale», i cui nefasti effetti si andrebbero poi a diffondere in tutto il genere umano.

Quell'umanità totalmente compiuta, colta fin dai primissimi istanti della sua presenza mondana nelle figure concrete e personali dei due protoparenti, supporta perfettamente l'idea di un evento primordiale, peculiare della specie umana, delle cui conseguenze sarebbe poi stata inevitabilmente investita l'intera specie umana. L'immediatezza con cui il destino dei protoparenti si riverserebbe per diretta discendenza carnale in tutte le generazioni successive, è un carattere indissolubilmente connesso ad una concezione monogenistico fissista delle origini del genere umano, l'unica capace di assumere perfettamente l'aspetto individuale, univoco e nel contempo assolutamente ecumenico, di evento personale e primordiale della storia dell'uomo.

Una concezione questa drasticamente in opposizione con le concezioni evoluzionistiche. L'evoluzionismo infatti giunge a delle conclusioni perentorie in merito a diversi aspetti del processo dell'ominazione, ovvero dell'origine dell'uomo, assolutamente incompatibili con quanto sostenuto dalla dottrina cattolica ufficiale su Gn 1-3: su tutto l'affermazione di una origine naturale – secondo spontanei fenomeni bio evolutivi – e poligenistica della specie umana a partire da forme viventi pre umane.

Come si può immediatamente confrontare con quanto riportato precedentemente, è chiara la profonda discrepanza che emerge dalla concezione evoluzionistica e le posizioni esegetiche della dottrina cattolica, essenzialmente fissistico monogenistiche – o mono filetiche, secondo ipotesi teologiche più recenti, comunque non incluse nel canone dottrinale cattolico.

Il motivo di questa necessità teologica è presto detto. Solo rivolgendosi ad un Adamo in cui la nostra attuale umanità sia pienamente compiuta, un Adamo dunque toccato da ciascuno, senza eccezioni, seppur per una lontana ma diretta discendenza carnale, il credente può comprendere come possa risultare coinvolto nell'infausto destino scaturito da tale originaria disubbidienza.

Ciò consente infatti di sostenere «... come per un uomo il peccato è entrato nel mondo, e per il peccato la morte, e la morte raggiunse tutti gli uomini perché peccarono... Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo e, anche se il peccato non viene imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo a Mosè pure su quelli che non peccarono con una trasgressione simile a quella di Adamo il quale è figura di Colui che doveva venire...» (Lettera ai Romani 5, 12-14 Paolo).

È quindi la diretta discendenza postulata dall'ipotesi fissista del creato e dell'uomo che spinge Paolo ad affermare: «... la colpa di uno solo si riversò su tutti gli uomini a condanna... Come, per la disubbidienza di uno solo, tutti sono stati resi peccatori...» (ibidem 5, 18-19).

Questi concetti costituiscono la base della formulazione della dottrina del peccato originale nel Concilio di Trento, ancora attuale nel Magistero di Roma, e risultano essere tutt'ora perfettamente affermati nei documenti magisteriali. Come vedremo, questi sono invece i concetti necessariamente rielaborati da quei teologi che hanno cercato di sviluppare interpretazioni del libro della Genesi debitrici delle odierne teorie naturalistiche, concretizzatesi in definitiva in una revisione etimologico teologica delle anteriori concezioni fissiste e dalla formulazione di nuove accezioni dei concetti di monogenismo e monofiletismo genetico, senza però che questo abbia minimamente condotto ad interpretazioni concrete e coerenti con quel livello storico così perentoriamente affermato dalle anteriori affermazioni papali e dalla tradizionale esegesi del magistero. È facilmente intuibile come tutti questi aspetti vengano meno qualora si cerchi di basare la esegesi di Gn 2-3 su una visione evoluzionistico poligenistica del creato se non trincerandosi, come vedremo fare, in sedicenti ed improbabili ambiti esplicativi, assolutamente preclusi ad ogni eventualità di concreta verifica.

Come vedremo esporre con dovizia da alcuni dei maggiori teologi moderni, la moderna visione del processo di evoluzione delle forme viventi, ed ovviamente del processo di ominazione, presenta aspetti che contrastano irrimediabilmente con l'affermazione che il degrado fisico spirituale della condizione umana sia universalmente ereditato da ciascuno a causa di un gesto personale dovuto ad una coppia reale di individui primogeniti a seguito di una diretta discendenza genetica, «propagatione», da questi ultimi. La teoria dell'evoluzione asserisce infatti che le specie viventi procedono da un'incessante e naturale modifica genetica, assolutamente irrisolvibile nel suo complesso, tra popolazioni che si dispongono lungo un complesso cespuglio evolutivo. La specie umana, alla stessa stregua di tutti gli altri esseri viventi, deriva da un interminabile processo di evoluzione naturale a carico da anteriori specie pre umane. Inoltre l'evoluzionismo sostiene come anche quest'ultimo processo sia dovuto solo ed esclusivamente a fenomeni perfettamente analoghi a quelli che hanno condotto – naturalmente – alla formazione delle altre diverse forme di vita, ovvero fenomeni del tutto naturali e contingenti. Questa contingenza in particolare, ovvero questa natura contestuale, stocastica fondamentale dei meccanismi alla base del processo evolutivo, impedisce di cogliere la specie umana quale termine ultimo del processo stesso, apice del processo evolutivo, essendo quest'ultimo da ricondurre a dinamiche assolutamente storiche e contingenti, a priori indeterminabili nei loro dettagli. È quindi impossibile pensare che i processi evolutivi, comunque si svolgano, siano in grado d'intendere l'emersione della specie umana quale inevitabile e consono termine ultimo, predestinato sin dagli inizi dell'universo e del tempo, ed in seconda battuta della Terra, dell'evoluzione delle specie viventi.

I ripetuti fenomeni evolutivi da cui derivò infine l'umanità attuale agirono in realtà continuamente nel corso di milioni di anni all'interno di popolazioni di specie man mano più evolute, sempre e comunque tramite meccanismi casuali di mutazione genetica, da cui di volta in volta emersero, in modo del tutto occasionale e per mezzo di ripetuti rimescolamenti genetici, individui che mostravano caratteri sempre inediti ed unici, progressivamente più prossimi ai nostri. Delle nuove specie che a loro volta, al termine di processi evolutivi sempre imprevedibili e indeterminabili, e non necessariamente graduali, giunsero a sfociare, sempre grazie a fattori del tutto contingenti, nell'uomo moderno.

Tutto questo fenomeno è definito dunque in modalità tali da farci sostenere senza eccezione che l'umanità moderna, come ogni altra specie animale, deriva da processi poligenistici. Ovvero dall'emersione diffusa di individui mutanti in una data popolazione nella quale si esplicarono fenomeni di reincrocio genetico, ricombinazione genetica, isolamento geografico etc., tali da giungere ad una consistenza numerica ed una distanza genetica tali da definire una nuova popolazione: una nuova specie.

Questa concezione è totalmente in contrasto con quanto affermato dalla ortodossa esegesi cattolica, la quale professa ed esige innanzi tutto, essendo basata su una concezione assolutamente non evolutiva quanto fissista, un'origine immediata e netta dell'uomo, dello speciale essere personale ed animato, a cui è rivolta l'intera soteriologia biblica; dunque di un'umanità perfettamente formata, sin dall'inizio identica all'attuale, senza il ricorso ad alcuna forma intermedia, ed ancor più un'umanità originata con una modalità monogenetica, ovvero a partire da un'unica coppia personale fondatrice. La stessa coppia che, in modo personale ed autonomo, sarebbe colpevole del gesto del peccato originale, le cui infauste conseguenze furono poi trasmesse a tutti gli uomini delle generazioni future.

Questo è quanto sostiene il canone cattolico odierno. Diverse sono invece le proposte di vari teologi cattolici. Ma questo e solo questo è quel che ancor oggi è sostenuto dottrinalmente dalla Chiesa di Roma, e quel che si riscontra nei suoi documenti ufficiali.

Come si è diffusamente mostrato in altra sede,26,27 varie e significative sono le valenze sostenute dalla concezione monogenistica pertinenti a livello teologico e psicologico in relazione all'evento del peccato originale narrato nel libro della Genesi.

Di quest'ultimo evento, decisivo per il canone interpretativo dei testi biblici, sinora non si è avanzata alcuna ricostruzione oggettivamente accettabile. Dal punto di vista logico scientifico, ad esempio, le perplessità sono tra le più disparate. E sia ben chiaro che queste perplessità vanno a ricadere in pieno nelle concezioni teologiche eventualmente inerenti alla questione. Da quel gesto infatti si origina, secondo la teologia cattolica, tutta la dinamica escatologica che condurrà al Cristo.

Tornando allora al fantomatico evento della caduta originaria ed alle numerose perplessità che derivano dalle posizioni e dalle pretese interpretative ortodosse: dove collocare tale fatto nell'evoluzione umana? Chi ne fu l'artefice? L'H. sapiens sapiens, l'H. erectus od addirittura l'H. habilis? Dove, come e quando? Se tale evento fosse da imputare a specie anteriori all'Homo sapiens sapiens, come fu ereditato da quest'ultima specie? Tale evento fu poi individuale? Se sì, come fu possibile la sua totale diffusione nelle popolazioni che si stavano contemporaneamente diffondendo sulla faccia della terra senza speranza di incrocio o contatto con gli eventuali autori di questo gesto o le loro discendenze? Se no, come poté dapprima operare questo fenomeno sulle popolazioni precedenti e come poté poi essere trasmesso alle successive in modo ecumenico? E su quanti non ebbero, se non con un ritardo di migliaia di anni, la possibilità teorica di un qualche contatto diretto con le discendenze degli eventuali autori di questo gesto? Cosa sarebbe successo in questi frangenti e in queste fasi intermedie? Come poté poi l'autore – o gli autori – di tale sedicente gesto essere immune, o immuni, dall'influenza della frazione istintuale, «genetica», imputabile dunque alla storia evolutiva anteriore, a quella natura umana aliena alla loro consapevolezza e coscienza, dunque «direttamente generata dal - ed amputabile al - creatore stesso», così essenziale, come dimostrano tutte le neuroscienze, l'etologia e la psicologia odierne, della determinazione del comportamento umano? Dove avvenne tale cataclisma sovrannaturale ed ontologico? Perché poi ci fu un tragico coinvolgimento della sfera sessuale in tutto ciò? Nell'impossibilità di sostenere una diretta discendenza genetica di tutti gli uomini da una coppia capostipite in conclusione, come è possibile concepire un'estensione assoluta, perfetta di tale stato di corruzione nell'umanità? Tale evento rappresenterebbe un «accidente» locale che interessò il pianeta Terra o si estese all'universo tutto? E così via.

Questi insormontabili problemi – e se ne potrebbero aggiungere degli altri, non meno significativi – si pongono dunque ineluttabilmente dinnanzi a tutti gli studiosi che, optando per una lettura di Gn 1-3 sensibile ai contenuti delle odierne discipline scientifiche nei riguardi dell'ominazione, si sono accinti alla esegesi dei successivi due capitoli del Genesi. E sono obiezioni molto gravi e circostanziate, quanto pertinenti, nei confronti delle quali sinora non si ha traccia di alcun minimo accenno di soluzione, malgrado i ripetuti, tenaci e significativi tentativi di superare questi duri scogli.

In tale ottica, l'opera ed il pensiero di Teilhard de Chardin sono fondanti, visto che il gesuita è stato l'autore che, più di ogni altro, ha introdotto e sviluppato, con estrema arditezza ed autonomia intellettuale, l'idea di muoversi su un piano perfettamente antitetico rispetto a tutti i suoi predecessori ed all'atteggiamento ortodosso della Chiesa dei suoi tempi: accettare senza riserve il fatto dell'evoluzione – e di conseguenza la teoria evoluzionistica – come teoria corroborata su cui basare una concezione metafisica, ed addirittura una teologia, inedite. Così troviamo un Teilhard de Chardin che, già ai suoi tempi, precorrendo tutta la tendenza esegetica successiva, affermava la necessità di considerare l'evoluzione, talvolta indicata con il termine trasformismo, non una semplice ipotesi – oramai problematica – per il teologo.

«Il vero problema trasformista non è una semplice disputa di dettaglio… Si riduce al dilemma seguente che bisognerà, presto o tardi, decidersi a guardare in faccia: o riconoscete che nulla può entrare nel campo dell'esperienza senza essere introdotto da qualche antecedente, e in questo caso siete evoluzionista integrale. Oppure supponete che una cosa possa apparire senza essere «nata», e di colpo entrate in una lotta impossibile contro la struttura stessa del mondo sensibile.» 28

In sintesi, secondo il pensiero di de Chardin, l'evoluzione, vera e propria «… luce che rischiara tutti i fatti, una curvatura che tutte le linee devono subire: ecco ciò che rappresenta l'evoluzione.»29, rappresenta una realtà e non più una semplice ipotesi, magari da ostacolare, quanto da interpretare in modo nuovo anche e soprattutto in chiave teologica.

L'opera di Teilhard de Chardin si muove lungo una direzione per quei tempi assolutamente inedita, audace quanto eterodossa: l'evoluzione quale docile strumento naturale per la realizzazione di un progetto creativo divino direttamente supervisionato dal Creatore stesso, che culminerebbe nell'emersione dell'uomo, imago dei, sulla faccia della terra. Un processo in cui si manifesterebbe e si concretizzerebbe l'originario proposito creativo divino: l'evoluzione dunque va è intesa come strumento naturale, evidente, capace di essere perfettamente inteso in ottica finalistica e teologica. Tramite questo strumento Dio crea la vita, dà origine alla pluralità di forme viventi in cui emerge come gemma terminale la specie umana, l'unica specie in cui si realizzerebbe l'emersione della coscienza riflessa, superiore. Nell'uomo si assisterebbe ad un fenomeno unico: il dispiegarsi di quello psichismo che aprirà le porte all'irruzione di questa forma di vita all'interno di una dimensione ulteriore, in cui la specie umana si avvolge, converge, si sublima: la noosfera.

E questa realizzazione sancirebbe dunque la coronazione somma del processo evolutivo stesso, inteso come realizzazione dell'originario proposito divino. Secondo Teilhard de Chardin dunque l'evoluzione è da intendere come un processo orientato, ascensionale, teso verso la complessità, che parte sin dai singoli elementi chimici, dalla materia inanimata e poi, verso tutte le forme viventi conosciute, in una progressione sempre più ordinata e complessa, giunge ad un originale aumento di complessità delle forme di vita, o più in particolare ad una encefalizzazione progressiva, crescente che si dispiega in modo esclusivo nel processo dell' ominazione, con cui emerge infine l'uomo. È dunque «… una teoria, un sistema, l'evoluzione…? Assolutamente no. Essa è molto di più: è una condizione generale alla quale devono conformarsi e soddisfare tutte le teorie, tutte le ipotesi, tutti i sistemi, se vogliono essere pensabili e veri.» 30 Essa «… è un'ascesa verso la coscienza. Il fatto non è più contestato, neanche dai più materialisti., o per lo meno dai più agnostici dei filantropi.»31. Essa sarebbe tesa verso il raggiungimento «… di una qualche coscienza suprema…» 32: il punto Omega, teologicamente identificabile nel mistero della salvezza portata dal Cristo. Così scrive: «… il ciclo cosmico si ripiega in se stesso, e il punto Omega appare come il ricongiungimento con il punto Alfa: «Credo che l'Universo sia una Evoluzione. Credo che l'Evoluzione vada verso lo Spirito. Credo che lo Spirito trovi il proprio compimento in qualche cosa di Personale. Credo che il personale sia il Cristo-Universale.» 33

In questo pensiero prende forma la concezione di un'evoluzione chiaramente mirata, e sempre e comunque sottoposta ad una supervisione divina. Un'evoluzione che assume in sé un carattere importantissimo. L'essere orientata ad uno scopo finale: una evoluzione dunque finalistica in cui si esprime una sostanziale teleonomia.

«Proprio come il geologo occupato a censire le trasgressioni marine e i corrugamenti, il paleontologo che fissa nel tempo la posizione delle forme animali è esposto al rischio di vedere nel passato solo una serie di pulsazioni monotone, tra loro omogenee. In tali quadri, i Mammiferi succedono ai Rettili, e i Rettili agli Anfibi, come le Alpi alle catene cimmerie, e queste ai monti ercinici. Possiamo e dobbiamo ormai sfuggire a questa prospettiva priva di profondità. Non più la sinusoide che serpeggia, ma la spirale che balza come un'elica. Da uno strato zoologico all'altro, qualche cosa passa e cresce senza posa, a sbalzi, e nello stesso senso. E questa cosa è la più fisicamente essenziale nell'astro che ci porta. Evoluzione dei corpi semplici seguendo la via radioattiva, – segregazione granitica dei continenti, – isolamento, forse, degli involucri interni del globo: ben altre trasformazioni, oltre al movimento vitale, formano probabilmente una nota continua sotto i ritmi della terra… L'asse della geogenesi passa e si prolunga d'ora innanzi attraverso la biogenesi. E questa si esprime, in definitiva, mediante una psicogenesi.» 34

Tratteremo successivamente gli aspetti connessi a questa particolare accezione del fenomeno evolutivo, ricorrente in tutti i teologi che successivamente hanno ripreso le ipotesi del gesuita, nonché le forti critiche e l'autentica collocazione di questa particolare accezione nei confronti dell'autentico pensiero darwiniano e dei contenuti formali dell'odierna teoria scientifica vera e propria dell'evoluzione. Un ultimo riferimento comunque a Teilhard de Chardin va fatto in merito al tema del poligenismo e monogenismo, cruciale nell'intera questione. Questo autore si impegnò anche nel tentativo di dare un'interpretazione del tema del peccato originale – in verità molto insufficiente e lacunosa, se non improbabile, specialmente in rapporto alle sue intuizioni relative ad una valutazione anche in chiave teologica delle possibili dinamiche sottese ai processi evolutivi. 35

Altresì importanti sono le sue considerazioni sul monogenismo – aspetto fondamentale della dottrina cattolica sul peccato originale e sulle sue trasmissioni ecumeniche: «Più la scienza sonda il passato della nostra umanità e più questa, in quanto specie, mostra di conformarsi alle regole e al ritmo che scandisce molto prima ogni nuovo accrescimento dell'albero della vita. Ma, in questo caso, dobbiamo logicamente andare sino in fondo, fare l'ultimo passo. Proprio perché è così simile, nella sua nascita, a tutte le altre phyla, cessiamo di meravigliarci se, esattamente come tutti gli altri gruppi viventi, l'uomo in quanto specie nasconde alla nostra scienza i fragili segreti delle sue prime origini; ed evitiamo di forzare o alterare questa condizione naturale con domande mal poste.

L'uomo è entrato in silenzio, dicevo. In realtà, ha camminato con passi così leggeri che allorché gli strumenti di pietre indelebili che moltiplicano la sua presenza cominciano a rivelarcelo, egli già copre tutto il Vecchio Mondo. Certamente possiede già un linguaggio e vive a gruppi. Già accende il fuoco. Ma, in fondo, non era proprio quanto dovevamo attenderci? Non sappiamo forse che ogni qualvolta una nuova forma vivente nasce sotto i nostri occhi dalle profondità della storia, essa sorge già completata ed è già una legione?

Dunque agli occhi della scienza che da lontano non può afferrare che gli insiemi, il «primo uomo» è e non può essere, che una folla ; e la sua giovinezza è fatta di migliaia e migliaia di anni.

È fatale che tale situazione ci deluda e lasci la nostra curiosità insoddisfatta. La cosa che più ci preoccupa, non è forse proprio ciò che sarà accaduto nel corso dei primi mille anni? E ancor più ciò che ha potuto segnare il primo istante? – Vorremmo poter conoscere l'aspetto dei nostri primi genitori, sulla sponda stessa del fossato, appena sorpassato, della riflessione. Come ho fatto notare, il salto si sarà compiuto certamente con un unico passo… Nessuna fotografia è in grado di registrare sul phylum umano questo passaggio alla riflessione che, a buon diritto, ci rende curiosi, e ciò per il semplice motivo che il fenomeno si è svolto all'interno di quanto manca sempre in un phylum ricostruito: il peduncolo delle forme iniziali. Proviamo per lo meno, in modo indiretto, congetturare la complessità e la struttura iniziale di questo peduncolo?…

Parecchi antropologi, non certo tra i minori, pensano che il peduncolo della nostra razza sia stato costituito da diverse stirpi affini ma distinte. Come, nell'ambiente intellettuale umano giunto a un certo grado di preparazione e di tensione, una stessa idea può venire alla luce contemporaneamente in più punti, così, essi pensano, sullo «strato antropoide» pliocenico, l'uomo, in base al meccanismo generale di ogni vita, sarà apparso simultaneamente in regioni diverse. Non già «polifiletismo» vero e proprio, perché i diversi punti di germinazione sarebbero localizzati sullo stesso foglietto zoologico: ma mutazione estensiva dell'intero foglietto. «Ologenesi» e dunque policentrismo. Tutta una serie di punti di ominazione, disseminati lungo una zona subtropicale della terra: e pertanto diverse stirpi umane che si saldano geneticamente in qualche punto, al di sotto del passo della riflessione. Non un focolaio, bensì «un fronte» di evoluzione.» 36

Ed è interessante la nota che si trova in riferimento al suddetto brano, laddove, quando conclude: «Dunque agli occhi della scienza che da lontano non può afferrare che gli insiemi, il «primo uomo» è e non può essere, che una folla; e la sua giovinezza è fatta di migliaia e migliaia di anni.» 37 annota in calce alla pagina quanto segue: «Ecco perché il problema del monogenismo in senso stretto (non dico monofiletismo) sembra sfuggire alla scienza per intrinseca natura. Nelle profondità del tempo in cui è situata l'ominizzazione, la presenza e i movimenti di una coppia unica sono positivamente inafferrabili, e nessun ingrandimento può rivelarli direttamente al nostro sguardo. Di modo che si potrebbe dire che, in quell'intervallo, vi è posto per tutto quello che una fonte transperimentale di conoscenza potrebbe esigere.» 38

L'audacia e l'originalità delle tesi del gesuita in questo suo epocale lavoro è grande, al di là di aspetti su cui si porrà un nostro radicale dissenso, e questo può far capire l'ostracismo di cui è stato oggetto dalle gerarchie ecclesiastiche. Una evidenza di quanto il suo lavoro – si noti pubblicato nel 1955, cinque anni dopo un'enciclica come la Humani generis, che prendeva una posizione di netto rifiuto di ogni ipotesi poligenistica – possa avere turbato il sonno di molti suoi superiori, è molto opportunamente data dalla prefazione alla versione italiana del 1968 dell'Alberto Mondadori, in mio possesso, dove il teologo N. M. Wildiers, rivolgendosi in particolare al «… lettore cattolico non informato…» 39 scrive quanto segue: «Da un punto di vista teologico… l'autore presuppone da per tutto la presenza di un Dio personale e creatore che determina e dirige l'evoluzione del mondo.

Dalle pagine dedicate all'origine dell'uomo, che sono certamente le più interessanti, potrebbe darsi che alcuni, non abbastanza informati sullo stato attuale della conoscenza scientifica, siano tentati di dedurre che l'autore spinga la continuità della vita a un tale punto che non si ritiene più sufficientemente conto della distinzione tra uomo e animale, e che, forse, l'interessamento di Dio nella genesi dell'anima umana diventa inutile… A proposito della questione del monogenismo, bisogna anche in questo caso tener conto della differenza dei piani sui quali si pongono rispettivamente la scienza e la teologia. L'autore rimane sul piano prettamente scientifico, pur constatando che, data l'inevitabile cancellazione delle origini filetiche, la scienza non dispone degli elementi richiesti per decidere se l'umanità sia nata da una sola oppure da parecchie coppie umane. Fino a prove contrarie vi è posto per una discussione – quale quella dell'enciclica Humani generis che conclude per il monogenismo.»40.

Secondo Teilhard de Chardin in definitiva, partendo dalla realtà dell'evoluzione è possibile rintracciare un senso finalistico di fondo e leggere nell'indubitabile processo naturale dell'evoluzione il verificarsi di un modello inedito di divino processo creativo– evolutivo – incentrato sull'uomo. Un processo che in particolare ha prodigiosamente sospinto l'evoluzione fino ai Primati. E, in grazia della loro despecializzazione rispetto agli altri animali possiamo osservare a suo dire che i Primati «… proprio perché, con le loro membra, sono rimasti sino al Pliocene i più «primitivi» dei Mammiferi, si sono anche mantenuti i più liberi. Ora, che cosa hanno fatto di questa libertà? Se ne sono serviti per elevarsi, mediante balzi successivi, sino alle stesse frontiere dell'intelligenza. … In questo caso privilegiato e singolare, l'ortogenesi particolare di un phylum viene a coincidere esattamente con l'ortogenesi principale della vita stessa: secondo l'espressione di Osborn, di cui mi servirò mutandone il significato, essa è «aristogenesi», ed è quindi illimitata. Prima conclusione: se, sull'albero della vita, i Mammiferi costituiscono una branca principale, - i Primati, cioè i cerebromanuali, rappresentano dal canto loro la freccia stessa di questa branca, - e gli Antropoidi sono la gemma stessa situata al termine di questa freccia.» Ecco dunque secondo Teilhard de Chardin la vera origine dell'uomo, da intendere «… per usare la forte espressione di Julian Huxley, di non essere altra cosa se non l'evoluzione divenuta cosciente di se stessa.» 41; una ricostruzione che secondo l'autore si pregia di essere contemporaneamente coerente con gli insegnamenti dottrinali della Chiesa e con le evidenze scientifiche note del processo evolutivo, tramite il quale sarebbe l'uomo stato divinamente costituito come apice del creato, vertice dell'evoluzione. Per l'appunto, imago dei.

In tale modalità interpretativa, giusto ricorrendo a parole tardive dello stesso Teilhard de Chardin, si potrebbero addirittura delineare delle implicazioni teologiche tali da farci immaginare che una «… forma ancora sconosciuta di religione (una religione che nessuno sinora poteva immaginare o descrivere, non esistendo un universo abbastanza vasto ed organico per contenerla) stà germinando nel cuore dell'uomo moderno nel solco tracciato dall'evoluzione…». Una religione, ovviamente, da approssimare sempre e comunque per il gesuita francese, ai fondamenti del Magistero cattolico. Una immagine inquietante ma da tenere a mente seppur in una prospettiva ben diversa da quella auspicata dall'acuto paleontologo, che, comunque sia, resterà una figura di assoluto riferimento nella storia del pensiero occidentale.

In conclusione, i punti salienti dell'opera di Teilhard de Chardin ereditati dai teologi successivi sono dati dall'accettazione dell'evoluzione come fatto e di conserva dall'introduzione di una ipotesi di lavoro in merito all'interpretazione teologica del peccato originale fatta a partire da una posizione non più necessariamente monogenistica – o meglio monofiletica – dell'origine dell'uomo.

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Note

20 Albert Einstein [1997] op. cit. p. 110.

21 Albert Einstein [1997] op. cit. p. 113.

22 Carlo Molari, [1984] op. cit. p. 13.

23 Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969.

24 Karl Rahner, Saggi di antropologia soprannaturale, Edizioni Paoline, Roma, 1969.

25 Z. Alszeghy., L'evoluzione e il magistero ecclesiastico, Concilium, III, 1967.

26 Verolini Roberto, Petrelli Fabio, Metamorfosi della Ragione. Esegesi evoluzionistico psicosociologica di Gn 1,3 ed implicazioni bioetiche, Dipartimento Scienze Igienistiche e Sanitario Ambientali, Università degli Studi di Camerino, 1994, pp. 103-105.

27 Roberto Verolini, Il Dio Laico: caos e libertà, Armando Armando ed, Roma, 1999.

28 Ferdinando Ormea, Teilhard de Chardin, Vallecchi Ed. Firenze, 1968 p. 164.

29 Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, Alberto Mondadori, Milano 1968, p. 292

30 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p. 292.

31 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p. 347 (vedi anche p. 326).

32 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p. 347.

33 Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, [1986], op. cit., p. 624.

34 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p. 194-195.

35 Ferdinando Ormea, [1968], op. cit. pp. 324-354.

36 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p.247-250.

37 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p.248.

38 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p.248.

39 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p.20.

40 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., pp.20-21.

41 Pierre Teilhard de Chardin, [1968], op. cit., p.295.

42 Ferdinando Ormea, [1968] op. cit., p. 251.

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