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•  Neuroscienze ed evoluzionismo per un'accezione olistica della psicopatologie e dei disturbi della personalità.

Prima di abbandonare l'argomento Freud e psicologia è opportuno fare un'ulteriore analisi in relazione ad un aspetto importante sia sotto il profilo teorico che terapeutico, costituito dalla possibilità di collocare in una ottica nuova alcuni problemi della psichiatria odierna alla luce in particolare di alcuni fatti, pertinenti per il tema in essere, emersi specialmente dalle moderne etnopsicoanalisi e in etnopsichiatria.

Una delle più interessanti evidenze di queste novelle discipline, ancora in itinere verso una completa teorizzazione formale del materiale etnopsicologico, è data dalla valenza manifestata dai sistemi di credenze e dai loro contenuti formali più caratteristici sia nella definizione che nella terapia delle psicopatologie di singole realtà etniche, del ruolo delle pratiche sciamaniche ecc.

I contenuti di tali credenze sembrano infatti agire profondamente sulla definizione delle personalità individuali. La peculiarità rivestita da questi fattori culturali ci permette di porli, in ottica cognitiva, quale pool di elementi che sembrano in particolare intervenire in modo potente ed esteso nella determinazione della cosiddetta personalità modale di un dato sistema socio culturale.

L'etnopsichiatria riconosce alla cultura una valenza profonda sia nella strutturazione della personalità normale dell'individuo che nella definizione ed espressione delle psicopatologie.

L'individuo, sin dalla sua nascita, interagisce continuamente con la cultura, e principalmente col gruppo, la comunità che lo ospita, e in questo confronto, in cui si attuano significative dinamiche psichiche inconsce infine espresse nelle stesse categorie di pensiero, tali istanze socio culturali giocano un ruolo insostituibile. Per quanto riguarda gli aspetti psicopatologici, l'individuo media dalla cultura sia le manifestazioni culturalmente condivise di malessere psichico, sia gli strumenti d'interpretazione della malattia; dall'ambito culturale, di conseguenza, egli riceve le indicazioni con cui eventualmente formalizzare, ritualizzandole, tali forme di disagio, sia i contenuti, sicuramente contingenti, con cui classificare e distinguere i comportamenti sani da quelli patologici. Ne deriva quindi la possibilità di osservare nel panorama etnologico l'esistenza di distinte accezioni di malattia e di sanità, di normalità e di devianza, di patologia.

Abbiamo dunque delle vere e proprie nosologie, culturalmente differenziate, in cui rientrano a pieno titolo le cosiddette etiologie tradizionali, ovvero classificazioni sistematiche socialmente condivise dei fattori a cui ricondurre determinate patologie, principalmente quelle psichiche, e le loro manifestazioni, nelle quali trovano spesso spazio aspetti connessi alla sfera religiosa quali ad esempio l'esistenza e l'influsso di dimensioni extrasensibili, l'azione di enti spirituali, fenomeni di possessione e gli effetti di formule esorcistiche ecc.. Mediante tali etiologie tradizionali l'individuo deriva non solo le categorie formali in cui collocare il proprio stato psichico e su cui strutturare la propria personalità, ma addirittura, in caso di aspetti patologici, un vero contributo terapeutico attraverso una sorta di supporto sociale capace di rappresentare un'efficace istanza comunitaria nella gestione del disagio.

Queste realtà contribuiscono allora a strutturare, secondo Devereux,102 un segmento inconscio etnico, ovvero una frazione dell'inconscio che risente espressamente dei caratteri ed i valori tipici di una data civiltà: le forme di rappresentazione della realtà, dell'uomo, le concezioni cosmologiche ed antropologiche, ed ovviamente concezioni animistiche e teologiche.

È dunque comprensibile come culture diverse tra di loro, specialmente in aspetti culturali e metafisici pervasivi quali quelli rappresentati dal sistema religioso, giungano a mediare contributi radicalmente distinti. Ne consegue allora che la formazione della personalità dell'individuo, le sue scelte etiche, la sua stessa concezione del mondo, dell'altro e di se stesso risultano profondamente informate e condizionate dalle caratteristiche peculiari di una data cultura – ed ovviamente di una data forma di religiosità. Alla stessa stregua di ogni altro fattore culturale il modello religioso rappresenta un decisivo fattore strutturante della persona e della sua realtà psichica.

In una chiave di confronto trans-culturale questo aspetto estende in modo assolutamente inedito e chiaro la valutazione delle fonti di strutturazione della personalità in ambiti eminentemente culturali, giungendo infine alla sfera filosofica ed alle concezioni cosmologico teologiche di una data cultura, non tanto in merito ai fini terapeutici delle psicopatologie, quanto nella valutazione teorica dell'accezione stessa di personalità normale, sana dell'individuo. Una valutazione questa che tocca direttamente la stessa concezione di antropologia, di rapporto natura-cultura e la stessa definizione ontologica e personale di Uomo. Secondo Tobie Nathan «… possedere una cultura ed essere dotati di psichismo sono due fatti strettamente equivalenti, e … la differenza culturale non è una deviazione ma un dato di fatto altrettanto “umano”, altrettanto imprescindibile quanto l'esistenza del cervello, del fegato e dei reni. In psicopatologia, considerare solo l'uomo nudo a cui accennavo, questo soggetto mitico, folle macchina strutturale nata dal cervello di scienziati monoteisti seduti in meditazione solitaria su una poltrona di cuoio, significa commettere un crimine contro la ragione …»; bisogna dunque «… considerare quell'organo metaforico che Freud chiamava apparato psichico… come una macchina per creare legami … autoregolantesi su una macchina simile, con analoga funzione, ma di origine esterna: la cultura.» 103

È ovvio dunque come, alla luce di tali osservazioni, la classificazione teoetotomie/religioni ci possa far giungere ad un risultato inedito quanto alternativo rispetto al normale approccio alla dimensione del sacro: possiamo infatti collocare in un ben altro contesto interpretativo, secondo modalità ben definite e pertinenti, tutto il materiale psico clinico sinora interpretato, in riferimento alla sfera religiosa, in modo evidentemente riduttivo. Ci si riferisce in particolare alla possibilità di definire come valenze psicopatologiche molte espressioni che sinora sono state intese, visto l'equivoco dell'identificazione del modello teoetotomistico quale sistema universale di sistema religioso, come manifestazioni di fede proprie, canoniche ed irreprensibili. Un fatto questo che ci deve far riflettere su quanto l'influenza culturale di dottrine religiose dominanti possa essere subdolamente e costantemente attiva anche nei settori di ricerca scientifica dove dovrebbe brillare la massima obiettività ed aconfessionalità di analisi e giudizio.

Ad esempio, un immediato riferimento è costituito da tutti gli atteggiamenti fideistico superstiziosi, dalle manifestazioni di rimozione, sublimazione, isteria collettiva, di proiezione, si noti bene già da tempo debitamente sottolineati in molta letteratura specializzata, sotto cui ricade in realtà, ad un esame obiettivo e non fazioso, la caratterizzazione di molti atteggiamenti finora intesi quali positive e virtuose espressioni di fede, magari connesse a manifestazioni ed istanze sovrannaturali, e quasi mai collocati, come si dovrebbe, fra le modalità degeneri di espressione religiosa. Ma sia chiaro: questo non riguarda le manifestazioni religiose più estreme, già intese da tempo come forme patologiche anche dalla normale prassi psicoanalitica.

Quel che viene alla luce con l'introduzione della dicotomia teoetotomie/ religioni è la possibilità di addivenire finalmente ad un'accezione obiettiva e non distorta di patologia religiosa su una base filosofico teorica e su una sistematica comparazione etnologica. Un'accezione di patologia religiosa finalmente non più riferita ad espressioni patologiche clamorose e marginali in funzione della dimensione normale di un'esperienza di fede contingente, quale ad esempio la teoetotomia cattolica, ma che, proprio a partire dalla ben più ampia distinzione formale tra teoetotomie e religioni, ci permette di far riferimento all'atteggiamento fideistico canonico, riconosciuto dal senso comune quale espressione normale, positiva ed ortodossa della fede cattolica identificandolo come vera e propria patologia religiosa. Questo al di là del rispetto profondo ed intangibile che sempre e comunque si ha nei confronti dell'esperienza religiosa personale di qualsiasi credente. Sia ben chiara questa distinzione: ci si riferisce agli aspetti teologico dottrinali delle manifestazioni di fede, non al vissuto personale!

Possiamo allora anche evocare a tal pro l'immagine – sicuramente toccante! – della vecchietta che genuflette davanti alla statua del santo protettore o di quanti si accostano ad un'immagine sacra per trovare protezione od intercessione delle proprie esigenze più immediate, per chiedere in contrizione perdono per il peccato commesso, del genitore moralmente irreprensibile e impegnato che esprime sia nell'ambito sacro che in quello famigliare e civile, nel posto di lavoro, testimonianza di contrizione, di zelante dedizione ed obbedienza indeflessa, nonché del teologo che medita in modo raffinato sui contenuti escatologici della propria dottrina o sugli aspetti teologico morali relativi alla continenza sessuale, dell'officiante misticamente impegnato nella cerimonia liturgica sull'altare.

Si è consapevoli della peso di queste affermazioni – per molti sicuramente blasfeme. Ma è questa la conclusione diretta, inedita, ineluttabile, che deriva logicamente dalla classificazione teoetotomie/religioni; una conclusione che, d'altronde, include nello stesso ambito patologico anche tutto il materiale relativo alle credenze paranormali, dalle possessioni spiritualistiche – UFO, visitatori alieni – ai miti millenaristico messianici, dalle sette tecno-fideistiche e sataniche alle psicosomatizzazioni a carattere fideistico che la psicologia e la psicoetnologia ci mostrano con ricchezza di dati, e su cui sicuramente i dissensi saranno decisamente meno forti. Ma è inevitabile che gli stessi principi che ci permettono queste conclusioni non possono, ovviamente, autorizzarci a fare eccezione per le positive dottrine teologiche millenaristico universalistiche in cui tali caratteri si presentano in modo altrettanto clamoroso principalmente nella sfera attuale, quotidiana delle loro manifestazioni – e questo è molto più grave e significativo rispetto all'evocare eventi o periodi sinistri della loro storia quali inquisizione, caccia alle streghe, massacri di eretici, guerre di religione e quant'altro.

La connotazione patologica allora vale sì per gli eccessi integralisti dei pasdaran islamici ma altrettanto per la prassi religiosa del quotidiano ed ortodosso credente protestante, cattolico, per le manifestazioni estatiche o di auto flagellazione di cui è zeppa la storia di santi, martiri e novizie alla stessa stregua delle le scurrili cerimonie orgiastiche delle sette sataniche.

A partire da questa collocazione teorica dei diversi modelli teologici dunque, viste anche le evidenze delle dinamiche connesse alla loro affermazione socioculturale, risulta inevitabile postulare l'eventualità di emersione di molteplici derive psicopatogene in funzione dei ben distinti modelli religiosi – incluse in teoria, e senza possibilità di deroga, le teologie teoetotomistiche. Si vede qui clamorosamente come il ricorso a questa chiave di lettura permetta di inquadrare in un'ottica radicalmente alternativa quei caratteri di patologia già evidenziati dalle discipline psicologiche: ed è ovvio come, a partire da tale revisione formale, si sia in grado di soppesare con maggiore efficacia le conseguenze dovute alla presenza-assenza di particolari tratti della personalità modale tra culture della classe teoetotomistica e quelle di tipo religioso.

Un primo importantissimo obiettivo in questa ricerca è rappresentato dall'opportunità di associare con immediatezza al nuovo paradigma della distinzione tra religioni e teoetotomie la tradizionale valutazione psicoanalitica e psichiatrica delle cosiddette psicopatologie religiose. 104

Come la psicologia odierna ha estesamente mostrato, durante lo sviluppo dell'individuo e specialmente nelle fasi della fanciullezza e dell'adolescenza, si può osservare nel bambino la tendenza ad una sovrapposizione ideale, od identificazione, della figura ingenuamente attribuita al Dio con quella dei genitori e spesso, nelle fasi successive, ciò avviene anche a carico degli educatori o, in generale, di tutti i soggetti che si determinano quali guide etico sociali all'individuo. Nel corso di queste potenti identificazioni il soggetto inizia a sperimentare ed esprimere il senso profondo della trama etica della cultura di appartenenza, definendo di conseguenza una definita psicologia del rapporto interpersonale, sia all'interno dei rapporti parentali che in più ampie relazioni sociali.

Viste le modalità con cui si struttura l'istanza del Super Io ed in cui si profila l'Ideale dell'Io, lo sviluppo psichico dell'individuo risulta fortemente plasmato dalle esperienze infantili ed adolescenziali, nel corso delle quali interiorizza in particolare nei confronti della dimensione religiosa le prime disposizioni, chiaramente immature, disponendosi poi per le eventuali fasi successive di crescita con cui la personalità del soggetto dovrebbe finalmente giungere a maturità.

Tutte queste esperienze risultano in definitiva in grado di condizionare la personalità dell'individuo in modo molto profondo. Ed è qui che distinti sistemi religiosi, e il riferimento è d'obbligo per le teoetotomie ed i loro contenuti formali, vanno ad esprimere influenze tali da originare fissazioni e condizionamenti da cui l'individuo spesso è incapace di sollevarsi, dando luogo a manifestazioni chiaramente patologiche ed immature di religiosità in grado di radicarsi e sussistere anche e soprattutto nella fase adulta.

Il fatto è che tali manifestazioni finiscono addirittura con l'essere intese quali espressioni di fede normali e positive, dunque sane, vista la loro estesa e ricorrente affermazione nell'ambito dell'intera comunità. Ovviamente questa è conseguenza ultima ed inevitabile del fatto che i contenuti teoetotomistici risultano radicati nelle relazioni sociali, nelle manifestazioni di culto e quant'altro aspetto socio culturale in cui tali valori, fondamentalmente repressivi, vengono sostenuti esplicitamente ed attivamente.

Questi modelli religiosi in realtà veicolano fattori psicopatogeni tali da originare manifestazioni chiaramente patologiche tramite modalità abnormi ed improprie di esperienza del sacro le quali, al contrario di quanto inteso sinora anche al di fuori degli ambiti confessionali, sono da intendersi come vere e proprie degenerazioni di un sano sentimento religioso. C'è da ricordare a tal pro che le osservazioni psicodinamiche odierne risultano sostanzialmente confermare questo quadro e che la valutazione delle alterne valenze di condizionamento psicologico dell'individuo da parte dei diversi sistemi religiosi definisce dinamiche psicopatologiche sostanzialmente coerenti con le manifestazioni cliniche dei disturbi riportate nel manuale dei disturbi psicologici DSM–III, in Asse II, ove vengono definiti e classificati i disturbi della personalità. 105

È da notare comunque come, oggi come oggi, risulti ovviamente impossibile estrarre dall'attuale letteratura psicoanalitica, psichiatrica ed etnopsicoanalitica esempi immediatamente associabili alla casistica dei modelli religiosi da noi proposta: tutte le ricerche sinora condotte non hanno infatti mai preso in considerazione alcuna ipotesi classificatoria analoga alla nostra nel porre in rilievo gli aspetti culturali connessi alla distinta natura degli edifici teologici. Eppure la sostanziale concordanza che, malgrado questo, è possibile riscontrare nell'applicazione della nostra classificazione alla letteratura disponibile oggigiorno rappresenta un'evidenza in sé molto significativa.

In rapida sintesi, dal DSM IV, in Asse II possiamo estrarre la classificazione di alcuni disturbi che sembrano variamente riconducibili all'influsso psicopatogeno dato dall'influenza di diverse realtà religiose. Un primo esempio è dato dal disturbo schizotipico di personalità, spesso riconoscibile in forme di schizofrenia menzionate, a motivo di eventuali contenuti e sintomi a sfondo religioso, come psicosi religiose. 106 Caratteristica essenziale di questo disturbo è un quadro contraddistinto da deficit sociali ed interpersonali, disagio acuto, ridotta capacità di relazione ed eccentricità comportamentale: sono presenti credenze originali o forme di pensiero magico che influenzano il comportamento e spesso sono in palese contrasto con le norme culturali, come nel caso di comportamenti fortemente superstiziosi, tendenza a credere facilmente in percezioni magicistiche extrasensoriali, di parlare in lingue sconosciute od ad entità sovrannaturali, della credere in forme di esistenza spirituale in cui vengono contemplati sdoppiamenti dimensionali in cui si hanno percezioni di persone morte in rapporto con i vivi ecc..

Un'altra patologia particolarmente interessante è costituita dal disturbo dipendente di personalità, in cui si osserva tipicamente nei soggetti una fortissima necessità di essere accuditi, la quale determina di conseguenza forme di comportamento evidentemente sottomesso e dipendente, pervaso dal timore di separazione e di abbandono sociale. È da notare che i livelli di dipendenza variano nei gruppi socioculturali: si osserva allora in certe società l'enfasi posta su manifestazioni di gentilezza e atteggiamenti di passività e deferenza, mentre altre società incoraggiano in misura alterna il comportamento dipendente tra i sessi.

Sempre in funzione delle possibili differenze nella definizione e sviluppo delle istanze dell'Ideale dell'Io ed in particolare dell'eventuale ipertrofia del Super Io nei sistemi di tipo teoetotomistico, ed in stretta connessione con il disturbo appena precedente, risulta quanto mai interessante il disturbo ossessivo compulsivo di personalità. Il quadro generale, che mostra atteggiamenti di forte vissuto fideistico ed in particolare di manifestazioni di eccessiva preoccupazione per l'ordine, il perfezionismo, il controllo mentale e interpersonale, a detrazione della flessibilità, apertura ed efficienza comportamentale le possono far giungere a definire, nell'ambito religiose, a forme di religiosità anale, riprendendo la classificazione delle fissazioni pre edipiche proposta da Freud.

Questo disturbo sembra esprimere dunque con ampio risalto i tratti più significativi e tipici della configurazione teoetotomistica, e può risultare particolarmente grave vista la capacità di tali dinamiche psicopatologiche d'integrarsi con estrema violenza con altri aspetti psicopatologici. Si noti come questo disturbo possa essere inteso in quelle culture che pongono un'enfasi particolare sul lavoro e la produttività: è ovvio come eventuali comportamenti di tal fatta possano giungere ad essere estesamente diffusi tra i membri di tali società senza che si giunga minimamente a considerarli come patologici. È notevole infine sottolineare come in questo disturbo sia possibile osservare pesanti condizionamenti etnocentrici. D'obbligo, in merito a quest'aspetto, il riferimento a Max Weber., 107 108

Circa l'aspetto propriamente psicologico risultano interessanti anche quei disturbi che rientrano nei cosiddetti disturbi dell'umore, nella cui classe sembrano rientrare, sempre facendo riferimento ad aspetti inerenti le forme religiose le cosiddette psicosi religiose maniaco-depressive. 109

In esse sono presenti alterazioni dell'umore che ricorrono in periodi contraddistinti da manifestazioni maniacali alternati a forti crisi depressive. Si passa da periodi segnati da manifestazioni di irritabilità, in cui l'individuo esprime autostima ipertrofica, senso di grandiosità, insonnia, agitazione psicomotoria, logorrea, un'insolita resistenza fisica, capacità di portare avanti attività multiple, ad esempio in campo lavorativo, politico, religioso e sessuale, e in casi particolari si rende artefice di gesti arditi spesso ai limiti dell'incoscienza, oppure manifesta un'estrema creatività. A questi periodi si contrappongono fasi calanti, in cui il soggetto mostra evidenti difficoltà di concentrazione, incapacità di prendere decisioni, disinteresse generalizzato per qualsiasi attività, forti sentimenti di svalutazione, inferiorità, disagio sociale, calo dell'appetito e dell'attività psicomotoria, forti sensi di colpa, pensieri ossessivi di morte e di suicidio.

Nella dimensione religiosa questo tipo di disturbi si esprime di volta in volta con manifestazioni di intenso bisogno di approvazione e di iperattività, che spesso si concretizza in un'assidua ed esagerata frequenza alle funzioni religiose, alternate a momenti di profondo scoramento, se non di panico e di frustrante senso di colpa, durante i quali l'individuo si sente cacciato nell'impossibilità di sfuggire ad un immanente, ineluttabile castigo.

Nell'ambito dei sintomi presentati nel DSM–III sembra anche immediata la possibilità di identificazione molte forme di immaturità religiosa riferibili alle teorie freudiane sulle fissazioni pregenitali – religiosità orale, anale e fallica – di volta in volta identificate come narcisistica, dipendente, gratificante, sostitutiva, masochistica, ossessiva etc. 110 Tali particolari manifestazioni sembrano direttamente connesse con la definizione formale di un dato modello religioso. Solo il fatto che i modello teoetotomistici, in cui si definisce esplicitamente una dipendenza etica dell'individuo nei confronti della divinità, abbiano costituito il riferimento religioso di tutta la cultura occidentale non ha permesso di cogliere il profondo significato di questo problema.

Distinte condizioni culturali possono quindi influenzare con alterne istanze il processo di maturazione dell'individuo: e laddove le teoetotomie non possono che costituire un'istanza incapace di sollevare l'individuo dall'oppressione di un Super Io assolutamente irriducibile, le religioni, dove è assolutamente bandita qualsiasi definitiva cristallizzazione del Super Io, si pongono come riferimento insostituibile per il raggiungimento di una condizione finalmente adulta, oggettivamente sana sia sotto il profilo religioso che in ogni altro ambito esistenziale, scevra da contaminazioni dovute ad istanze psicologiche immature.

Un confronto interculturale delle distinte manifestazioni psichiche potrebbe quindi fornire elementi ulteriori per valutare l'incidenza di determinati tratti patologici, del loro adattamento al contesto socioculturale e della sofferenza psicologica che sanno causare: a tal pro si può osservare come diverse culture teoetotomistiche – si prenda ad esempio il cattolicesimo – favoriscono il vissuto di sofferenza e un decorso negativo di tali manifestazioni patologiche, addirittura riconducendo tali sintomi ad aspetti vocazionali e fideistici in cui addirittura si giunge ad una loro identificazione con l'Ideale dell'Io proposto dall'ideale teoetotomistico.

Nelle teoetotomie infatti l'uomo è collocato in uno scenario metafisico che esige a livello psicologico un'affermazione ipertrofica dell'istanza del Super Io ed una definizione dell'Ideale dell'Io da cui deriva la necessità una prassi essenzialmente repressiva e di contrasto insanabile dell'Io rispetto le varie istanze della psiche; un fenomeno questo fondamentale nell'insorgenza della quasi totalità delle psicopatologie. Nelle religioni, al contrario, queste relazioni e dinamiche psicologiche risultano perfettamente aborrite, negate, ed in particolare nel rapporto con il sacro, ovvero con l'ente divino, si prospettano dinamiche psicologiche e modalità di espressione delle diverse istanze della psiche assolutamente inediti.

Inoltre, la distinzione tra teoetotomie e religioni fa sì che comportamenti socio individuali, ruoli religiosi, tradizioni ed espressioni di culto solitamente visti come consone manifestazioni di fede, come ad esempio di individui depressi che si occupino in modo assiduo di volontariato, o di soggetti con manifesta personalità ossessiva che si prestino all'attuazione di ideali disegni conservatori o partecipino a degenerazioni di natura integralistica, possano finalmente essere intesi in un'accezione più esplicativa, quanto scientificamente verificabile.

Questa diversa considerazione dei contenuti religiosi mostra dunque clamorosamente come negli ambiti teoetotomistici si intendano in realtà quali virtuosismi fideistici manifestazioni che, dal punto di vista prettamente psicoanalitico risultano quali veri e propri disturbi psicologici, spesso estremamente dolorosi, pervasivi e debilitanti della personalità.

Tutti questi aspetti sono quindi da tenere in particolare considerazione per un'esatta valutazione della religiosità, in special modo in funzione del fatto che in base alle dinamiche proposte dalla teoria psicoanalitica, queste manifestazioni risultano essere il prodotto di condizioni etico culturali contingenti, spesso niente affatto ottimali, in cui si vanno a definire, in particolare nei periodi infantili e nell'adolescenza, la struttura profonda della psiche e la frazione più estesa ed inconscia della personalità dell'individuo.

Ecco in conclusione la base profonda del detto, a me caro, tragicamente caro «Ognuno è solo con il suo Dio». Ricorriamo a tal pro ad un'altra citazione di Einstein, sempre benaccetta seppur con dei distinguo secondari che più avanti verranno esplicitati: «Non posso immaginarmi un Dio che ricompensi o punisca le sue creature. O abbia una volontà del tipo che ci è dato di sperimentare in noi stessi. Né posso, e tantomeno voglio, immaginare che l'individuo sopravviva alla sua morte fisica; lasciamo che siano le anime deboli, per paura o assurdo egoismo, ad accarezzare siffatti pensieri» 111

Si comprende a questo punto come la distinzione introdotta possa essere in grado di risolvere in modo inedito un altro aspetto, questa volta non inerente l'ambito scientifico tout court, quanto l'ambito esegetico, interpretativo. La classificazione teoetotomie e religioni e la conseguente collocazione storico sociale di questi distinti istituti teologici, ci permettono di risolvere in modo nuovo quella sofferta ed insufficiente interpretazione del Genesi sulla quale si è addensato l'interesse di teologi e scienziati, e che è stato alla base di tutte le secolari controversie tra scienza e teologia – o meglio tra evoluzionismo e fede cattolica – di cui si è all'inizio accennato.

La soluzione proposta si esprime evidentemente in modalità e contesti pienamente verificabili, il che spazza via, al confronto, tutte le sedicenti ipotesi eccessivamente metafisiche e speculative sinora avanzate, specialmente quelle dei teologi che abbiamo precedentemente presentato.

Poche righe sopra si è infatti definita, nel confronto tra teoetotomie e religioni, una accezione particolare di «conoscenza del bene e male». In base a questa inedita accezione è possibile attribuire alle teoetotomie una vera e propria conoscenza del bene e male, ovvero della divisione etica della sfera delle azioni, comportamenti ed intenti permessi («bene») o vietati («male») dalla divinità, mentre questo non risulta, ovviamente, essere minimamente possibile fare nelle religioni, nelle quali, alla luce dello stesso aspetto, non si ha nessuna «conoscenza del bene e male». Ci si soffermi e n passant sul fatto che le religioni sembrano essere il modello di credenza teistica diffuso nelle società più primitive, e che i modelli teoetotomistici sono apparsi solo tardivamente nella storia umana. Dunque le religioni sono anteriori – e di molto – alle teoetotomie.

Possiamo allora invocare nel corso della storia del genere umano, e più precisamente delle varie forme di società umane, una transizione socio culturale che vada dalle prime alle seconde. Non è possibile però parlare in questo caso di evoluzione dalle une alle altre ma solo postulare una trasformazione profonda, una sostituzione che frantumi decisamente ogni ipotesi di continuità con quanto c'era prima. Questa conclusione è dovuta a tutta una serie di considerazioni vertenti sul fatto che le religioni esprimono principi teologici tali da non poter dar luogo ad una graduale evoluzione verso un modello del sacro così diverso quale quello delle teoetotomie. Le teoetotomie non rappresentano dunque lo sbocco evolutivo proprio ed inevitabile del modello religioso, essendo drasticamente distinti i fondamenti teologici delle due modalità.

È piuttosto necessario invocare un processo di mutazione culturale. Troppo distanti ed antitetiche risultano essere le istanze socio culturali sostenute dalle due diverse forme di religione. Troppo inconciliabili le concezioni teologiche, cosmologico cosmogoniche ed antropologiche sostenute nelle due distinte forme di credenza.

Qui non si è davanti ad una graduale, progressiva, ineluttabile dinamica di evoluzione che vede al suo estremo ultimo lo sviluppo di un modello teoetotomistico. Teoetotomie e religioni esprimono istanze così antitetiche e, di conseguenza, mostrano processi di evoluzione del tutto tipici e specifici di ciascuna modalità. Si è qui in presenza di una rottura profonda, inconciliabile tra i due sistemi che non può essere minimamente ignorata. Una rivoluzione che nel versante socio culturale trova un parallelo altrettanto radicale nelle profonde distanze esistenti tra società pre-classista pre-statuale e società classista statuale. Una differenziazione che si esprime, riprendendo Freud e le sue teorie, anche nella valenza psicologica dell'individuo sottoposto alle espressioni più tipiche delle due distinte forme religiose.

Una soluzione di continuità profonda che, in altri termini, osserviamo tra le specie culturali Homo sapiens sapiens religiosus e Homo sapiens sapiens teoetotomisticus. In ciò si esprime dunque l'abisso che separa l'uomo di un mondo religioso, ove la divinità lascia l'uomo libero di esprimere la propria autonomia etica, dall'uomo di un mondo teoetotomistico, ove lo stesso deve alienare da sé, in ogni ambito della sua dimensione esistenziale, l'aspetto più fulgido della sua essenza: la libertà.

Bisogna ricordare a tal pro come in psicologia, specialmente in quella di matrice freudiana, determinate dinamiche in atto tra Io e Super-Io e, di conseguenza, l'attuazione di particolari modalità di confronto tra l'istanza dell'Io e l'Es, assumono un interesse decisivo nella genesi di gravi psicopatologie e nevrosi e nell'origine di comportamenti fortemente disadattativi, comprese quelle degenerazioni dello sviluppo della personalità contraddistinte da distruttività, sadismo e masochismo.

Alla luce di queste considerazioni, è immediatamente comprensibile che la mancata irruzione della sfera del sacro, del profilo della divinità che si ha nelle religioni nel processo di definizione puntuale del Super-Io, nella sua stessa strutturazione, possa aprire orizzonti di crescita psichica individuale e di autonomia etica assolutamente preclusi nei modelli teoetotomistici. Questo è ovviamente di indubbio risalto: nel personale itinerario di crescita l'individuo può approdare nelle religioni ad una realtà esistenziale ed ad un livello di maturazione psichica da cui confrontarsi responsabilmente, da adulto, nell'esercizio e rispetto della propria dignità, con un Super-Io che non apparirà più cristallizzato su norme etiche di origine divina, assolutamente inaccessibili e perfettamente al di fuori di ogni possibile sua valutazione, critica o libera ed autentica accettazione. Il Super-Io potrà allora essere colto come un'istanza che può essere affrontata e risolta – e proprio per questo razionalmente e coscientemente interiorizzata – alla luce dell'autonomia etica del soggetto. E la sua de-sacralizzazione lo riduce infine solo ed esclusivamente a mero ricettacolo di semplici ed accessibili precetti umani, sempre e comunque di origine umana: l'enorme differenza di questo stato di cose in funzione della crescita psichica dell'individuo è ovvia, intuitiva.

In tale processo è allora possibile giungere a proporre un riassorbimento di tale istanza, o quanto meno ad una significativa riduzione del suo risalto normativo a favore di un Io che può finalmente districarsi dalla morsa di un Super-Io spesso ipertrofico, carattere forse valido in determinate fasi infantili od adolescenziali, immature dell'esistenza dell'individuo, quanto assolutamente pregiudiziale per l'approdo alla fase adulta per eccellenza della sua maturazione psichica personale.

La possibilità di una vera e propria contrattazione e revisione dei rapporti dell'Io nei confronti del Super-Io, evidentemente mediata da aspetti razionali, di un conseguente riassorbimento fisiologico dell'istanza del Super-Io, con tutto quel che può derivare sotto il profilo psichico ed esistenziale all'individuo, rappresenta uno scenario assolutamente inedito ed interessante in funzione di come tale eventualità, stante tutte le valutazioni ed evidenze della psicologia attuale, può avere nella formazione della personalità adulta. Ovviamente il riferimento va alla possibile regressione di quelle rimozioni e fissazioni dovute all'azione di un Super-Io ipertrofico e teoricamente inaccessibile quale quello che si riscontra tipicamente nei contesti teoetotomistici – il Super-Io che Freud riscontrava costantemente nei suoi pazienti.

Da notare a tal pro, come nelle religioni l'eventualità di questo processo è addirittura auspicata, favorita dall'affermazione di due fatti fondamentali. Il primo è che la teologia e l'antropologia affermate nei sistemi religiosi, ove addirittura la divinità assume un atteggiamento di perfetto rispetto dell'autonomia etica dell'individuo, delineano esplicitamente questo fine. L'uomo è inteso come creatura di un Dio artefice della sua stessa esistenza mondana; un Dio che dunque afferma proprio in questo suo gesto creativo e nella concessione della perfetta autonomia etica alla sue creatura, senza alcuna eccezione possibile, oserei dire il dovere sacro dell'esercizio dell'autonomia etica. Il secondo è che l'ipotesi di una incondizionata vita d'oltretomba, perfettamente contemplata nello stesso edificio religioso, permette di amplificare esponenzialmente, in modo assolutamente insuperabile, il valore ontologico che ogni individuo viene ad assumere in tale contesto teologico cosmologico. E tutto questo diviene una decisiva consapevolezza per l'individuo religioso. È assolutamente chiaro a questo punto come possa essere ben diverso, e quale possa essere il valore ed il significato autentici della frase evangelica: «Io ho detto: voi siete déi» (Gv 10, 34)

Tutte queste considerazioni conducono dunque a prospettare ed a percepire in modo pieno la profonda differenza delle istanze che il modello religioso può vantare nei confronti di qualsiasi teoetotomia, la radicale opposizione insita nei principi religiosi rispetto a quelli teoetotomistici e, infine, come tutte queste differenti valenze possano trovare, soprattutto nella sfera psichica dell'individuo ampia ed inedita attuazione, come debitamente verificato dalle risultanze della psicologia moderna. Ed infine come tutto questo presenti ampie e profonde connessioni con tutte le componenti della situazione esistenziale di ciascun individuo umano.

È infine singolare osservare come, alla luce della distinzione tra teoetotomie e religioni, ed ancor più dalla valutazione dei principi di quest'ultima modalità teistica, le istanze di autori laici, addirittura atei quali Freud e Marx, che sinora sono state intese senza eccezione perfettamente in opposizione con l'opzione teistica, possano in realtà assumere un significato ed una accezione assolutamente inedite e distinte. Nel nuovo quadro le loro critiche vanno ad assumere significati sicuramente più contingenti, ma lette alla luce di un'opzione religiosa, altrettanto sicuramente – quanto sorprendentemente – risultano assumere una pertinenza che sembra radicalmente sfuggita a tali autori.

Le loro critiche, beninteso in unione alle posizioni di tanti altri autori, si compongono in modo mirabile ed inaudito in una nuova cornice, contribuendo a definire decisivi aspetti di valutazione dell'autentica valenza e significato socio economico e psicologico delle manifestazioni religiose, ed in particolare delle teoetotomie. Ed allora è facile osservare quanto risultino religiosi Marx e Freud! Per non parlare, come vedremo più avanti, di un certo Friedrich Nietzsche… ed altri sedicenti atei.

A questo punto l'insieme di tutte queste considerazioni e di questi decisivi contributi ci spinge a proporre addirittura, componendo tutto questo nella distinzione tra teoetotomie e religioni, ad un passo ancor più sorprendente: la possibilità di giungere ad una inedita interpretazione del capitolo del Genesi in cui si parla della caduta dell'umanità, del peccato originale della coppia primordiale, che avrebbe distrutto l'unità e perfezione dell'esistenza umana sulla terra e da cui avremmo dovuto tutti ereditare una condizione peccaminosa. Alla luce di questa inedita interpretazione del terzo capitolo del Genesi, che ha da sempre rappresentato la ragione del contendere, il nodo gordiano su cui si sono concentrati gli sforzi esegetici dei teologi e le feroci critiche del polo laico, si dipana in modo sorprendentemente semplice, chiaro, ma ancor più verificabile, sperimentabile e concreto. Quanto inedito. E questo mostra come solo a motivo di un'interpretazione condotta in modo evidentemente infondato, fazioso e maldestro si è originata tutta la querelle sull'evoluzionismo, il monogenismo e quant'altro di cui si è detto.

Al contrario di quanto sinora proposto, senza alcuna evidenza o riscontro, nel terzo capitolo del libro della Genesi, al di sotto delle modalità contingenti e mitologiche di narrazione – di quell'etiologia dei fumosi brani del Rahner precedentemente presentati –, si afferma con sorprendente lucidità e, mi permetto, aderenza storica, solo ed esclusivamente l'avvenire di un fatto immanente, storico, perfettamente identificabile, straordinariamente concreto, ad onta di tutte le insolventi e a questo punto esplicitamente infondate esegesi anteriori. Fatto di cui possiamo avere evidenze storiche proprio in quei luoghi geografici e negli orizzonti cronologici di cui si fa riferimento nel libro del Genesi, senza per questo scomodare alcun geologo o biologo in merito all'origine del creato e dell'umanità: infatti quel capitolo parla solo ed esclusivamente del passaggio socio culturale da sistemi religiosi a sistemi teoetotomistici avutosi in quei luoghi, forse per la prima volta nella storia dell'intera umanità. Dunque si parla di un passaggio – ripeto, non evoluzione – da sistemi socio culturali in cui l'uomo non era a conoscenza del bene e male, a sistemi socio culturali in cui l'uomo viene a conoscenza del bene e male. Ecco di cosa narra il terzo capitolo del Genesi.

Usando le stesse eccezioni del redattore di quel libro, possiamo dunque comprendere appieno, stante la distinzione tra religioni e teoetotomie, come l'uomo possa divenire conoscitore del bene e male. Emerge dunque il lampante, clamoroso significato di questa narrazione, un'interpretazione che getta una luce abbagliante, disconosciuta laddove sinora si è brancolato nel buio senza costrutto, avvolti in una dogmatica quanto supponente ignoranza.

Ecco dunque il significato immediato, non dovuto ad alcuna manipolazione etimologico interpretativa, semeiotica, del simbolo dell'albero della «conoscenza del bene e male», della manducazione dei frutti avvelenati dell'albero della conoscenza, il senso autentico e pienamente comprensibile della perdita dell'innocenza originaria. Nessuna magica ed arcana scienza, nessuna insondabile e satanica tentazione o magia, nessuna disobbedienza, nessun atto di concupiscenza né alcuna divina prova di obbedienza mancata dai nostri predecessori la cui punizione si andrà a riversare in tutto il consorzio umano.

Né si parla dell'acquisizione della coscienza, del pensiero razionale, o, come alcuni sostengono, di una modalità simbolica di rappresentare la stessa condizione susseguente allo stesso essere enti senzienti, o altre ipotesi dello stesso calco. Non parliamo poi di sedicenti disobbedienze e/o di peccaminose conoscenze di tipo sessuale. No: nulla di tutto questo ciarpame.

Nel terzo capitolo del Genesi si parla in modo limpido e chiaro solo ed esclusivamente di una umanità che prima di un certo orizzonte storico culturale era assolutamente aliena da qualsiasi «conoscenza del bene e male», poi non più. In quei brani si narra, seppur nell'ambito di concezioni cosmologiche assolutamente datate, del momento in cui l'umanità passò da una fase storica in cui non aveva alcuna «conoscenza del bene e male» ad una in cui diventò capace di possedere la «conoscenza del bene e male».

Abbiamo quindi una umanità antecedente a questa conoscenza, o meglio caduta, e poi una umanità che diviene vittima del degrado derivante dalla «conoscenza del bene e male». Assistiamo ad una transizione, estremamente infausta: non si può invocare in questo caso né l'approccio alla coscienza riflessa né altro. Anzi: l'umanità è descritta già compiuta, perfettamente compiuta prima di questo sedicente evento: è un'umanità che viveva in armonia con la natura, che già avrebbe addirittura un rapporto personale e preferenziale con Dio, una condizione questa che verrà irrimediabilmente persa proprio con quella «conoscenza del bene e male» a cui l'uomo approderà.

Non è necessario come si vede alcun ricorso a sedicenti condizioni preternaturali di immunità da dolore e morte fisici – assolutamente infondate – né altro per cogliere il senso profondo e significativo, pienamente comprensibile, del susseguente degrado ontologico della condizione umana davanti a Dio. Si parla qui – in modo straordinariamente chiaro e pertinente se ci pensiamo, specialmente in riferimento all'orizzonte culturale a cui tali testi dovrebbero essere ricondotti – solo ed esclusivamente di una decisiva transizione culturale, ovvero di una trasformazione che si potrà poi diffondere con meri mezzi culturali secondo modalità lamarckiane, ovvero per trasmissione culturale, senza presupporre ed esigere alcuna continuità genetica di generazione in generazione.

Ogni contenuto culturale infatti può diffondersi a prescindere dagli aspetti biologici. Una idea, che sia una metafisica credenza religiosa o una empirica nozione scientifica, una ipotesi filosofica o una concreta conoscenza e/o abilità tecnico naturalistica, può diffondersi addirittura istantaneamente in una popolazione fatta da enti senzienti. Ancor più si può comprendere quanto un'idea, a prescindere dal suo contenuto, possa essere sostenuta, perpetrata e diffusa se viene continuamente inculcata in individui durante la loro crescita, a partire dall'infanzia sino alla maggior età. Un processo di acculturazione dunque che si esplica in un continuum pervasivo, muovendo dalle più intime esperienze socio affettive, dall'interiorizzazione delle norme e delle consuetudini relazionali proprie dell'ambiente famigliare all'apprendimento mediato da tutti quei soggetti pubblici a cui la comunità demanda, o concede, l'ufficio di condurre all'interiorizzazione ad ogni livello e in ogni forma delle modalità socio culturali sancite dalla stessa. Culti, rituali, giochi, letture, spettacoli, attività relazionali, sportive e ricreative, imposizione di principi di conduzione socio istituzionale della società, definizione dei fondamenti politici e socio economici, etc., riversano dunque nell'individuo tutte quelle norme, tradizioni e credenze comunitarie, principi sociali, morali, teologico filosofici di fondo in grado di definire il quadro di riferimento culturale complessivo dell'individuo.

C'è da notare ovviamente che questo quadro di riferimento psico cognitivo si viene a costituire sovente in modalità tali da condurre, a causa di un apprendimento per molti versi inconscio ed essenzialmente acritico del soggetto, ad un vero e proprio indottrinamento ideologico, nel quale si impongono, a prescindere da ogni possibile critica autonoma, la particolare collocazione ontologica ed i contingenti ruoli sociali sanciti e permessi dalla cultura. Tutti fattori questi che definiranno psicologicamente e cognitivamente il disporsi dell'individuo nei confronti del proprio essere, della sua stessa esistenza.

È facile a questo punto prendere atto di come sia possibile cogliere il senso dell'alternativa interpretazione che si stà proponendo e quali dinamiche e significati possano essere invocati nel realizzarsi di tali trasformazioni socio culturali e filosofiche.

È qui però necessario porre estrema attenzione: nella fattispecie dei sistemi teoetotomistici, dell'ideale teoetotomistico, questi modelli si sono affermati non per una qualche loro superiorità logico teorica nei confronti di ideali alternativi, ma solo ed esclusivamente per il loro essere connessi a ben distinti fattori socio economici, i quali devono essere intesi quali autentiche cause dei processi di competizione interculturale. Ovvero quelle capacità di penetrazione, sfruttamento sociale ed economico dell'ambiente e delle risorse, se non vere e proprie attività di colonizzazione ed imperialismo, che risultano essere prassi concreta dei meccanismi socio politici ed economici tipicamente espressi dalle culture connesse all'idea teoetotomistica.

Sono questi meccanismi socio economici, demografici e non i contenuti filosofico teologici delle proprie concezioni metafisiche i fattori con cui si esprime la fitness di una data società nell'approccio alle nicchie ecologiche e alle risorse ambientali. E questo è il confronto che c'è stato sinora tra le varie culture, e di conseguenza tra le varie idee religiose: un confronto politico, militare, economico, ma niente affatto un confronto filosofico teologico.

Possiamo dunque imputare la trasformazione da Homo sapiens sapiens religiosus ad Homo sapiens sapiens teoetotomisticus non ad una mutazione di geni, od una oscura, magica mutazione spirituale, ma solo ed esclusivamente una transizione culturale: ovvero, riprendendo le accezioni di R. Dawkins, dei memi. Una trasformazione culturale che si verificò perfettamente al di là di quel che i genetisti chiamano il guinzaglio genetico, ovvero della sfera della determinazione genetica di un dato carattere, che si andrà a diffondere di generazione in generazione per via eminentemente intellettuale, psichica, proprio a seguito di quei meccanismi di trasmissione culturale che le discipline sociologiche ci forniscono. Una trasformazione culturale profonda, significativa e disgregante, che possiamo innanzi tutto perfettamente documentare a partire da innumerevoli evidenze storico scientifiche, e che non richiede alcun problematico ed infondato monogenismo, né esige alcuno specifico riferimento alle presunte origini genetiche dell'uomo, con tutto quel che questo può implicare per certi temi già trattati.

Si parla qui solo ed esclusivamente di una alienazione filosofico teologica, di una trasformazione delle coordinate teologiche densa di concrete e negative implicazioni, che vanno dall'alienazione del concetto del sacro che, sino a determinati orizzonti cronologici – abbiamo visto essere il Neolitico –, era rimasto immune da tutte le infauste istanze che da lì in avanti andranno ad offuscare la sfera del sacro, conducendo l'uomo allo smarrimento del suo stesso essere e percepirsi creatura perfetta e libera, col risultato di colmare di irrazionalità, violenza, repressione, paura, vergogna, colpa, imperfezione e dolore la voragine dovuta da questa nuova, degradata concezione della realtà e di Dio.

Ecco dunque un'interpretazione chiara e verificabile a ciascuno, capace di rendere in modo stupefacente, a prima vista incredibile ma perfettamente plausibile, quanto sinora è stato avvolto e ammantato da precetti e posizioni dogmatiche assolutamente infondate.

L'uomo dunque fonda le teoetotomie e così facendo cade ineluttabilmente nel peccato, ovvero fa suo il concetto di peccato, lo definisce nel suo spazio esistenziale e religioso, precipitando in un rapporto disgregante con un Dio teoetotomistico, in un contesto teistico cosmologico profondamente segnato da questo funesto concetto. Così facendo perde l'originale condizione ontologica di creatura capace di un rapporto positivo, religioso, con il Dio delle religioni a cui era approdato spontaneamente, smarrisce l'accezione antropologica di creatura non corrotta in cui, sempre secondo l'ideale religioso, era stato perfettamente creato, e viene scacciato sia dal cospetto del Dio religioso che dalla percezione di essere ineluttabilmente parte una natura perfetta e incorrotta, espressione pura dell'iniziale intento creativo divino.

In questo modo l'uomo fu gettato tragicamente, senza scampo, ai piedi dei vari Marduk, nelle fauci dei vari Moloch, e di tutte le subdole élites, dei biechi poteri sociali che, sfruttando questo straordinario meccanismo di oppressione e contando sulle devastanti degenerazioni psicopatologiche da questo derivanti, tingeranno di prevaricazione, dolore, sangue, oppressione ed orrori la successiva storia dell'umanità. Quanti autori hanno liricamente tratteggiato questo contenuto senza però mai approssimarsi ad una interpretazione chiarificatrice della storia delle culture che si sono avvicendate negli ultimi 10.000 anni sulla terra!

È sconcertante la capacità esplicativa di questa nuova interpretazione, la luce netta, chiara in cui tutto viene così colto, spiegato e, non per ultimo, verificato sulla base di innumerevoli, concrete evidenze. Vedremo quante e quali sono le conseguenze di questa nuova interpretazione. Ovviamente sotto il profilo del confronto con le dottrine teoetotomistiche odierne si delinea immediatamente, specialmente nei confronti del cattolicesimo, l'eventualità di un inevitabile contrasto teologico filosofico, che si preannuncia assolutamente violento e duro e senza alcuna soluzione di continuità. Ma non è affatto un problema questo.

È invece importante definire i termini della revisione profonda di molti aspetti esegetici, interpretativi dell'intero corpus dei testi biblici esatta da questa nuova interpretazione. Affronteremo più avanti questi temi. È per adesso importante aver mostrato il valore delle differenze filosofico epistemologiche che, a partire da questa nuova chiave di lettura, si vanno a originare in campo filosofico. E per verificare ulteriormente come questa chiave di lettura illumini di ben diversa luce gli scenari che di consueto vengono tracciati in merito a questi aspetti, mettiamo a confronto queste nostre considerazioni con alcune riflessioni del Prof. Ernest Gellner, professore di antropologia sociale presso Cambridge. C'è da dire che in sua vece avremmo potuto prendere in considerazione il lavoro di altri autori, giungendo comunque alle stesse conclusioni, visto che Gellner rappresenta debitamente le posizioni di molti studiosi del ramo.

Riportiamo quindi un brano di Gellner notando come questo studioso esprime un fatto molto importante – su cui è opportuno soffermarsi per un'ultima considerazione. L'approccio concettualmente anteriore alla nostra scomposizione del sacro tra teoetotomie e religioni, anche se in grado di mettere in debita evidenza tutta la grande variabilità che contraddistingue il panorama della storia delle religioni, risulta a nostro avviso affetto da un vizio di fondo. Pur a partire da aspetti spesso in contrasto gli uni con gli altri in merito alla presunta origine, alle possibili forme originarie dell'esperienza religiosa – si pensi alle diverse posizioni assunte degli autori marxisti nei confronti degli studiosi di formazione cattolica –, tutte le valutazioni della successiva evoluzione religiosa sono sostanzialmente condotte da entrambi gli schieramenti, senza alcuna sostanziale eccezione, alla luce di un concezione fondamentalmente mono-evolutiva del sacro.

Ovvero, gli autori si pongono davanti all'evoluzione successiva delle forme religiose postulando, in modo del tutto aprioristico, uno sbocco ineluttabilmente centrato su un sedicente profilo ultimo del fatto religioso: un modello guarda caso precisamente concordante con quello delle grandi religioni millenaristiche attuali: le teoetotomie. Abbiamo però visto come in realtà questi particolari modelli del sacro siano assolutamente inadeguati a rappresentare in toto le forme e gli sbocchi dei distinti processi evolutivi autenticamente presenti nell' intero polo teistico. Ora, se si ripercorrono le più significative querelle – si pensi alle divergenze tre padre Schmidt e Pettazzoni ad esempio sul monogenismo originario – si può immediatamente apprezzare il fatto che, quasi senza alcuna eccezione, si immagina tale processo evolutivo come inevitabilmente convergente su modelli teoetotomistici. Il che, in realtà, non è affatto: si possono infatti trovare ampie evidenze sul risalto distinto di queste diverse modalità d'interpretazione del sacro, e delle loro diverse implicazioni socio culturali nonché del senso delle eventuali transizioni dalle une alle altre – come già vedremo appena sotto. Le religioni hanno significati teologici, origini e direttive evolutive del tutto indipendenti ed assolutamente incommensurabili con quelli delle teoetotomie. Non è dunque minimamente possibile proporre le teoetotomie come prototipo dell'intero polo. Né è possibile proporre una concezione mono-evolutiva dell'intero universo del sacro. Emerge qui di nuovo quanto l'intera ricerca anteriore sia assolutamente stata condizionata, assuefatta ad una accezione prettamente teoetotomistica quanto contingente del sacro.

Alla luce di queste eccezioni si osservi allora come il quadro proposto dal Gellner, originariamente tracciato in un approccio del tutto avulso dalla distinzione da noi proposta, sia in grado di articolarsi molto più significativamente e chiaramente con l'introduzione della nostra distinzione religioni/teoetotomie e della relativa correlazione tra sistemi socio economici e culturali rispettivamente pre-classistici e classistico centralizzati. Ed ancor più si noti come già lo stesso autore ponga in risalto gli effetti delle transizioni socio culturali che possano coinvolgere la sfera del sacro, un aspetto questo che riveste profondo significato nella nostra interpretazione esegetica del Genesi.

Scrive Gellner: «Se si è propensi a considerare il rituale alle origini di una concettualizzazione logicamente differenziata ma socialmente armonica, si deve anche pensare che la comparsa di questo diverso sistema concettuale sia dovuta al forte influsso di una religione razionalistica, centralistica, monoteistica ed esclusiva. Essa era, è importante dirlo, contraria alla magia operativa e insisteva su una salvezza raggiunta grazie all'obbedienza alle regole, piuttosto che alla fedeltà ad un sistema di patronato spirituale e all'osservanza di obblighi. Fu un intollerante Geova ad insegnare all'umanità il principio di un Centro esclusivo. Principio che ha condotto all'esclusione di quella facile compresenza di diversi schemi concettuali, di una tolleranza logica così caratteristica delle società semplici, ed anche di quelle che possono essere chiamate tradizioni non-abramiche.

È una teoria plausibile e ritengo, ancora una volta, che sino a quando non ne avremo una migliore questa sia l'unica che dobbiamo continuare ad usare. Naturalmente, l'intollerante divinità non ha ottenuto tutto da sola. … Ma la maggior parte dell'umanità non trema dinanzi ad un sommo concetto: ma lo farà dinanzi ad una somma divinità. Questa personalizzazione era necessaria per l'effettiva imposizione di una visione centralizzata. Per concentrare l'attenzione dell'umanità, il vertice del sistema doveva essere personale e portatore di ira e collera. Ma allo stesso tempo, per raggiungere il risultato che ci interessa, doveva essere una divinità occulta, che doveva stabilire le regole e le norme, ma essere troppo orgogliosa o troppo lontana per interferire con la quotidiana conduzione del mondo. Essa doveva disdegnare le eccezioni, doveva essere lontana e metodica, e non il capo di un sistema di protezione corruttibile e che interviene come i sommi dei di molti altri sistemi.

Quando prevalga questo concetto di un metodico, lontano, autorevole e singolo vertice, certe altre cose divengono possibili. Ha luogo il passaggio dal rituale alla dottrina, come veicolo principale per la sanzione delle restrizioni che tengono unita la società, e questo mutamento è estremamente importante. Esso fa sì che la coercizione non sia più legata a concetti individuali, ma piuttosto a certi aspetti di secondo piano di tutta la vita concettuale. I concetti devono essere metodici, essere applicati in modo metodico ed essere parte di sistemi coerenti.» 112

I riferimenti penso siano sufficientemente chiari e probanti. La distinzione da noi proposta permette di comprendere con maggior risalto tutto quanto è inerente a tali transizioni socio culturale. Il porre una successione religioni Þ teoetotomie, in parallelo alle transizioni sociali da cui emergono le società statuali centralizzate classiste da società anteriori, assolutamente distinte da queste ultime, rappresenta una profonda aderenza a quanto vediamo emergere dall'analisi etnologico storica. Essa permette inoltre di postulare direzioni evolutive delle diverse istanze religiose che non risultano affatto riunite in un'accezione mono evolutiva nonché di articolare opportunamente la collocazione delle distinte modalità religiose, senza però cadere in alcuna assuefazione esplicitamente teoetotomistica

È facile evidenziare a questo punto come, con l'avvento delle teoetotomie e le prime teocrazie istituzionalizzate, possa essere iniziata quella fase della nostra storia in cui il ruolo precedentemente incarnato dalle religioni di costituire solo ed essenzialmente una cristallizzazione sociale di uno condizione fondamentalmente libertaria e democratica dell'uomo davanti al sacro fu pesantemente travisato, onde giungere a dotare gli individuo, questa volta in contenuti inediti e particolarmente cruenti, su basi teologico filosofiche autoritaristiche, repressive, oppressive, dunque assolutamente antitetiche a quelle dei sistemi religiosi, «… di idee coercitive che definiscono simultaneamente il loro mondo sociale e naturale e controllano le loro percezioni e comportamenti, secondo processi che li rafforzino reciprocamente. Queste norme profondamente interiorizzate li obbligano in seguito ad agire entro i limiti prestabiliti. Ogni concetto ha un contenuto normativo e vincolante, ma anche uno che descrive l'organizzazione sociale. Il sistema concettuale traccia l'ordine sociale e la giusta condotta, e inibisce così le inclinazioni a pensieri o condotte che trasgredirebbero le sue norme.» 113

Ecco dunque che l'edificio teologico diventa il ricettacolo sociale e culturale di una nuova istanza, di una nuova necessità sociale. La violenza: violenza, soggezione ed oppressione che, come reciterebbe una massima attribuita al profeta Maometto: «… entra in casa con il terreno arato.» 114 «Anche se la violenza e la coercizione non erano assenti nella società pre-agricola, esse erano occasionali e non, per così dire, necessariamente incorporate in essa. Al contrario esse sono necessariamente incorporate nella società agricola, se con questa indichiamo una società che possiede un accumulo di eccedenze, ma non ancora il principio generale delle scoperte addizionali e costanti…» 115

Davanti a tutti questi riscontri e davanti all'aspetto esplicativo della nostra interpretazione, viene a mente l'espressione di Thomas Henry Huxley nei confronti della teoria appena formulata da Darwin: «Che stupido non averci pensato prima!».

Ecco il significato della «… trepidazione, preoccupazione, sgomento…» dell'introduzione delle precedenti opere. 116 Ed ecco il senso concreto del confronto epistemologico invocato nei confronti di tutte le altre interpretazioni precedentemente proposte.

Continua...

Note

102 G. Devereux, Saggi di etnopsichiatria generale, Roma, Armando Armando, 1978, pp. 45 e segg..

103 T. Nathan, Principi di etnopsicoanalisi, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 40–41.

104 Fabio Petrelli, Larissa Venturi, Roberto Verolini, Neuroscienze ed evoluzionismo per una concezione olistica delle psicopatologie e dei disturbi della personalità. Dipartimento Scienze Igienistiche e Sanitario Ambientali, Università degli Studi di Camerino, 2000.

105 Diagnostic and statistical manual of mental disorders [1980], Washington (Versione italiana DSM–III. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali [1983], Milano, Masson; Clarkin e Lenzenwegere, op. cit..

106Giacomo Dacquino, Religiosità e Psicoanalisi, Torino, SEI, 1980. pp. 182–186.

107 Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1965.

108 Max Weber, Le sette e lo spirito del capitalismo, Milano, Rizzoli, 1977.

109 Dacquino, op. cit., pp. 186–189.

110 ID., op. cit., pp. 134–164.

111 Albert Einstein [1997]. op. cit., p. 112

112 Ernest Gellner in Origini. Dal Darwin College della Cambridge University a cura di A. C. Fabian, Ed. Dedalo BA, 1990, pp. 172-174

113 Ernest Gellner [1990], op. cit. p. 170

114 Ernest Gellner [1990], op. cit. p. 170.

115 Ernest Gellner [1990], op. cit. pp. 170-171.

116 Roberto Verolini [1999], op. cit. p. 11.

 

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