Questa serie di istanze sembra essere stata ripresa con vigore da teologi quale il gesuita Karl Rahner. Friburghese, allievo di Heidegger, Rahner propone una lettura teologica sempre più esplicitamente centrata sull'accettazione di un'origine poligenistica dell'uomo pur mantenendo costante una diretta connessione con il tema teologico del peccato originale, della sua trasmissione e del senso dello stesso nella teologia cattolica ufficiale. Secondo Rahner sarebbe possibile sostenere anche in un ambito poligenistico originario facendo opportune, debite precisazioni sull'accezione del termine un divenire di fatti storici inerenti all'origine dell'uomo che possano poi estendere le conseguenze del peccato d'origine in tutto lo ecumene umano facendo così salve le esigenze magisteriali in particolare quelle definite nel Concilio di Trento (1545-1563) e in generale il rispetto della tradizione esegetica cattolica.
Le proposte di questo autore comunque risultano essenzialmente alternative rispetto alla posizione anteriore della Chiesa, espressa a chiare lettere nell'enciclica Humani generis nei confronti del poligenismo, dove si affermò, come ricordo, che « i fedeli non possono abbracciare quella opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra del veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti progenitori; ora non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della rivelazione e gli Atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio.» 43
Quali sono dunque le posizioni innovative tracciate dal Rahner? Prima di tutto è necessario scendere un po' in dettaglio nel pensiero di questo teologo, anche se questo può essere sulle prime scoraggiante. Dal suo lavoro infatti si può trarre un valido esempio delle modalità di argomentazione e del livello di analisi invalsi in certa teologia. Questo sarà successivamente importante per porre sia un confronto tra queste modalità e il metodo di argomentazione degli autori della controparte che, più avanti, illustreranno posizioni totalmente alternative.
In sostanza, Rahner cerca di separare la valenza fissistico monogenistica tradizionalmente riconosciuta ai brani biblici del Genesi, oramai scientificamente insostenibile, dall'essenza teologica del messaggio biblico, di presunta origine divina, il quale rappresenta l'aspetto fondante di tutta la dottrina cattolica: la particolare caduta del peccato originale e la diffusione nel consorzio umano delle sue nefaste conseguenze spirituali, naturali e morali. Un risultato questo raggiunto, secondo il Rahner, imputando in definitiva la concezione fissistico monogenistica solo ed esclusivamente ad influenze contingenti dell'orizzonte socio culturale proprio dei redattori del testo, presentando tale componente spuria, o meglio tale residuo storico culturale, come del tutto aliena all'azione rivelatrice divina. Così facendo si fa evidentemente salva la veridicità dell'autentico nucleo teologico del brano, creazione e caduta originaria, il quale secondo dottrina deriverebbe da una rivelazione divina, ma ancor più si permette alla stessa esegesi cattolica di sollevarsi dalle secche su cui si era impantanata, sospinta da tale anacronistica ed oramai improponibile concezione metafisica sulle origini dell'uomo.
Ecco un ampio estratto da due delle sue opere più significative; nella prima Rahner fonda i principali elementi su cui basare l'audace revisione esegetica che andrà man mano a condurre: «È noto che le affermazioni di Gn 1-2, ripetute anche in altri luoghi della Scrittura e della Tradizione, hanno presentato alla teologia e al Magistero ecclesiastico le difficoltà maggiori ad assumere una posizione neutrale o addirittura aperta di fronte all'evoluzionismo. La narrazione della creazione di Adamo ed Eva sembrava affermare tale intervento divino diretto ed esclusivamente creativo per cui in questa opera ad extra Dio è la causa efficiente e solo la materia inorganica potrebbe essere la causa materiale. Era quindi comprensibile la posizione assunta dai teologi fin quasi ai nostri giorni, e in parte sostenuta anche oggi come più probabile. Il racconto della creazione conosce solo la «polvere della terra» come causa materiale; non esiste una dottrina scientificamente contraria che sia sicura. Non vi è quindi alcun motivo di abbandonare l'interpretazione «letterale» del testo della Genesi, tanto più che l'evoluzionismo, come appare dalla sua storia, si considera facilmente, in una maniera materialistica radicale, spiegazione completa delle origini dell'uomo, implicando così tesi che sono certamente ereticali.
Ci domandiamo quindi: che cosa ci dice il racconto della creazione? Evidentemente qui si può solo abbozzare una risposta a questa domanda Ecco quindi la nostra tesi: il genus litterarium del racconto della Genesi è quello di un'etiologia storica espressa in forma popolare... In forma ancora negativa si può e si deve dire che le affermazioni del racconto della creazione sono esatte, perché Dio ne ha rivelato il contenuto. Però ciò non implica l'affermazione che quanti vi si narra sia riferito da Dio nel modo in cui è espresso perché Egli sia stato presente all'evento riferito e ne dia «reportage», anche se con alcuni caratteri più immaginifici.
Il vero problema è quindi dove ha attinto l'autore della Genesi quanto riferisce? Come conosciamo le fonti da lui incorporate nella sua opera sotto la luce e la garanzia discretiva dell'ispirazione? La nostra risposta è che egli intende ciò che racconta come etiologia storica. Dobbiamo perciò chiarire questo concetto, prima in se stesso e poi nella sua applicazione al racconto del Genesi. L'etiologia, nel senso più ampio, è l'assegnazione di un motivo o di una causa per un'altra realtà. In un senso più stretto è la presentazione di un evento anteriore come fondamento di uno stato o evento esperimentato nel campo umano, presentazione che ci fa riconoscere la causa. Questo rinvio ad un evento anteriore può essere anche la deduzione vera, oggettivamente possibile, ben fondata e positiva, di una causa storica da uno stato presente, colto con evidenza attraverso la chiarificazione della sua stessa origine, in cui la vera causa e la conseguenza attuale sono viste in un'unica prospettiva... I concetti dell'etiologia storica si possono applicare facilmente alle affermazioni della Sacra Scrittura sulla «storia delle origini dell'umanità». La teologia cattolica, in accordo con la dottrina della Chiesa ritiene fermamente che il vero contenuto delle affermazioni bibliche riguarda eventi storici ed irripetibili, che si sono verificati nel mondo in un punto preciso del tempo e dello spazio. Tuttavia anche la teologia ha la possibilità di concepire tali affermazioni come etiologia storica, cioè come affermazioni fatte dall'uomo sul suo rapporto con Dio, nell'ambito della storia della sua salvezza e della sua perdizione. Tra i punti da ritenersi storici si possono annoverare senza difficoltà la creazione, la creazione speciale dell'uomo, l'uguaglianza tra i sessi, l'unità del genere umano derivata dall'unità della storia della salvezza, lo stato originario, Ammessa la interpretazione della proto-storia come etiologia storica si può spiegare perché questi racconti si presentino sotto una veste che non deriva dai fenomeni storici di tali eventi Se si applica questo concetto di etiologia storica Intendendo il testo della Genesi non come «reportage» di un teste oculare ma come il racconto etiologico, presumibilmente abbiamo anche un criterio per giudicare ciò che nella descrizione dello stato originario di felicità e grazia dell'uomo, dataci dalla teologia tradizionale, è esatto e ciò che è proiezione semplificatrice, nel passato e nelle origini, dello stato in cui l'uomo dovrebbe essere e in cui sarà in futuro.» 44
È ora relativamente facile per Rahner introdurre una lettura inedita dei contenuti della Genesi e non di meno un'analisi innovativa di tutti i documenti magisteriali anteriori al fine di aprire uno spiraglio a conclusioni in prospettiva sempre più coerenti con una concezione poligenistica. Innanzi tutto cerca di analizzare se e come il monogenismo classico, biologico, sia effettivamente ed autenticamente affermato, in modo esplicito o no, sia nei documenti più essenziali del Magistero che al di sotto dei generi letterari propri dell'autore delle S. Scritture. Iniziando dalle affermazioni del Concilio Tridentino ad esempio così svolge le sue sottili considerazioni: «I padri del Concilio non avevano l'intenzione di definire il monogenismo. Ciò è ammesso da tutti. L'intento della definizione e quindi il suo contenuto erano diretti contro la negazione pelagiana, rinnovata da Erasmo, dell'esistenza di un peccato originale, come stato di consapevolezza anteriore agli atti personali. Poiché l'interpretazione del Concilio era di definire l'esistenza di un peccato originale in contrapposizione alla colpa personale, non si può dire che sia definito l'origine unum come tale nel senso che sia stato causato da un individuo singolo . Se fosse così si potrebbe veramente dire che il monogenismo sia implicitamente definito. Ma è questo il caso? Senza dubbio in questa definizione è coaffermata l'esistenza, all'inizio del genere umano, di un individuo singolo, che come «primo uomo» e progenitore di tutti gli uomini trasmette il peccato originale ai suoi discendenti mediante la connessione genetica naturale. Non si può perciò dubitare che i Padri del Concilio pensavano solo ad un Adamo come persona individuale, numericamente unica, esistente agl'inizi della storia umana. Questi con un suo singolo atto storico costituì il peccato del genere umano, che si trasmette a ciascun uomo, in quanto è in connessione genetica, biologica e naturale con gli altri e così con l'unico progenitore. Non si può negare che tutta la dottrina del Concilio Tridentino sul peccato originale è formulata sotto questo presupposto. È anche fuor di dubbio che ciò che viene coaffermato in tal modo nella solenne definizione di un dogma fondamentale, é di grande importanza teologica, anche se non è definito. Tuttavia si può dubitare che il monogenismo stesso sia definito implicitamente o, meglio, condefinito. La questione qui non è se esso è un presupposto chiaramente necessario della dottrina del Concilio Tridentino sul peccato originale. Anche se ciò fosse provato, non sarebbe logicamente dimostrata la definizione implicita del monogenismo. Ciò si avrebbe solo, se si provasse, che quanto i Padri concliari «coaffermarono» sul monogenismo era da loro implicato così chiaramente e immediatamente nella loro dottrina del peccato originale, per cui la loro affermazione assoluta di una dottrina si dovrebbe riferire con ugual forza e chiarezza anche nell'altra. Di ciò si può dubitare. Tutto ciò può, secondo le circostanza, provare che chi definisce o afferma in maniera assoluta la dottrina del Concilio sul peccato originale, deve logicamente far lo stesso circa il monogenismo, però non prova che l'abbia già fatto. In definitiva tutto si riduce a questo problema: ciò che il Concilio ha definito sul peccato originale ha di fatto un nesso indissolubile e immediato col monogenismo? Se esiste questa connessione, ed è immediata e come tale subito e immediatamente percepibile, si può allora parlare di una definizione implicita. Se esiste questo nesso indissolubile ma non si può provare senza una riflessione relativamente complicata, che, in sé solo considerata, non è sempre al di sopra di ogni dubbio, allora si può parlare della possibilità di una definizione di una definibilità e di una certezza teologica, non di una definizione implicitamente già avvenuta.» 45
Il dubbio è dunque lecito per Rahner: a questo punto il teologo osa dar forma al dubbio che ha sollevato: « In altre parole ci si deve domandare: secondo l'autore del Genesi la unicità individuale di Adamo appartiene alla forma espressiva o al contenuto (storico) della narrazione? Ammessa la necessità metodologica di porre la questione, oggi volentieri si dice che il monogenismo appartiene al contenuto espresso e non alla forma espressiva, perché altrimenti l'esposizione non avrebbe più alcun contenuto storico.
Ma è ciò veramente tanto certo? Anzitutto la menzione di un Adamo e di una Eva si trova in un contesto narrativo di natura plastico-immaginifica e drammatica. Non si può scegliere arbitrariamente da tutto il contesto un elemento e domandare, quale sia di per sé il suo contenuto particolare. Se si tien presente l'inclinazione degli orientali a pensare in maniera concreta e personalistica e conseguentemente a vedere fondata quell'unità sociologica in un unico re, in un unico capostipite, non si può allora pensare che si siano espressi la mutua omogeneità degli uomini, fondata nell'identica origine divina e nell'unica essenza umana, e il rapporto familiare di tutti gli uomini, presentando sotto l'immagine di una unica stirpe con un unico progenitore? Non si può certo dire che questo contenuto sia insignificante e ovvio. Il fatto che tutti gli uomini, appartenenti ai popoli più diversi, siano figli di un unico Dio e costituiscano una famiglia, non era neppure allora qualcosa di per sé evidente.» 46 Il gesuita, giunto a questo stadio della sua analisi, estrapola allora la sua iperbole spostando l'attenzione sul presunto autore della Genesi e sulle possibili modalità in cui costui avrebbe potuto esprimere le intuizioni di fondo che Rahner considera procedenti addirittura da Dio concludendo: «Possiamo descrivere più o meno in questo modo la concezione fondamentale che deve aver mosso l'autore:
1) Gli uomini, nonostante la loro diversità, nel fondo sono uguali e come tali distinti nettamente (anche dal punto di vista puramente terrestre) dal regno animale. Sono uguali nella loro essenza: impastati di terra e caduchi, come gli animali. Ciononostante sono una creatura morale, alla quale Jahvè rivolge in modo speciale la sua chiamata e per la quale tutto il resto quaggiù costituisce come l'ambiente della sua esistenza.
2) Questa unità, che è ora scoperta teologicamente, al di là della superficie dell'esistenza smembrata, come un esistenziale voluto da Dio, valido anche oggi, anteriore alla colpa, ha un inizio e un'origine. Questo inizio è originario come gli stessi uomini; non è effetto di una posizione storica dovuta a una scelta arbitraria e colpevole degli uomini stessi. Esso è il primo inizio, perché deriva dalla reale unità di un'origine unica e identica. Infatti, in primo luogo, una più ampia pluralità deriva da una pluralità minore, come insegna la semplice esperienza: gli uomini si moltiplicano (Gn 1,28). Inoltre, se gli uomini si moltiplicano così per generazione, al principio c'è bisogno solo di una coppia umana. Si può supporre che le considerazioni teologiche dello scrittore yavhista abbiano seguito questa direzione e lo abbiano mosso alla descrizione dell'inizio e dell'origine unica di tutti gli uomini, che ci dà in un un'immagine plastica? Se gli si può attribuire qualcosa di simile (e ci sono buone ragioni per farlo), si comprende con quanto diritto possiamo dire che le sue espressioni anche «quoad nos» sono almeno positivamente aperte ad un genuino monogenismo. Con ciò tuttavia non diventa verosimile, dal punto di vista puramente esegetico, che il monogenismo sia contenuto nelle espressioni del Genesi. Possiamo esprimere tutto ciò in quest'altra maniera: la menzione di una coppia primitiva è, anzitutto, elemento di una narrazione figurata. Per il momento constatiamo solo che, tenendo conto del genus letterario, da un'analisi puramente esegetica non è certo che il monogenismo sia espresso in Gn 1-3 in una forma propria e perciò da ammettere obbligatoriamente. In ogni caso. La narrazione di un solo progenitore esprime l'unità originaria, voluta da Dio, di tutta l'umanità e della sua storia di salvezza e di dannazione. Questo è il contenuto minimo delle affermazioni fatte con questa narrazione.» 47
La assoluta connessione monogenismo - dogma del peccato originale precedente è dunque messa in dubbio. Ed è già un bel risultato esegetico e teologico questo. Da qui si possono via via battere nuove strade che man mano permetteranno a Rahner di spostare il baricentro delle sue proposte esegetiche sempre più verso un'accezione poligenistica. Nel contesto di una esposizione dei motivi che indirettamente dimostrerebbe la necessità di una accezione teologicamente monoteistica dell'origine della specie umana al fine di mantenere valido il dogma cattolico del peccato originale , Rahner propone scenari in cui postula l'esistenza contemporanea di coppie progenitrici e si introduce nella valutazione di come, in tal caso, possa o meno essere inteso un qualche fatto identificabile nello stesso contenuto del peccato originale, che avrebbe dovuto propagarsi in tutta l'umanità a partire dall'origine della stessa.
Nel tentativo di proporre questa nuova lettura poligenistica egli così svolge la sua tesi: «Si presenta ordinatamente questa prova prendendo come punto di partenza la unità e la universalità del peccato originale. Presupposti questi due punti come dottrina del Concilio di Trento, si argomenta nel modo seguente: nell'ipotesi poligenistica, se non si vuol in genere rigettare del tutto il peccato originale, dovrebbero aver peccato, in luoghi e tempi diversi, più coppie di progenitori, dotati della giustizia originale, che avrebbero trasmesso ai propri discendenti il loro peccato, cioè la perdita della giustizia originale. Ora in primo luogo, si arguisce, è arbitrario, in tale ipotesi, pensare che tutti questi uomini debbano aver peccato, e per di più a considerevoli distanze di tempo e di luogo, quindi indipendentemente gli uni dagli altri, perché altrimenti l'ipotesi poligenistica non potrebbe più reggersi ragionevolmente. Né si vede inoltre, quando propriamente sia accaduto questo peccato originale che in quanto peccatus originans si deve pensare come atto unico compito sulla terra da una collettività. O forse il peccato originale viene all'esistenza col peccato della prima di queste coppie? Questa argomentazione mostra indubbiamente che il poligenismo si adatta molto male alla dottrina del peccato originale. Ma tale tipo di argomentazione lo esclude totalmente? Ci sia permesso di esprimere alcuni dubbi sulla apoditticità assoluta di questa considerazione. In primo luogo, abbiamo già dimostrato sopra che non è certo che sia stato definito a Trento il «propagatione», in quanto significa di più che il contraddittorio opposto a «imitatione». Se si ammette questo dubbio (in sintesi, la possibilità di teorizzare una modalità di propagazione propagatione degli effetti del peccato originale non necessariamente identificabile nella trasmissione fisica, genetica da genitori a figli n. d. a.) si potrebbe escogitare l'ipotesi seguente. Il primo uomo creato nello stato di giustizia originale è stato costituito da Dio fiduciario della giustizia da questi destinata obbligatoriamente a tutti gli uomini posteriori, per tutti i suoi discendenti, indipendentemente dal fatto della loro discendenza fisica da lui. Questo primo uomo perde per sé e per gli altri la giustizia originale. Tutti quindi hanno il peccato originale. La universalità e la unicità di origine del peccato originale restano salve. Tutti avrebbero il peccato originale a causa di Adamo. Le altre prime coppie non lo avrebbero certo generatione, ma per inoboedientiam primi homini, non imitatione. Presto, si potrebbe anche aggiungere, tutti gli uomini si mescolarono in modo che in poco tempo non vi fu più alcun uomo, che non discendesse da Adamo anche generatione. Si potrebbe dimostrare che questa concezione urta chiaramente contro il dogma del peccato originale qual è definito? C'è da dubitarne.» 48
Dunque: come risolvere tale dubbio? Rahner fa a questo punto una proposta molto originale, che seppur ci distoglie dall'ambito stretto delle tematiche in cui abbiamo visto sinora svolgere le sue argomentazioni, segnando qui un radicale slittamento di livello verso ambiti ancor più speculativi, rende in pieno la cornice ideologico metafisica in cui il gesuita sviluppa la sua ardita riflessione. Egli propone una evidenza, in realtà molto indiretta, capace di avvalorare il precedente dubbio in modo di postulare teoricamente, salvaguardando in opportuni contesti e significati il monogenismo teologico, l'unico, vero monogenismo a suo dire esatto teologicamente dalla dottrina cattolica, pur anche nell'accettazione di un'ipotesi poligenistica beninteso a livello fisico, genetico (polifiletico). Il nocciolo di questa evidenza però esula dalla mera analisi dei passi biblici rivolti all'origine dell'uomo e si incentra piuttosto sulla figura ed il ruolo teologico salvifico del Cristo, di Gesù. Così scrive: « dobbiamo osservare che l'essere tutti noi redenti da un unico Cristo, pur non discendendo da lui fisicamente, non dimostra affatto che un individuo e la sua azione possano avere per gli altri un'importanza morale davanti a Dio indipendentemente dal fatto se questo abbia o no un rapporto di connessione reale ed ontologico con gli altri. Infatti la questione è precisamente questa: può Cristo essere capo e mediatore dell'umanità, perché e solo perché membro della umanità monogeneticamente una sin dall'origine? Cristo appare nella S. Scrittura nostro Redentore, non (solo) perché umano, quindi di natura «specificatamente» identica, ma perché il «primogenito» tra molti fratelli, cioè tra noi che siamo fratelli secondo la carne . Egli entra come redentore della nostra unica comune storia di peccato, che è una, perché è la storia di una comunità genetica, fisica e reale. La unità della comunità di redenzione, cioè della comunità di salvezza e di dannazione dell'umanità in genere, non è solo giuridica, non risulta dall'incontro, nella pura azione pratica, di individui isolati per origine, né è un «universale» costituito dagli individui, che son reali, ma è una comunità di stirpe. Perché e in quanto entra in questa come «generato da donna», Cristo è solidale con gli uomini e questi con Lui. Abbiamo qui un'applicazione del concetto di unità genetica quale concetto teologico, che è indipendente dalla affermazione del Genesi. Ci si deve qui naturalmente aspettare l'obiezione che tutto ciò, anche nel N. T., deriva da un modo di pensare tipicamente semitico e, in genere, arcaico o persino «mitologico», che può intendere anche una comunità di destino o una uguaglianza specifica solo come comunità genetica. A ciò però si deve rispondere: dove stà scritto che questo pensare «arcaico» non veda le cose più esattamente del nostro pensiero atomistico e individualistico di oggi? In tal caso già si vede che per ragioni di metodo è necessario mirare, insieme alla S. Scrittura, alla cosa stessa, prospettandosela in tutta la sua forza espressiva. Si tratta quindi di far teologia e non solo filosofia storica, per chiarire a noi stessi che la S. Scrittura non solo «interpreta» e «sensibilizza» mediante la unità genetica la unità di destino e di specie della umanità, ma veramente vede ed esprime con ragione nell'unità genetica un presupposto obiettivo ed essenziale dell'unità di destino e di specie. Questa unità di storia salvifica, basata su una unità genetica, nella quale tutti gli uomini sono solidali con Cristo, perché Egli è della stessa stirpe, diventa realtà ancor più chiara, per la S. Scrittura e la tradizione, nella dottrina del peccato originale. Tutto quel che si è detto sulla situazione di salvezza o di condanna si riduce anzitutto solo a questo: la S. Scrittura conosce una situazione di salvezza e di condanna comune a tutti solo in quanto gli uomini appartengono ad una stessa stirpe.» 49
Queste pagine sicuramente non facili da condividere in una mentalità eminentemente scientifica aprono dunque le porte all'introduzione di un'accezione poligenistica fisica che successivamente Karl Rahner giungerà, in altra sede, a sostenere ben più esplicitamente: « non sembra... possibile dimostrare in maniera certa e probante che solo un'umanità originante monogenista (quindi un singolo e una coppia) può essere soggetto di quella prima colpa all'inizio dell'umanità... Anche in una umanità originante sorta poligenicamente è possibile pensare che un suo membro singolo o tutti insieme siano stati il soggetto che per primo ha peccato, determinando così quella situazione di non salvezza per tutta l'umanità originata.
Mi sembra che per poter affermare questo, però, sia necessario pensare all'umanità originante come un'unità storico carnale anche sul piano della storia della salvezza. Questo presupposto sembra possibile anche in un contesto poligenetico.» 50
Tutto ciò esprime comunque un drastico cambiamento di rotta: nei tempi in cui Rahner poneva queste sue sofferte riflessioni la teologia si stava infatti ancora impuntando in una strenua opposizione all'evoluzionismo ed una contemporanea difesa - tanto meno convincente quanto più ostinata di un monogenismo in senso stretto, fisico, concreto, dunque non solo meramente teologico. Tale disposizione era ad esempio ribadita ancora nel 1957 da teologi quali Maurizio Flick, quando sottolinea come il monogenismo sia da considerare « almeno una dottrina teologicamente certa, perché è dedotto da un dogma di fede » 51; ancora qualche anno più tardi evidentemente prima di convincersi delle innovative tesi di Rahner,52 come ammetterà successivamente troviamo lo stesso autore a sostenere imperterrito, e con vigore, assieme a Z. Alszeghy: «Il monogenismo è talmente connesso con il dogma del peccato originale che non si può negare il monogenismo senza negare elementi essenziali del dogma del peccato originale. In questo senso bisogna dire che il monogenismo è teologicamente certo. Ma forse si può anche dire di fede divina.» 53
Eppure il teologo tedesco inizia a proporre progressivamente, e con convinzione, le sue innovative ipotesi a favore di un poligenismo biologico, pur nell'ambito della radicale accettazione di quel particolare concetto di monogenismo teologico che aveva man mano tracciato contenuto questo che poi caratterizzerà gran parte della teologia post conciliare aprendo uno spiraglio fecondo per la riflessione teologica attuale.
Ciò è espresso compiutamente da Carlo Molari, il quale, proprio commentando i cambiamenti esegetici proposti dai suddetti teologi sull'argomento, scrive: «Le ragioni del cambiamento stanno nella diversa interpretazione che viene data delle formule bibliche e delle decisioni del Concilio di Trento relative al peccato originale e alla sua trasmissione.
Il riferimento a K. Rahner in questo ambito è necessario. Egli infatti già nel 1954,54 pur difendendo ancora il monogenismo con argomenti metafisici, ha mostrato però l'impossibilità di considerarlo «come una dottrina rivelata o infallibilmente insegnata dalla chiesa» neppure nel Concilio di Trento.
I teologi non hanno dato grande peso alle riflessioni filosofiche di Rahner, mentre hanno accolto le sue riserve sui fondamenti biblici e dogmatici del monogenismo.
Se la condizione per un cambiamento fu la nuova esegesi dei racconti biblici e l'analisi del Concilio di Trento, la sua possibilità reale fu data dalla riflessione sull'unità del genere umano. La sostanza della dottrina cattolica legata al monogenismo riguarda infatti l'unico Salvatore dell'uomo dal peccato, e quindi l'unica economia salvifica, corrispondente all'unità del genere umano. Abitualmente l'unità del genere umano veniva collegata all'origine da un'unica coppia.
Quando la teoria evoluzionistica si diffuse venne spontaneo considerare l'unità del genere umano più come una chiamata che come uno stato.
In questa prospettiva il Concilio Vaticano II aveva definito la chiesa come «sacramento di unità di tutto il genere umano» cioè segno e strumento della salvezza da raggiungere. Il peccato perciò cominciò a essere visto come un impedimento alla realizzazione di un progetto salvifico che tendeva all'unità fra tutti gli uomini.
Riflettendo sulla solidarietà salvifica A. Hulsbosch proponeva il dubbio «se l'affinità, attraverso la discendenza a livello umano dell'evoluzione, sia veramente il fattore più importante di unità». E osservava che «nell'ordine salvifico cristiano, così come si realizza sulla terra, l'unità è basata su un principio più alto... Non contano più né razza né sesso, decisiva è l'appartenenza a Cristo. Questo nuovo principio di unità ha potuto realizzarsi perché l'uomo vi era già disposto per natura... La dignità di immagine di Dio viene conferita ad ogni uomo dal suo creatore e non dal suo progenitore, e la reciproca unione spirituale tra gli uomini, che ne risulta, supera di gran lunga l'unità che deriva dalla comune discendenza».
Acquisito questo principio, non era molto difficile ammettere la conciliabilità del peccato originale con l'ipotetico poligenismo e giungere alla conclusione che il problema non è teologicamente rilevante.
C. Baumgartner, alla domanda se all'origine del peccato umano vi siano una o più coppie, un solo o più peccati, rispondeva nel 1969: «Queste questioni non riguardano più la sostanza della fede direttamente. Se le cose stanno così, il monogenismo e il poligenismo sarebbero problemi relativi alle scienze naturali e quindi di loro competenza esclusiva. La fede nel peccato originale e nel peccato delle origini ne sarebbe completamente indipendente.» 55
E conclude: «Questo atteggiamento ha condotto progressivamente i teologi a purificare le loro categorie relative all'azione di Dio nel mondo e alla creazione dell'anima individuale, a rivedere l'interpretazione dei primi capitoli della Genesi e dell'insegnamento paolino, a ripensare il contenuto delle formule tradizionali relative allo stato primitivo dell'uomo e al peccato di «Adamo».
Questo cammino si è compiuto con prudenza, senza episodi traumatici, anche se non sono mancate frizioni e resistenze. Si può dire che all'inizio degli anni settanta la teologia cattolica poteva affrontare tutti i temi connessi all'accettazione della teoria evoluzionistica senza complessi o difficoltà.» 56
Continua...
Note
43 Acta Apostolicae Sedis, Typis Vaticanis, An et. Vol. XLII, 1950, n. 576 (Traduzione).
44 Karl Rahner, [1969]1, op. cit. pp. 43-52.
45 Karl Rahner, [1969]2, op. cit. pp. 191-195.
46 Karl Rahner, [1969]2, op. cit. pp. 209-211.
47 Karl Rahner, [1969]2, op. cit. pp. 218-224.
48 Karl Rahner, [1969]2, op. cit. pp. 232-237.
49 Karl Rahner, [1969]2, op. cit. pp. 243-252.
20 Karl Rahner in AA. VV. Peccato Originale e Evoluzione, «Concilium», III, 1967, pp. 86 s.
51 Carlo Molari, [1984], op. cit. p. 95.
52 M. Flick, Z. Alszeghy: « il memorabile articolo di K. Rahner, con la sua analisi del decreto tridentino, che in un primo tempo ci è sembrato basarsi su distinzioni troppo soggettive, ha finito per convincerci.» In Carlo Molari, [1984], op. cit., nota 259 di p. 96.
53 M. Flick, Z. Alszeghy, Il Creatore. L'inizio della salvezza, Fiorentina Ed., Firenze, 2 a ed. 1961, p. 263.
54 Karl Rahner, [1969]2, op. cit. p. 169-279. N.B. Titolo originario Theologisches zum Monogenismus, in Zeitschrisft für katholische Theologie 76, 1954, pp. 1-18.
55 Carlo Molari, [1984], op. cit. pp. 96-98.
56 Carlo Molari, [1984], op. cit. p. 99.