Capitolo II° capitolo III° Back
La
nostra proposta verte dunque sul fatto che
l’uomo, nel corso della sua evoluzione, abbia
prima o poi far i conti con la tragica presa di
coscienza della morte. Profondamente colpito da
questa consapevolezza, avrebbe cercato di
risolvere tale angoscia ricorrendo all’ipotesi
di una sopravvivenza nell’oltretomba. Questo sarebbe
dunque la base originaria del sentimento
religioso, da cui sarebbero poi derivate le
prime pratiche funerarie e tutto il resto, a
partire dai 50 ¸
60.000 anni or sono.
Tale
ipotesi prenderebbe spunto da una vera e propria
reazione di rigetto
psicologico alla profonda valenza emotiva
della presa di coscienza della morte. L’animale
uomo, al fine di poter coesistere con
l’incombente visione del suo destino ultimo,
riuscì a sbloccare psicologicamente quest’angoscia
formulando la speranza di opporsi alla tragedia
ed orrore di tale evento.
Ma
quest’intuizione, se aprì all’uomo una
percezione radicalmente nuova, costituì la
porta da cui entità spiritualistiche e figure
sovrumane, le divinità, entreranno a gremire
drammaticamente l’esistenza umana. Alla luce
della nostra nuova proposta, andremo ad
analizzare alcuni aspetti di questo evento.
Tutte
le ipotesi relative al probabile nucleo
universale del trascendente si rifanno ad una
concezione evoluzionistica. Le varie forme di
culto sono collegate tra loro nel tempo secondo
un unico itinerario, in cui le religioni più
recenti e complesse sono intese come prodotti
finali di un lunghissimo processo di sviluppo.
(Vedi Schema 3.1). Già qui si coglie la portata
della nostra inedita concezione. Quel che sinora
è stato proposto come primo
fondamento ed irrinunciabile del sacro,
ovvero il rapporto di subordinazione dell’uomo
rispetto al sacro, risulta in realtà dalla
fusione postuma di elementi indipendenti ed
anteriori, ovvero il prodotto di un processo
speculativo, spesso errato, condotto su
preesistenti concetti del quale sinora non sono
state capite l’origine, la dinamica, la
portata. Un’evidenza emblematica di quanto
detto può essere tratta della teoria secondo
cui l’origine della religiosità umana si
fonderebbe sul sentimento di paura nei confronti
dei morti.
Questa
teoria fu formulata sulla studi di popolazioni
primitive, da cui derivò la convinzione che la
paura dei morti dovesse essere intesa quale
elemento originario e fondamentale di queste
credenze. Ma questa tesi unisce come se fossero
elementi inscindibili concetti di per sé
indipendenti come la concezione di
un’esistenza ultraterrena ed un oscuro timore
verso le anime dei morti il che è del tutto
inverosimile. Non necessariamente sono legate le
due idee!
Nessun
cacciatore primitivo rinuncerebbe all’uso
della sua lancia in favore di misteriosi poteri
attribuiti ad un amuleto per procurarsi la
selvaggina. Ma si può far convincere ad
immergere la punta della sua freccia in un
contenitore di magiche
erbe macinate al fine di aumentare
l’efficacia del suo tiro con l’arco.
Il
fatto concreto è che magia e quant’altro non
hanno mai potuto sostituire una pratica
materiale, concreta, ma soltanto contribuire,
almeno negli intenti, ad esaltare i risultati di
un’attività materiale di per
sé già fondamentalmente efficace, razionale,
utile. Non dimentichiamo come anche l’uomo
debba confrontarsi con la cruda realtà
naturale. Le sue attività devono essere
comunque corrette ed efficaci, e solo negli
ambiti che sfuggono ad una comprensione
intellettuale, alle capacità tecniche, o là
dove la casualità è forte, sia in un tiro con
la cerbottana o nella previsione delle
condizioni meteorologiche, la componente magico
oracolare può trovare spazio.
La
magia risulta derivare da tentativi non
illogici, quanto infondati, di trovare leggi in
eventi solo apparentemente connessi tra loro, in
realtà causalmente indipendenti. Essa
rappresenta un risultato errato di osservazioni
empiriche basate su un principio di causa ed
effetto, in cui però il soggetto si convince
ingenuamente di cogliere collegamenti in realtà
inesistenti. La necessità di invocare nel corso
degli eventi naturali l’influsso di forze
sovrannaturali, piuttosto che accettare
spiegazioni naturali non ci autorizza ad
affibbiare agli uomini primitivi una mentalità a-logica,
ipotesi questa decisamente sconfessata dalle
odierne discipline antropologiche. Non è
possibile sostenere che l’emersione della
dimensione umana dal mondo animale fosse
inizialmente approdata ad un illogica e
turbinosa percezione della realtà! La scienza
ci prospetta un’emersione lentissima delle
capacità intellettuali, continuamente
sottoposta al vaglio della selezione naturale.
Ed i processi evolutivi, sia che agiscano su
organi come una pinna, un’ala, un occhio o
sulla corteccia cerebrale, devono
– senza eccezione –
esprimere funzioni evolutivamente corrette.
Come diceva Lorenz, nella formazione degli
organi delle forme viventi: «...
si formano delle immagini
del mondo esteriore : le pinne e il modo
stesso di muoversi dei pesci riproducono le
caratteristiche idrodinamiche dell’acqua,...
L’occhio, come ha giustamente visto Goethe, è
una copia del sole e delle caratteristiche
fisiche della luce... ».
La soppressione della religione
in quanto felicità illusoria del popolo è il
presupposto della sua vera felicità. La
necessità di rinunciare alle illusioni sulla
propria condizione, è la necessità di
rinunciare ad una condizione che ha bisogno di
illusioni. La critica della religione è quindi,
in germe, la critica della valle di lacrime, di
cui la religione è l’aureola».
C'è da fare a tal pro una considerazione
importante, che ci permette di valutare la
profonda novità e capacità esplicativa della
proposta interpretativa del fatto
religioso che stiamo avanzando.
Alla
luce della nostra distinzione tra teoetotomie e religioni,
possiamo infatti gestire in modo molto più
oggettivo la questione dell’emersione del
sacro, e superare di slancio, senza lasciarci
minimamente invischiare, l’atteggiamento
stucchevole, inconcludente e fazioso che sinora
ha rappresentato la costante – ed una doppia
tara ideologica per il problema in sé – di
ogni lavoro prodotto sul tema. Infatti è
possibile osservare e comprendere da ben diversa
prospettiva, il perché tutti gli autori di
formazione teistica cerchino di retrodatare all’indietro
nei tempi di evoluzione umana – spesso anche
oltre il lecito – l’origine del sentimento
religioso, mentre autori di formazione
materialistico marxista cerchino, ovviamente, di
postdatare il più possibile verso tempi recenti
l’emersione del fatto religioso.
I
primi, così facendo tendono a far intendere il
sentimento religioso sempre più come aspetto
universale, che dovrà dunque comparire
inevitabilmente, quasi necessariamente, a
prescindere dai contenuti dell’organizzazione
socio culturale, cercando così di smentire i
contenuti teorici della controparte, che
riconduce solo ad influenze socio culturali l’emersione
di tale sentimento. La controparte a sua volta,
cercando di riconoscere il più tardivamente
possibile tale contenuto, fa di tutto per
imputare tale sentimento, in ossequio al
pensiero marxista, solo a culture recenti – in
particolare quelle classiste. Da questo deriva
una cospicua frazione dell’incomprensione e
dell’opposizione insanabile trasmessa da
entrambe le ideologie ad ogni discussione sul
tema. Ora sono quanto mai chiare nella loro
insipienza le strategie ideologiche che hanno
contraddistinto il pensiero e gli atteggiamenti
di entrambi gli schieramenti, e loro
inconsistenza.L’errore
di Marx è ben comprensibile alla luce della
suddivisione in teoetotomie e religioni:
malgrado l’acutezza mostrata nel sottolineare
l’alienazione dovuta alle religioni moderne,
Marx ha commesso l’errore di considerare un
particolare tipo di religione, e precisamente le
teoetotomie, i modelli (A), come forma canonica
del sacro. Egli non era a conoscenza della
differenza tra religioni e teoetotomie e
siccome tutti i modelli religiosi che poteva
osservare nella sua società erano senza
eccezioni delle teoetotomie, concluse che queste
fossero espressione canonica e fondamentale di
una credenza religiosa. Il che, come abbiamo
visto, non è affatto vero.
Marx
seppe genialmente cogliere il significato socio
economico delle teoetotomie moderne ma non riuscì
a capire il vero risalto di questi sistemi. Qual
è allora la sorpresa? Semplice: la critica
marxista è corretta non quanto critica
all’intero universo del teismo, ma deve essere
ridotta a critica e condanna dei soli sistemi
teoetotomistici. Nel contempo, la
validità del pensiero di Marx è tutta
nell’aver compreso quanta e quale alienazione
socio individuale deriva dalle teoetotomie. Il
limite, e l’errore, di Marx risulta nella
direzione verso cui ha indirizzato la sua
critica, in grado di sconfessare sistemi
sicuramente importanti, ma non universali: le
teoetotomie Cattolica e Protestante in
particolare.
L’errore
è che mentre Marx sosteneva – sbagliando –
che: «La
distinzione tra materia e spirito, e quindi
anche tra anima e corpo, è sconosciuta alla
comunità primitiva. Essa nasce soltanto quando
la famiglia umana si scinde e alla forma
d’organizzazione basata sulla divisione
egalitaria del lavoro e dei prodotti dell’uomo
succede una società fondata su alcuni tipi di
accumulazione privata e sulle prime
differenziazioni di classe», e che «...
L’idea del trascendente, del soprannaturale,
ha un’origine perfettamente chiara. Non nasce
con l’uomo, come manifestazione di
un’esigenza che è sempre esistita e sempre
esisterà: ma è entrata nella coscienza
dell’uomo come conseguenza della lacerazione
che la struttura di classe ha introdotto nella
sua esistenza», in realtà avrebbe dovuto
rivolgere queste critiche non all’idea del
sacro in generale, alle generiche ipotesi
dell’esistenza di Dio e dell’oltretomba. Ma
solo ed esclusivamente alle particolari, e
niente affatto universali, ipotesi di un Dio
creatore e censore, di una vita d’oltretomba
condizionata all’obbedienza dell’uomo nella
vita terrena alle volontà di divinità
teoetotomistiche,
sostenute da un clero teoetotomista
coinvolto in una stretta connivenza con le
classi dominanti borghesi.
Avvalendoci
della dicotomia tra religioni e
teoetotomie, è dunque possibile introdurre
un’ulteriore alternativa al tema, capace di
deviare la discussione tra ateismo marxista e
teismo dalla reciproca chiusura dogmatica
correggendo in modo singolare l’errore del
Marx. Il marxismo ortodosso attribuisce
l’emersione del sentimento religioso, in
particolare la fede in un mondo ultraterreno,
all’affermazione di una società classista in
cui si realizza la suddivisione coatta del
lavoro, si afferma la proprietà privata, e si
ha il controllo e lo sfruttamento di larghi ceti
sociali da parte di esigue classi di potere.
Secondo il marxismo nelle comunità preclassiste,
o pre urbane, ciò non si sarebbe dovuto
realizzare, mancando i fattori socio culturali
in grado di essere elaborati e trasferiti in
modelli teologici. Il passaggio dalle società
preclassiste a quelle classiste, o urbane,
sarebbe l’elemento saliente dell’emersione
del teismo, la grande trasformazione socio
culturale a cui correlare direttamente
l’origine delle credenze e pratiche sacre.
Ma
ciò non è. Questo non è vero:
innumerevoli dati paleo etnologici dimostrano
che nelle società preclassiste esistevano
tranquillamente credenze religiose, e da
tempi immemorabili già si contemplavano divinità,
idee animistiche e concetti di vita
nell’oltretomba. Il fatto è che nelle società
classiste non si assiste alla scoperta
di tutto ciò ma si attua solo ed
esclusivamente una pesante ed infausta trasformazione,
una vera e propria involuzione che condurrà
all’alienazione correttamente denunciata da
Marx. La portata della sua intuizione è
nell’aver collegato aspetti apparentemente
distinti tra loro eppur profondamente connessi,
e dall’immediatezza con cui fece comprendere
il senso dell’alienazione dovuta a tali realtà
socio esistenziali.
La
separazione tra religioni e teoetotomie
deve essere a questo punto correlata alla
suddivisione tra società preclassiste e
classiste. Ebbene, questo è molto più facile e
documentabile di quanto si possa pensare. Lo
schema 3.2 riporta la soluzione che emerge da
estesi dati etnologici sulle varie società
umane.
Schema 3.1
Schema 3.2
Si
noti la collocazione della linea (rossa) di demarcazione tra società
A-classiste – o Pre classiste – e Classiste
(o, secondo un’altra terminologia tra società
pre-urbane ed urbane) che circoscrive il polo
delle teoetotomie e lascia al suo esterno (in
basso e a sinistra nello schema 3.2) quello
delle religioni.
Questa
distinzione tra in due classi indica
parallelamente a quale trasformazione socio
culturale si ebbe la transizione teologico
filosofica con cui si originarono le
teoetotomie. Associando la forma religiosa alle
società preclassiste, si pone una netta
eccezione nei confronti della critica marxista,
ma questo al solo fine di sostenere, e in
termini ben più ampi del marxismo,
l’estensione e la gravità della lacerazione
introdotta nell’animo umano
dall’accettazione di una dottrina
teoetotomistica. Lo sviluppo delle società
classiste non avrebbe portato l’uomo ad
accedere per la prima volta all’idea
dell’esistenza di entità spiritualistiche o
dimensioni ultraterrene; piuttosto comportò una
tragica involuzione di l’uomo aveva
precedentemente vissuto, con ben altri
contenuti, l’esperienza religiosa.
Questa radicale trasformazione si ebbe
parallelamente ad un’analoga trasformazione
dei caratteri della divinità, e di conseguenza
del rapporto tra questa e l’uomo; dunque non
un’emersione
di concetti religiosi, quanto una distorsione
negativa del significato di concetti di divinità
ed aldilà sicuramente preesistenti.
Questo negativo evento proiettò l’uomo in una
realtà lacerante, nella quale venne spogliato
eticamente, privato dei più inalienabili ed
universali diritti e prerogative, della sua
dignità.
La
nostra ricostruzione delle forme di religiosità
collima con la critica marxista solo nella
valutazione dei sistemi teoetotomistici ma
sostiene nel contempo che nelle religioni
non si realizzerebbero le condizioni di
alienazione e condizionamento sociale generate
dalle teoetotomie
delle società classiste. Ciò porta a
confermare l’esistenza dell’alienazione dei
sistemi teoetotomistici
senza però concludere che si possa associare
alienazione umana a teismo in generale e ci
induce a ridefinire le accezioni ipotesi atee e
teiste, dunque a riformulare il profilo del
credente con nuove concezioni. Nello schema 3.3
riportato in fondo a questo capitolo si mettono per l’appunto a confronto le tre
opzioni: atea, religiosa e
teoetotomistica. Si notino i diversi colori
usati per l’ortodosso canone
ATEISMO |
---------------- TEISMO ---------------- |
|
|
Religioni |
Teoetotomie |
ATEO |
RELIGIOSO |
TEOETOTOMISTA |
Eticamente indipendente |
Eticamente indipendente nei confronti della divinità |
Eticamente dipendente nei confronti della divinità |
Affronta liberamente la vita in base alla propria ragione esperienza, sapienza, biologia limitandosi alla propria immanenza. |
Affronta liberamente la vita in base alla propria ragione esperienza, sapienza, biologia integrando tutto ciò con la consapevolezza della sua presunta trascendenza senza alcun condizionamento etico di tipo trascendente. |
Affronta liberamente la vita subordinando la propria ragione esperienza, sapienza, biologia alla autorità ed alle norme etiche dettate, imposte dalla divinità al fine di salvaguardare il suo destino ultraterreno. |
Vede nell'evento della morte il termine estremo del suo essere, della propria individualità e di conseguenza imposta la propria esistenza mirando a massimizzare l'unico e angusto spazio immanente della sua vita. |
Vede nell'evento della morte il passaggio verso una probabile, incondizionata vita d'oltretomba, verso la beatificante conoscenza della divinità, dell'assoluto che ha intuito nella sua esistenza una porta dalla quale potrà accedere senza condizioni ad una dimensione fantastica d'abbondanza e conoscenza. |
Vede nell'evento della morte il passaggio verso una probabile vita d'oltretomba, ma anche il termine degli eventi terreni, mondani che determineranno, forse irrimediabilmente, il destino d'oltretomba e per i quali dovrà subire dopo la propria morte un giudizio divino estremo ed inappellabile. |
Schema 3.3