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•  Teologia della scienza e religioni.

Prima di procedere ad un'analisi dei caratteri cosmologico teologici tipici dei modelli religiosi è opportuno fare alcune considerazioni, in prima istanza scollegate da quanto sostenuto in questi modelli ed alla questione sinora trattata, derivanti solo ed esclusivamente da una valutazione – non fideistica ma eminentemente filosofica ed epistemologica – dei contenuti dei distinti modelli. In tale intento è ovvio che ogni riferimento a sedicenti rivelazioni sovrannaturali a sostegno di una data formulazione teologica, aspetto ricorrente in quasi tutte le tradizioni religiose, sia in prima istanza decisamente respinto.

Questo anche e soprattutto perché si ha intenzione d sviluppare il confronto, come spero oramai evidente, tra modelli interpretativi alternativi di un identico fondamento testuale, il Vecchio Testamento, in totale ossequio agli odierni e riconosciuti metodi epistemologici. Un approccio radicalmente inedito, quanto epistemologicamente corretto, consisterebbe nel prendere in considerazione i particolari più significativi di quel «quadro cosmologico evolutivo affermato dalla scienza moderna» di cui si accenna sopra, per poi sviluppare, sempre in stretto riferimento agli stessi, una eventuale ipotesi teologica. Ovvero verificare se e come, muovendo da tale quadro, si possa originare ex novo un'ipotesi metafisico teologica il più possibile legata a questo quadro ed ai suoi contenuti di maggior risalto ovviamente per quel che riguarda i debiti ambiti di valutazione. E' ovvio che in questo intento si deve tendere ad eliminare al massimo le influenze dei contingenti modelli teologici affermati socialmente – nel nostro caso prettamente teoetotomistici.

Questo intento può sembrare a prima vista utopico ed ancor più filosoficamente infondato. Come derivare una concezione teologica addirittura da delle concezioni scientifiche? Non è questa già di per sé una palese incongruenza?

In realtà la storia delle religioni insegna che ogni ipotesi teologica è, senza eccezione, profondamente connessa a precise concezioni cosmologiche: e questo è sempre avvenuto nella storia dell'uomo. Tutti i sistemi teologici formulati dall'uomo nella sua storia sono intrecciati indissolubilmente con determinate concezioni cosmologico antropologiche, sia che si tratti del più semplice, primitivo culto dei morti, delle religioni delle più sparute comunità di cacciatori raccoglitori odierni, che dei sontuosi modelli cosmologico teologici di moderne teoetotomie come il cattolicesimo e l'islamismo, o di filosofie e teologie orientali come buddismo, taoismo e così via. Cornici cosmologiche delle più svariate, nelle quali si intrecciano e si compenetrano distinte ipotesi e congetture in merito alla natura della materia, alla realtà cosmica, alla loro origine: ed ovviamente all'origine e natura dell'uomo, sia della eventuale valenza sovrannaturale che della sua matrice biologica, naturale. Ogni modello teistico conosciuto interseca così i più tipici contenuti sapienziali delle varie culture, ovvero di quelle scienze concrete, o se vogliamo conoscenze pratiche della realtà immanente che esibiscono l'analogia più stretta con la scienza occidentale.

Alla luce di questa evidenza emerge allora un decisivo quesito filosofico: cosa è possibile derivare in ambito teologico dalla scienza moderna? Bisogna prima di tutto da ribadire che la scienza moderna, e così ogni scienza, o semplice sapienza inerente la realtà naturale sviluppata da qualsivoglia etnia o cultura, non sia assolutamente in grado di proporre alcunché in questo intento. Le istanze originanti di una ipotesi teologica non possono, né potranno mai, procedere od originarsi da una qualsivoglia concezione scientifica. La scienza non sa né può proporre alcunché in questi ambiti: essa è perfettamente neutra, indifferente: non ha nulla di intrinseco da esprimere!

Eppure, malgrado questa incapacità, o se si vuole indifferenza, le risultanze scientifiche possono contribuire in modo insuperabile a verificare epistemologicamente la validità di tutte le congetture inerenti ad aspetti formali inevitabilmente presenti in tali ipotesi metafisiche.

L'esempio portato più sopra sulla diversa forma dei pianeti connessi idealmente a distinte ipotesi teologiche, rende esaurientemente il ruolo che può essere interpretato da un dato corpus di conoscenze scientifiche in merito ad ipotesi metafisiche alternative.

In ossequio a tale valenza, il ruolo discriminante esercitato dalla conoscenza scientifica deve esprimersi non solo in una verifica postuma di ipotesi originate in modo indipendente dai contenuti di una data base scientifica, all'ombra di concezioni scientifiche anteriori, anacronistiche ed infondate, quanto nell'originaria fase propositiva delle varie ipotesi. È ovvio che delle ipotesi metafisiche possano essere efficacemente formulate cercando sin da subito la necessaria coerenza con le teorie scientifiche e che, ovviamente, in questo intento risulta inaccettabile qualsivoglia riferimento a sedicenti superiorità, o rivelazioni, o autorità dottrinali. Ma questo non è un nostro problema visto che l'attuale intento è da ricondurre nell'ambito di una ben diversa accezione di conoscenza.

Questo intento è drammaticamente ed efficacemente evocato dal seguente brano di Thomas Henry Huxley, conosciuto come il «mastino di Darwin», uno degli più energici sostenitori del pensiero darwiniano contro l'ideologia fissista sostenuta dalla dottrina cattolica, in cui Huxley, seppur devastato dal dolore della morte del figlio espone il suo personale e dignitoso atteggiamento rispetto il tema della fede in Dio ed il ruolo della scienza: «Il Sartor Resartus (opera filosofica di Thomas Carlyle n.d.a.) mi ha portato a comprendere che un profondo sentimento religioso era compatibile con l'assoluta mancanza di teologia. Secondariamente, la scienza e i suoi metodi mi hanno offerto un rifugio indipendente dall'autorità e dalla tradizione. In terzo luogo, l'amore mi ha aperto una visione della santità dell'animo umano e mi ha inculcato un profondo senso di responsabilità.

Se in questo momento non sono un relitto umano, esausto, depravato ed inutile, se è stato, o sarà mio destino promuovere la causa della scienza, se sento di avere un pur vago diritto all'amore delle persone che mi circondano, se nel supremo momento in cui ho calato lo sguardo sulla tomba del mio figliolo, il mio dolore era pieno di rassegnazione e privo di amarezza, è perché queste forze hanno agito su di me, e non perché mi sono mai curato che la mia povera persona rimanga distinta per sempre da tutto ciò da cui proviene e ovunque sia diretta.

E così mio caro Kingsley, capirai qual è la mia posizione. Può darsi che mi sbagli completamente, e in tal caso ne dovrò pagarne il prezzo, ma posso soltanto dire con Lutero: "Gott helfe mir, Ich kann nichts anders" (Dio mi aiuti, non posso fare altrimenti).» 117

Proviamo allora a delineare il modello teologico che è possibile formulare più d'appresso al «quadro cosmologico evolutivo affermato dalla scienza moderna» di cui si diceva.

Gli aspetti più interessanti da evidenziare sono inerenti alle attuali conoscenze scientifiche sulla cosmologia e sull'origine delle forme viventi. Significativi corollari derivano comunque da altre discipline, tra le quali spicca la meccanica quantistica e le teorie sui sistemi complessi. In dettaglio, i contenuti più importanti da tenere in considerazione in questo intento sono i seguenti.

•  Aspetti prettamente scientifico cosmologici inerenti il fine creativo divino:

•  Aspetti cosmogonici e cosmologici.

•  Determinismo ed indeterminismo nella fisica e nelle scienze biologiche.

•  Il problema della teleologia e dei fenomeni bio evoluzionistici – con particolare riferimento alla specie umana.

•  Poligenismo della specie umana.

•  Rilievo della sfera culturale:

•  Modalità di diffusione culturale di caratteri connessi con la definizione socialmente normale della personalità degli individui: la cosiddetta personalità sociale.

•  Religiosità e dinamiche socio culturali.

Se prendiamo in esame le risultanze delle odierne osservazioni astronomiche e le attuali teorie cosmologiche, queste convergono su una evoluzione dell'universo a partire da uno stato fisico, variamente collocato in un lontano passato – dai 10 ai 15 miliardi di anni or sono (orientativamente sui circa 12 mld. di anni) –, in cui tutta la materia che oggi come oggi riscontriamo essere disseminata in enormi nebulose, in miliardi di galassie e sistemi stellari, era confinata in una sorta di minuscolo, microscopico grumo d'energia di incommensurabile densità e temperatura. Questa sarebbe la situazione originale da cui la cosmologia moderna fa derivare l'universo, nel corso di un'immane processo d'espansione dimensionale ed evoluzione fisico chimica – ricorrendo ad immagini comuni: una sorta di esplosione, che comunque si differenza radicalmente da una normale deflagrazione – indicato con il termine big bang.

Il fatto notevole, come si è accennato, è che nel corso di questo big bang non si sarebbe avuta una mera espansione di energia e materia in uno spazio-tempo preesistente quanto si sarebbe addirittura originata, si potrebbe dire ex nihilo, la stessa dimensione spazio-temporale che oggi come oggi osserviamo intorno a noi, e che ospita l'intero universo, popolato di nebulose, galassie, immensi vuoti e sistemi stellari distribuiti in una sfera con un raggio di miliardi di anni luce… ed infine noi stessi. Come ricordava Stephen Hawking, questa concezione è risultata sin da subito assai gradita alle dottrine religiose, visto come la stessa sembrasse immediatamente e perfettamente collocabile nell'idea di un'origine della realtà naturale da parte di una Divinità creatrice. Anzi, essa sembrò costituire agli occhi di molti credenti una pesante evidenza contraria all'assunto filosofico dell'esistenza di una realtà naturale eterna ed infinita che contraddistingueva l'idea materialistica, atea tradizionalmente opposta all'ideale teistico.

L'ipotesi metafisica di una creazione divina riesce infatti a comprendere in sé con molta facilità, oserei dire eleganza, la teoria del big bang. Sono a tal pro rappresentative le riflessioni di Claude Tresmontant: «La fisica più moderna ci insegna che le prime realtà ad aver costituito il nucleo originario del nostro universo visibile sono particelle di energie e di luce. … Persino gli atomi più semplici, si sa, sono costituiti da queste particelle elementari. Un problema si impone subito al metafisico ed al teologo. Qual è il rapporto esistente tra queste particelle elementari di energia … tra questa energia iniziale e granulosa, quantizzata, che si presenta sotto forma di onde e corpuscoli e Dio? Se si risponde che questa energia iniziale, di cui tutto è fatto, di cui tutto è composto, è qualche cosa della sostanza divina, un'emanazione della sostanza divina, l'energia divina stessa, allora si cade nei miti gnostici e manichei che la chiesa ha respinto fin dai primi secoli d. C. e secondo i quali l'universo è fatto della sostanza divina esiliata, alienata. Tema ripreso da Hegel nel XIX secolo.

Se si respinge questa ipotesi, come deve fare il teologo cristiano, resta quindi il fatto che quest'energia iniziale di cui tutto è fatto, con la quale tutto è composto nell'universo, non è affatto generata dalla sostanza divina, non e' una modificazione della sostanza divina, non è in alcun modo la sostanza divina stessa. Quest'energia iniziale è creata. Cosa significa questa espressione? Essa significa che quest'energia iniziale, che è la nostra materia, inizia assolutamente ad esistere, che essa non preesiste in alcun modo in seno alla divinità e che essa non esiste di per se stessa, ma per decisione dell'Essere assoluto creatore. È un inizio assoluto: c'era Dio eterno. L'espressione, classica in teologia, di creazione ex nihilo non significa e non può significare che prima dell'universo non c'era niente, assolutamente niente, nessun essere, chiunque esso sia. L'espressione di creazione ex nihilo non significa e non può significare che prima dell'universo sia il nulla assoluto, poiché prima dell'universo c'era Dio, l'Essere che può dire di se stesso: Io sono, questo è il mio nome.

Ogni fisico, dopo Albert Einstein, ed ogni filosofo e teologo dopo le analisi di Sant'Agostino, sa molto bene che l'espressione: «prima dell'universo» non è soddisfacente, poiché il tempo inizia con l'universo e prima dell'universo non c'era tempo. L'universo non è situato nel tempo come in un ricettacolo preesistente. Non c'è quindi tempo che preceda l'universo. Però è certo che l'universo non sorge dal nulla assoluto o dalla negazione di ogni essere, chiunque esso sia, è una cosa inconcepibile. Quando non c'era l'universo, c'era Dio, che è la pienezza dell'essere, pienezza alla quale l'universo non aggiunge niente.» 118

Al di là dei contingenti eccessi fideistici espressi da tale autore c'è da ammettere che l'idea del big bang risulta, dal punto di vista logico formale, immediatamente collocabile in un'ipotesi teistica. Questo al di là del fatto che, come evidenziava altresì Stephen Hawking, sia possibile postulare modelli di big bang che non implicano alcun evento creativo, e dunque alcun creatore. A tale riguardo, un riferimento d'obbligo è per l'originale teoria dell' universo inflazionistico autoriproducentesi dell'astrofisico sovietico Andrei Linde, secondo il quale l'universo in cui ci troviamo è da intendere quale singolo processo di evoluzione cosmologica posto nel novero di un complessa struttura frattale di universi che si originano gli uni dagli altri, come un grappolo d'uva, in una sequenza perfettamente caotica a causa di gemmazioni quantistiche. 119

Il fatto è che nei tentativi di trovare connessioni e derivazioni metafisiche da mere ipotesi scientifiche, deve sempre essere messo in evidenza il fatto che una teoria scientifica deve sempre e comunque essere considerata al più come congettura inclusa in un'ipotesi metafisica, e mai evidenza a cui possa essere affidato l'ufficio di sostenere quell'ipotesi. Solo così si possono evitare quelle forzature che contraddistinguono tutti i tentativi sinora condotti.

Resta comunque il fatto che questa teoria sull'origine dell'universo attuale – inteso come creato – risulti quanto mai coerente con tali ipotesi metafisiche, specialmente con la tradizione biblica, dove la realtà naturale è definita proprio in accordo con il paradigma epistemologico dell'ortodossa ricerca scientifica: ovvero un realismo ontologico in cui l'universo è dotato di intrinseche ed autonome caratteristiche d'immanenza. È possibile valutare questo importante carattere dalle stesse riflessioni di Tresmontant, in cui si evidenzia la differenza tra tradizioni quali quelle indiana e greca con quella ebraico biblica: «… il pensiero ebraico non ha mai deprezzato l'esistenza del mondo fisico. Non ha mai avuto la tendenza ad estenuare o a considerare come irreale l'esistenza del cosmo fisico. Ha sempre affermato l'esistenza del cosmo fisico. Ha sempre affermato l'esistenza obiettiva del mondo, indipendentemente dal soggetto conoscente. Ha anche sempre proclamato l'eccellenza del mondo fisico. … Ma, d'altra parte, il pensiero biblico ebraico non ha mai considerato che il mondo fosse l'essere primo, l'essere assoluto, l'essere increato, l'essere senza inizio, né fine, l'essere non logorabile. Al contrario, il pensiero ebraico ha sempre concepito ed espresso l'idea che l'universo fisico, che esiste veramente, ha avuto un inizio, che è fragile, suscettibile di usura e persino che avrà fine.

Il pensiero ebraico distingue quindi con cura tra l'essere assoluto e il mondo fisico e appunto in questo si contrappone al materialismo, sia dell'India che della Grecia o del moderno Occidente. … La teologia e l'ontologia ebraica affermano la realtà del mondo fisico e la realtà dell'essere assoluto, distinto dal mondo fisico. L'essere assoluto non ha avuto inizio, non si evolve, è imperituro. Il mondo fisico ha avuto inizio, si evolve, è perituro. In questa prospettiva bisogna quindi distinguere due specie di esseri: l'essere increato e l'essere creato.

L'idealismo assoluto e il materialismo sono così d'accordo almeno su un punto: non esiste che una sola specie d'essere. L'idealismo dice che quest'essere è spirito. Il materialismo pretende sia materia. Ma l'uno e l'altro sono d'accordo nel respingere la distinzione, che ci viene dagli Ebrei, tra l'essere increato e l'essere creato. … Ora questa decisione attinente il problema dell'essere e che costituisce l'originalità primaria del pensiero ebraico, ha a che fare con l'ontologia.

Quale rapporto stabilisce il pensiero ebraico tra l'essere increato, l'essere assoluto e il mondo fisico? È l'idea della creazione che dà risposta a questa domanda. In ebraico, il termine che designa la creazione è il verbo bara, che è impiegato sempre ed esclusivamente in espressioni aventi Dio come soggetto. Dio solo è propriamente detto creatore.

Cosa significa quindi, nella tradizione ebraica, quest'idea della creazione?

Significa in primo luogo, l'abbiamo visto, che il mondo fisico con tutto quello che contiene esiste obiettivamente. È proprio reale. Non è un sogno né un'apparenza, né un'illusione. … In secondo luogo, l'idea della creazione, nella tradizione ebraica biblica, significa che l'universo fisico, che esiste obiettivamente ed indipendentemente dal soggetto conoscente, non è l'essere assoluto e non è autosufficiente. L'universo fisico, in questa tradizione è de-divinizzato, de-sacralizzato. Esso è, ma non è l'essere assoluto.

Non è sufficiente a se stesso e per esistere ha bisogno di ricevere l'essere da Colui, che solo, può darglielo: lo stesso essere assoluto, che gli Ebrei chiamano Dio.

In terzo luogo, l'idea della creazione, nella tradizione biblica, significa che Dio, per dare l'essere al mondo, non è partito da una materia preesistente, né da un caos originario.» 120

Come si vede la teologia biblica è in grado di ospitare senza alcun ritocco le concezioni cosmologiche della scienza moderna. Anzi, i più fondamentali assunti filosofici della scienza concordano con questa tradizione, in cui la realtà naturale è intesa in un contesto de-divinizzato, de-sacralizzato.

Passiamo allora ad osservare come tali basi sapienziali possano essere intese nei confronti di aspetti ulteriori, come la valenza evoluzionistico indeterministica delle odierne concezioni scientifiche, alla luce della quale sembrerebbe irrimediabilmente svanire, sulle prime, un'immediata concordanza con la tradizione biblica.

L'odierna concezione scientifica ha infatti acquisito un carattere assolutamente inedito in merito ai fenomeni ontologico causali: quello dell'intrinseca indeterminatezza delle strutture e delle dinamiche naturali osservabili. È indubbio che l'affermazione più clamorosa e profonda di una natura indeterministica della realtà fisica si ebbe nella prima metà del XX secolo con lo sviluppo della meccanica quantistica e poi, alla fine della seconda metà dello stesso secolo, con l'avvento degli studi dei fenomeni complessi, i cosiddetti sistemi caotici. Il 900 è stato spettatore di eventi epocali, di veri e propri cambiamenti di paradigma nel campo della fisica: Einstein sembrò ribaltare il mondo delle sfere di Newton, Gödel sorprese i matematici ed i logici di tutto il mondo dimostrando l'impossibilità di formulare sistemi logico matematici fondati su assiomi perfettamente autoevidenti. Da parte loro, i fondatori della meccanica quantistica sbalordirono il mondo con una concezione della realtà naturale che sconfessò irrimediabilmente quella visione precisa, deterministica del passato, di cui troviamo testimonianza, tra le più estreme e note, nelle parole scritte da Simon de Laplace nel suo Saggio filosofico sulle probabilità, giusto nel 1814: «Un'intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell'universo e quelli dell'atomo più leggero: per essa non ci sarebbe nulla d'incerto, e il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi».

Ora, se ci soffermiamo un attimo sugli aspetti più significativi della meccanica quantistica, osserviamo che tale modello nasce dall'esigenza di interpretare dei fenomeni del mondo sub microscopico che sfuggono esplicitamente alla logica della fisica classica. Diceva opportunamente Bohr, uno dei suoi maggiori artefici, che se non si è sorpresi, confusi, dalla meccanica quantistica, vuol dire che non la si è capita. Questa teoria ha posto una sfida decisiva alla riflessione sulle accezioni di realtà, di induzione e deduzione logico filosofiche, fondamento della fisica e della filosofia dei secoli passati. Le più accese polemiche seguite all'introduzione di tale teoria fisica si condensano sul problema epistemologico della stessa. La formulazione ortodossa della teoria quantistica, detta di Copenaghen, ricorre ad una funzione matematica deterministica, la funzione d'onda di Schrödinger, per rappresentare lo stato completo di un sistema microscopico, ad esempio un elettrone che orbiti attorno al nucleo di un atomo. Questa funzione d'onda, che descrive con le cosiddette ampiezze di probabilità l'insieme degli stati alternativi del sistema quantistico, avrebbe una caratteristica particolare.

Secondo il gergo dei fisici, essa collasserebbe in uno stato univoco, reale, tra tanti alternativamente possibili, nell'evenienza di un'osservazione del fenomeno da parte di un osservatore. Secondo i sostenitori della M.Q. questo esprimerebbe una natura oggettivamente indeterministica, ovvero una palese impredicibilità dei fenomeni sub atomici, data l'impossibilità di determinare contemporaneamente determinate tutti i parametri di un processo fisico, ad esempio velocità e posizione di un elettrone.121 122 123

A queste categorie di fatti risulta collegata l' indeterminazione sancita dall'omonimo principio di Heisenberg. Secondo le concezioni quantistiche più forti questo principio esprime completamente il paradosso dell'intrinseca indeterminatezza e complementarità dei processi quantistici, con il risultato che questi fatti devono essere intesi non solo come conseguenze dei limiti delle capacità conoscitive umane ma come intrinseco carattere naturale. Questa indeterminatezza cioè deriverebbe non dall'impossibilità di eseguire misurazioni esatte da parte dell'osservatore ma sarebbe insita nella stessa funzione d'onda, intesa quale descrizione completa del fenomeno osservato, e, in senso esteso, della stessa realtà fisica. Tale aspetto, essenziale nella teoria quantistica, si esprimerebbe dunque anche in ulteriori forme e modalità non necessariamente connesse all'eventuale misurazione da parte di un osservatore.

La formulazione quantistica di Copenaghen giunge infatti ad ammettere un'indeterminabilità oggettiva degli eventi sub atomici negando, in particolare, l'esistenza, ai livelli sottostanti, di leggi fisiche o di relazioni con variabili nascoste, capaci cioè di definire gli eventi osservabili alla luce di relazioni deterministiche ulteriori, sottratte alla nostra possibile conoscenza. Questo aspetto epistemologico è il fatto più inquietante ed innovativo connesso alla teoria quantistica: infatti una delle chiavi di lettura di questi fenomeni è che la realtà esprimerebbe un livello inferiore, di base, in cui, al contrario di quanto poi si osserva nei livelli superiori, possa vigere una perfetta ed intrinseca caoticità. Una caoticità intesa come totale assenza di un'univoca relazione deterministica inferiore, causalmente anteriore, da cui deriva un'emersione ex nihilo di eventi fisici reali che si differenzia radicalmente dal classico concetto stocastico di caos, di caoticità, non essendo qui lo stesso collegato ad una ignoranza dell'osservatore dell'esatto stato quantitativo e qualitativo di un sistema fisico, quanto all'impossibilità intrinseca, detta non epistemica, di invocare a questi livelli quel principio deterministico di causalità perentoriamente ed universalmente affermato nella fisica classica. Ma questa sconcertante visione, la vera essenza epistemologica della M.Q., sembra rappresentare, se esattamente collocato, un paradigma che esprime un'accezione estremamente interessante della natura, della realtà, ad onta dei timori che il classico approccio logico analitico potrebbe evocare.

La natura indeterministica di questi fenomeni si estrinsecherebbe nella M.Q. in una sovrapposizione di stati quantistici separati, intrinsecamente caotici, che rappresenterebbero la reale natura di questi stadi fondamentali della realtà fisica e che verrebbero poi risolti in uno dei vari stati controfattuali reali a seguito di un'eventuale osservazione – ed al collasso corrispondente. A questa formulazione si oppongono altre teorie, che rifiutano l'indeterminatezza introdotta dalla meccanica quantistica, reputando equivoco lo stesso concetto di collasso della funzione d'onda.

Una di queste teorie alternative è, ad esempio, quella proposta dal fisico David Joseph Bohm. In essa si sviluppa una descrizione matematica dei sistemi sub atomici in cui ogni particella è veicolata da un'onda pilota la quale non assume il significato di mero ente matematico, quanto di vera e propria realtà fisica, alla stessa stregua, ad esempio, di un campo magnetico. C'è da dire che in merito a questa teoria, seppur matematicamente valida e logicamente stringente, sono state sollevate forti critiche per il fatto di presentare un contenuto decisamente metafisico: l'esistenza fisica dell'onda pilota che per sua natura risulterebbe assolutamente inaccessibile a qualsiasi osservazione. Un aspetto quest'ultimo decisamente problematico sotto il punto di vista epistemologico. Resta comunque il fatto che l'ipotesi di Bohm è riconosciuta essere una tra le alternative più autorevoli alla M.Q.

In merito alle critiche sollevate contro la concezione indeterministica delle M.Q. è opportuno ricordare come siano stati concepiti raffinati quanto paradossali esperimenti per verificare gli assunti fondamentali della stessa: i più noti sono i cosiddetti esperimenti EPR, chiamati così a partire dalle iniziali dei fisici Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen che li formularono e proposero, e quelli basati su un teorema sviluppato nel 1964 da John Bell, del CERN, il quale conduce ad una verifica delle teorie a variabili nascoste postulando la possibilità di effettuare osservazioni sperimentali distinte in funzione dell'esistenza o meno di eventuali correlazioni quantistiche. Numerosi esperimenti compiuti negli ultimi anni, quali quelli condotti dall'équipe del prof. A. Aspect, a Parigi, ed altri ricercatori, tra cui il prof. Leonard Mandel ed i suoi collaboratori dell'Università di Rochester, sembrerebbero confermare le ipotesi indeterministiche formulate dalla teoria dei quanti, avallando quindi gli scenari paventati da Einstein, irriducibile avversario di tale indeterminatezza quantistica. 124

Ora, è rilevante per i nostri intenti la possibilità di considerare reale o meno l'esistenza di un livello fisico, pur anche limitato, che sfugga intrinsecamente, e non per approssimazione dell'osservazione umana, ad una qualche computabilità o causalità: un livello dunque in cui si esprima oggettivamente, in linea di principio, una perfetta indeterminatezza naturale. Il fatto è che su questa eventualità è possibile sviluppare accezioni della realtà molto pertinenti al problema del determinismo, indeterminismo, ed ovviamente del libero arbitrio, da cui si originano scenari metafisico cosmologici assolutamente distinti.

In particolare è possibile proporre una concezione naturale dove possano essere intesi due regni decisamente distinti: da un lato una dimensione, o base, intrinsecamente indeterministica, dall'altro una realtà in cui siano vigenti reti deterministiche che si estendano addirittura a livello cosmico. Una concezione dunque in cui la realtà fisica viene ad essere colta in una decisa asimmetria, in cui qualsivoglia processo fisico è comprensibile come espressione contemporanea di una indeterminatezza intrinseca a livello quantistico che si compenetra in modo inestricabile in un'influenza pan-deterministica, nella quale si esprime olisticamente la disposizione contingente dell'intera realtà fisica, dell'intero universo. Ebbene, in base alle ricerche condotte sinora, è possibile affermare che un'impostazione epistemologica che si basi su una tale asimmetria nella validità delle regole logiche, delle leggi fisiche che sottostanno all'interpretazione della natura a questi livelli risulti essere, per quanto paradossale, scientificamente lecita e corretta.

Sembra proprio che Einstein abbia aperto una breccia nell'ortodossia della fisica da cui i fondatori della M.Q. abbiano avuto poi accesso per una descrizione della realtà più ardita e complessa la quale, allargando a dismisura gli orizzonti interpretativi dell'uomo, induce interesse e speranza profonde da un lato, umiltà intellettuale dall'altro. C'è da dire comunque, per obiettività, che le verifiche sinora condotte non hanno condotto ancora a conclusioni pienamente esaustive e ciò deve indurre ancora attenzione e prudenza nell'esatta interpretazione di questi bizzarri quanto affascinanti fenomeni, lasciando la discussione ancora aperta.

Il fatto però è un altro. Pur concordando in pieno sull'opportunità di sottoporre continuamente a verifiche sperimentali teorie discordi su questi paradossali fenomeni naturali, si vuol notare come l'attenzione verso certi particolari paradigmi interpretativi della realtà possa risultare forse eccessiva e come ciò rischi in realtà di farci perdere l'opportunità di cogliere un aspetto peculiare della natura. Possiamo trarre il senso di questa perplessità già riflettendo sulla famosa affermazione di Einstein: «Dio non gioca a dadi!». Così l'illustre fisico espresse il suo disagio dinanzi alle risultanze indeterministiche della meccanica quantistica, un disagio ulteriormente ben esemplificato dal tentativo di Plank di postulare l'esistenza di uno spirito ideale che, al di sotto della soglia d'indeterminazione del mondo sub atomico, potesse agire causalmente sui fenomeni naturali celato allo sguardo dell'osservatore umano. Ora, pur riconoscendo come epistemologicamente lecito, se non doveroso, avanzare critiche alla teoria quantistica, si vuol sottolineare l'inopportunità del disagio intellettuale che ad esse sembrerebbe sottendere, giusto osservando il tenore delle espressioni e degli atteggiamenti di alcuni suoi detrattori. La domanda è: «Perché tale indeterminatezza della natura induce un così esteso disagio? Alla luce di quali principi od aspettative metafisiche?»

E' utile a tal pro rammentare l'esperimento dell'osservazione di K. Popper. Dunque: «Cosa ci aspettiamo a priori di osservare dalla nostra indagine della natura dell'infinitamente piccolo?» 125

Ricordiamo, ancora, i continui tentativi di descrivere le dinamiche bio evolutive come strumenti in grado di determinare l'emersione di una specifica specie vivente, nella fattispecie l'uomo, nel contesto di una visione teleologico creazionistica imperniata con un chiaro accento antropocentrico sulla specie umana – così come avviene nella teoetotomia cattolica.

Ora il quesito è il seguente: «Questa ricerca di spiegazioni fondamentalmente deterministiche è solo espressione di una sana curiosità intellettuale ed una consona attività di verifica epistemologico scientifica o può piuttosto rappresentare un'esigenza intellettuale contingente, imputabile principalmente ad un condizionamento paradigmatico o, ancor più, ad esigenze che potremmo tranquillamente indicare come ideologiche?»

È chiaro che tracciare il confine tra consona ricerca epistemologica ed espressioni ideologico dottrinali sia quanto mai arduo, e che tale polemico interrogativo possa venir inteso da taluni come non pertinente dal punto di vista epistemologico. Eppure una disamina di quest'eventualità è quanto mai opportuna visti i nostri intenti.

Nella fisica classica il principio deterministico è esplicitamente affermato nelle stesse leggi fisiche. Il principio deterministico di causa ed effetto, universalmente invocato in tutte le metafisiche realistiche conosciute, è di solito rappresentato ponendo una sequenza ininterrotta di eventi E, tra loro connessi da leggi naturali (qui rappresentati da una freccia =>), che permeano tutto l'universo fisico: .

Questa ipotetica sequenza è ovviamente da intendere quale valida generalizzazione in cui si possa scandire una sincronicità universale degli eventi. L'indeterminazione quantistica è sembrata a tutta prima porsi epistemologicamente quale inaccettabile screzio, quale cesura incomprensibile di tale uniformità. Eppure c'è da dire che non esiste assolutamente nulla di irrazionale, di logicamente inaccettabile nell'ipotesi di una eventuale componente indeterministica, quantistica o meno che sia, della natura. In realtà l'indeterminazione quantistica, correttamente collocata, esprime la valenza inattesa di un'accezione della natura estremamente positiva a riguardo di tutta una serie di classiche, profonde riflessioni epistemologiche e filosofiche.

I critici dell'indeterminatezza quantistica cercano in definitiva di salvaguardare una visione della natura in cui si affermi anche in questi fenomeni la sana capacità predittiva abbattuta dalla meccanica quantistica dell'infinitamente piccolo, estendendo così a tutti i livelli della realtà un unico, assoluto principio logico epistemologico. Bisogna notare tuttavia che questa correttezza, o simmetria interpretativa, sfocia in una concezione sintetica della natura che pone piuttosto grossi interrogativi e perplessità, su cui non sembra che si siano compiutamente fatte le debite considerazioni.

Ad esempio, le attuali teorie sul caos e sulla complessità, sulle dinamiche dei sistemi complessi, aggiungono un contributo che condiziona pesantemente, nell'accettazione di queste concezioni pan-deterministiche, alcuni decisivi aspetti ontologici successivi. Alla luce sia delle teorie quantistiche che delle teorie matematiche sul caos e sui sistemi complessi emerge innanzi tutto una visione degli aspetti propri del mondo fisico che solo apparentemente sembra essere violata dalla profonda opposizione rappresentata da quell'indeterminatezza di base che tanto disagio induce in pensatori e scienziati filo deterministici. Il senso di questa evidenza si coglie in particolare se si considera il significato epistemologico delle recenti teorie sulle dinamiche dei sistemi complessi, dette sensibili alle condizioni iniziali.

L'inadeguatezza dei modelli matematici deterministici proposti per rappresentare fenomeni complessi come ad esempio fluttuazioni atmosferiche, le turbolenze del moto di un fluido, le dinamiche bio evolutive, ha condotto all'adozione di inediti modelli esplicativi, fondati su strumenti teorico matematici essenzialmente indeterministici, quali il calcolo della probabilità, gli algoritmi frattali, la topologia, gli attrattori caotici. 126 La verifica della non computabilità e della non linearità della stragrande maggioranza delle dinamiche naturali illumina di luce nuova gli orizzonti della fisica e della matematica, dottrine analitiche per eccellenza, spingendo irrimediabilmente il sogno laplaciano della perfetta e totale determinabilità del mondo fisico in un incubo di profondità inconcepibile.

Ebbene: quale significato epistemologico potrebbe avere il fatto che al di sotto del mondo macroscopico, informato da questa valenza particolare di stretta e reciproca relazione fisica tra infiniti fattori, possa o meno esser presente una fonte intrinseca, oggettiva d'indeterminatezza? Cosa potrebbe implicare, al contrario, la possibilità che sin ai più assoluti limiti inferiori del reale possa mantenersi un indefesso e rigido principio deterministico? Proviamo ad analizzare a fondo questa seconda ipotesi, pur consci comunque che ciò potrà apparire per taluni uno scontato anacronismo dal punto di vista epistemologico e scientifico.

Lo scenario che si para dinanzi in questa evenienza, forte della sua elegante ed assoluta simmetria deterministica, è in realtà perfettamente plausibile. In esso sembra però risorgere lo scheletro di quel settecentesco determinismo laplaciano di cui abbiamo detto sopra.

Il fatto è che se, per amor di simmetria paradigmatica, o nella necessità di una perfetta determinabilità, si perora una visione deterministica che si spinga nelle profondità dell'infinitamente piccolo, del sub nucleare, tale esigenza epistemologica deve analogamente prevedere che anche i suddetti principi teorici del caos, dei sistemi complessi, siano opportunamente valutati.

Ma quale quadro emerge se non quello in cui il determinismo laplaciano di cui sopra viene riaffermato, alla luce di tali teorie, con una violenza ed una valenza assolutamente inaudite? Le influenze che intercorrono a carico dei sistemi sensibili alle condizioni iniziali intessono relazioni finissime tra eventi infinitesimi, magari posti a distanze incommensurabili gli uni dagli altri. Estendendo tale determinismo fisico a tutta la realtà, come si dovrebbe alla luce di ogni sano principio di omogeneità nell'applicazione dei principi interpretativi della natura fisica, cosa resta se non l'immagine di un gigantesco ed immutabile meccanismo in cui, molto più profondamente di quanto si potesse concepire sino al secolo scorso, ogni oggetto e dinamica naturale risulta essere effetto ineluttabile di fattori anteriori?

Poniamo ad esempio che sia valida la teoria di Bohm. Alla stessa stregua dell'onda pilota associata ad ogni infinitesima particella si giunge, secondo la teoria formulata da questo autore, a postulare addirittura l'esistenza di una funzione d'onda deterministica () da attribuire all'intero universo, dunque capace di comprendere in sé qualsiasi oggetto macroscopico o complesso del reale. Riprendiamo a questo punto la precedente rappresentazione della sequenza causale di eventi descritta dalla serie e proviamo ad adattare quest'espressione al concetto di funzione d'onda universale.

Per far ciò dovremo porre alcuni vincoli formali nel nostro modello. Si ponga allora, per assurdo, che tutte le entità fisiche elementari E siano costantemente date e che risultino immutabili nei livelli k della sequenza causale. Si vuol ricordare inoltre come questi modelli discreti costituiscono evidenti approssimazioni di una realtà naturale di per sé continua, dunque assolutamente non ricostruibile in dettaglio mediante questi modelli.

Un aspetto importante ora, che vedremo essere importante più avanti: le odierne teorie dell'informazione ci dimostrano innanzi tutto come non possa esistere nell'universo osservabile una dimensione spazio temporale fisicamente capace di ospitare quella «… intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono...». Ciò implica che non è possibile postulare nell'universo l'esistenza di una intelligenza capace di comprendere la totalità fine degli eventi naturali dello stesso. In prima battuta questo non ci interessa. Il problema si pone infatti su di un livello superiore, anzi a monte.

L'impossibilità di postulare l'esistenza di un ente dotato di questa qualità non nega filosoficamente la possibilità ontologica di ammettere l'esistenza di tale immanente soluzione per quanto inaccessibile. E questo rappresenta un nucleo epistemologico fondamentale nel nostro discorso. Quanto sopra non impedisce infatti di postulare metafisicamente l'esistenza di una soluzione deterministica, alla luce della quale non «... ci sarebbe nulla d'incerto, e il futuro come il passato sarebbe presente...». Dunque tale soluzione, che rappresenteremo con la notazione (k), ove k è un indice che indica la successione causale di eventi elementari E, esisterebbe dunque a prescindere dal fatto che una qualsiasi intelligenza fisica possa, o meno, afferrarla.

Questa evidenza ontologica è decisiva da un punto di vista epistemologico filosofico. Le teorie sulle dinamiche dei sistemi complessi, sensibili alle condizioni iniziali, affermano che un dato evento Ex(k) è in linea di principio condizionato da tutti gli n enti fisici elementari E del livello k-1 della sequenza di un modello quale quello qui adottato. Ogni evento Ex(k) è dunque solo ed esclusivamente funzione della sommatoria determinativa di tutti gli n eventi En(k-1).

Nella teoria della relatività, per inciso, questi eventi E devono essere intesi parte del cono di eventi, posto nel cosiddetto spazio di Minkowski, che contiene tutti gli eventi causali connessi relativisticamente all'evento Ex(k). Ciò può essere espresso dall'uguaglianza: .
Ciò implica che la sequenza causale , che descrive le interazioni tra le n componenti fisiche espresse dalla funzione d'onda dell'universo in ciascuno dei k termini della stessa, sia esattamente determinata. Ogni termine (k) è quindi equivalente agli altri nella descrizione della realtà. Ciò significa allora che, nell'eventualità di poter definire un termine iniziale, detto (0), tale termine comprende in sé tutti i termini successivi ed esprime, sempre per la stessa esistenza di una legge deterministica, tutti quelli anteriori.

Ora, tutte queste alternative infatti non aggiungono né sottraggono nulla al punto di vista filosofico dell'idea deterministica laplaciana. Il quadro muta però drasticamente considerando come le reali dinamiche naturali siano, contrariamente a quanto atteso da un filosofo o matematico del settecento, prevalentemente ad evoluzione non lineare, ossia estremamente sensibili alle condizioni iniziali. Da questo aspetto deriva infatti che la sequenza causale , non può essere ricostruita ed intesa prevalentemente in modo «lineare», contando cioè nella relativa indipendenza causale di eventi sufficientemente separati tra di loro.

Fatto è che gli eventi naturali, a prescindere dalla loro rilevanza assoluta, sia che siano microscopici, sub atomici, oppure macroscopici, galattici, non possono essere ma intesi ed analizzati come sistemi locali, chiusi se non introducendo pesantissime limitazioni. Questo sia dal punto termodinamico che ancor più per quel che riguarda le dinamiche fisiche e biologiche. È dunque impossibile postulare, in un'analisi della questione, qualsivoglia reciproca indipendenza causale tra i vari fatti naturali, e questo vale sicuramente alle scale spazio temporali tipiche degli eventi più importanti riscontrabili nell'universo attualmente osservabile: formazione dei sistemi planetari, evoluzione organica etc.

In realtà in ogni termine della suddetta serie casuale si esprime in modo preponderante l'interazione reciproca di tutte le n componenti fisiche di . Ogni evento è funzione di tutti gli eventi del livello precedente e fa parte dei termini causali che andranno alla stessa stregua ad influenzare, a prescindere dalla loro rilevanza, tutti gli eventi del livello successivo – ovviamente nel rispetto delle limitazioni relativistiche. Ogni evento Ez(k) collocato nello spazio-tempo è dunque definito da una successione deterministico causale in cui si esprime un numero di interazioni che cresce spaventosamente, esponenzialmente, lungo l'intera serie in una realtà a fattori, o dimensioni.

Ogni evento posto nella sequenza è cioè espressione olistica di una rete di relazioni inconcepibilmente complessa ed inestricabile. Queste relazioni sono, dal punto di vista causale, tutte identicamente essenziali nel determinare lo specifico divenire di ogni evento naturale. Proviamo allora a collocare queste osservazioni nel quadro di una metafisica in cui si affermi un proposito teleologico espresso nel reale, identificabile nell'evento Ez(p), e di conseguenza un evento creativo dell'ente reale: si pone dunque l'esistenza di un evento (0), espressione originaria del disegno riconducibile all'ente assoluto: Dio.

Questo quadro ci permette in particolare di valutare due alternative. Dapprima l'ipotesi di un evento creativo in cui la divinità si limiti a porsi come causa causarum di un universo in divenire assolutamente alieno da diretti interventi della divinità. Ovvero l'idea di una divinità che, una volta reso ontologicamente il servigio di porsi – in quanto ente assoluto, riprendendo le riflessioni di Tresmontant sulla tradizione biblica originaria – quale causa della realtà naturale, si dispensi da qualsiasi ulteriore intervento di condizionamento della realtà mondana. Possiamo osservare che questa concezione appare immediatamente coincidente con i modelli religiosi, in cui la divinità esprime solamente una valenza creatrice, evitando poi di attuare una azione di supervisione censoria dell'operato umano. Dall'altro ci permette di valutare quale riscontro possa avere l'ipotesi, propugnata da parte delle confessioni religiose attuali, vere e proprie teoetotomie, in cui si postula esplicitamente un ripetuto intervento mondano della divinità nella determinazione delle dinamiche naturali.

Ebbene, cosa pongono le nostre precedenti considerazioni all'idea che la realtà fisica possa essere espressione di una data teleonomia identificabile nell'attuazione di un preciso evento Ez(p)? Si osserva facilmente che tutti gli n eventi E di tutti p-1 livelli precedenti sono identicamente essenziali ed imprescindibili per la realizzazione dell'evento Ez(p) e che essi risultano essere evidentemente già pienamente espressi, racchiusi nella (0). Tutta la sequenza causale esprime allora una ferrea rigidità deterministico causale.

Ora, il fatto filosofico fondamentale è che questa abissale, vertiginosa, concezione deterministica dissolve irrimediabilmente ogni più blanda ipotesi di libero arbitrio. Un aspetto quest'ultimo che è in realtà imprescindibile, e che assume un significato fondamentale in ogni modello religioso conosciuto. Si sviluppa infatti tutta una serie di problematiche assolutamente insostenibili alla luce degli aspetti ontologici ed i principi filosofici inerenti l'emersione delle forme coscienti e del libero arbitrio. Il fatto è che in quelle sequenze casuali bisogna necessariamente includere ogni ente del reale, ogni dinamica, evento od essere vivente, cosicché, a meno di dover necessariamente e del tutto immotivatamente introdurre un'esplicita valenza animistico sovrannaturale – sollevando inevitabilmente insolubili problemi a livello evoluzionistico (come vedremo) – tutti questi eventi ed enti reali risultano essere esclusivamente tappe di una ferrea sequenza pan-deterministica: meri automi fisici che esprimerebbero deterministicamente lo stato reale iniziale - vedi a tal pro, seppur con contenuti diversi, la teoria psicologica dello spettatore impotente. Ogni dinamica naturale, per quanto caotica o complessa, non può sfuggire a questo fondamentale determinismo di fondo. Ebbene, questa realtà risulterebbe sicuramente inafferrabile a qualsiasi intelligenza fisica, ma nello stesso tempo la stessa sarebbe ineluttabilmente data.

Continua...

Note

117 Stephen Jay Gould, [2000], op. cit.,. p. 45

118 Tresmontant Claude, Cristianesimo, filosofia, scienze, Jaca Book, Milano, 1983, pp. 229-230.

119 Linde Andrei, Un universo inflazionario che si autoriproduce. Le scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 317 pag. 26., gennaio 1995.

120 Tresmontant Claude, [1983] op. cit., pp. 14-17.

121 Barrow D. John, Teorie del tutto. La ricerca della spiegazione ultima. Adelphi Ed., Milano, 1992.

122 Feynman P. Richard, QED. La strana teoria della luce e della materia. Adelphi Ed., Milano, 1984.

123 Jauch Josef Maria, Sulla realtà dei quanti. Un dialogo galileano. Adelphi Ed. Milano. 1996.

124 Le Scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 289. La filosofia dei quanti. John Horgan, settembre 1992.

125 Popper R. Karl, Verso una teoria evoluzionistica della conoscenza. Armando Armando, Roma, 1994.

126 Le Scienze. Versione italiana di Scientific American, n° 222. Il Caos, James P. Crutchfield, J. Doyne Farmer, Norman H. Pachard, Robert S. Shaw., febbraio 1987; Ruelle David, Caso e Caos, Boringhieri, Torino, 1992; Stewart Ian, Dio gioca a dadi? Boringhieri, Torino, 1993; Stewart Ian, Golubitsky Martin, Terribili simmetrie. Dio è un geometra?, Bollati Boringhieri, Torino, 1995.

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