Capitolo III° capitolo IV° Back
Soffermiamoci
ora su una delle più importanti e controverse
teorie scientifiche attuali: la teoria
dell’evoluzione. Vedremo come risolvere il
problema posto dall’evoluzionismo alle odierne
concezioni religiose, ed in particolare
all’interpretazione biblica ortodossa sostenuta
dalle odierne teoetotomie (A) –
cattolicesimo, protestantesimo etc. –, ci
permetterà di considerare con più fiducia i
risultati della distinzione tra teoetotomie e religioni
testé presentata. Vedremo anche qui infatti
come questa distinzione possa risolvere con
estrema chiarezza questo problema tutt’oggi
irrisolto.
Le
principali polemiche sollevate dalla teoria
evoluzionistica all’interpretazione biblica
ortodossa derivano dal fatto che afferma
l’esistenza di una fondamentale casualità
nell’evoluzione biologica. Questo sembra sulle
prime negare qualsiasi ipotesi di un progetto
creativo divino che abbia come meta l’uomo: come
potrebbero infatti i ciechi meccanismi evolutivi,
sostanzialmente casuali e caotici, essere intesi
come strumento capace di far emergere spontaneamente
una determinata specie vivente (la specie
umana) nella cornice di un proposito creativo?
Come potrebbe scaturire questa meta da una serie
infinita di eventi casuali, in grado ad ogni fase
d’imboccare una miriade sconfinata di percorsi
alternativi e quindi dare luogo a realtà
assolutamente distinte – dove l’uomo non fosse
presente? Dio si affida al caso? O, come disse
Einstein: «Dio
gioca a dadi»?
L’interpretazione
scientifica delle dinamiche evolutive, è
decisamente indeterministica, ovvero impedisce di
pensare all’uomo come prodotto inevitabile dei
processi evolutivi e ciò nega irrimediabilmente i
contenuti del classico discorso teologico inerente
la nostra apparizione sulla faccia della terra.
Conti alla mano, si hanno meno probabilità che la
specie Homo sapiens sapiens possa riemergere sulla
faccia della Terra, nell’ipotesi di far ripetere
di nuovo il processo evolutivo, che colpire una
pallina da golf posta ai confini del sistema
solare con un raggio laser puntato alla cieca
dalla Terra. Siamo dunque enti viventi che
emergono per caso, quali inutile accidente
della natura, in un universo
indifferente, o no? Ma se sì, come possiamo
reputarci immagine
e somiglianza di Dio nell’ipotesi di essere
giunti per caso a questa somiglianza?
È
inoltre teologicamente proponibile questa visione così intrisa di casualità?
O siamo nella situazione di dover forzatamente sostenere, se vogliamo far salva
una ipotesi teistica, che le dinamiche evolutive debbano essere forzatamente
finalizzate sull’uomo? Dobbiamo necessariamente intendere le stesse
alla stessa stregua di quei teologi che, sulle orme di De Chardin, ipotizzano
– molto a-scientificamente per la
verità – un processo evolutivo su cui Dio attui una continua e diretta supervisione,
incanalando ripetutamente e personalmente i fenomeni evolutivi verso la comparsa
dell’uomo... o siamo, al contrario, alla mercé del fato, frutti di un caso inafferrabile,
senza meta e fine in un universo indifferente al nostro essere, al nostro destino
come sentenziò crudemente Jacques Monod?
Le
ipotesi sull’origine dell’universo che si
sostengono oramai stancamente, sono
sostanzialmente due in tali discussioni: da un lato una concezione in
cui le dinamiche evolutive vengono guidate verso
una meta finale da una serie finita
di interventi diretti da parte di Dio (ipotesi
che indicheremo con
DDF=determinazione divina finita) e
dall’altro una concezione indeterministica ed
evoluzionistica in cui non si considera alcun
diretto intervento da parte di Dio (IE=indeterminismo
evolutivo).
Questo
fatto, sulle prime sorprendente, sembra
rappresentare in realtà un’evidenza
fondamentale, preziosissima, che nega il rigido
determinismo della fisica classica ma nel contempo
ci dona la consapevolezza profonda di una fonte di
pura,
autentica ed intrinseca casualità alla base
inferiore della realtà naturale. Questa
concezione rappresenta una pietra miliare dello
sviluppo della conoscenza umana e risulta essere,
alla luce di sviluppi teorici recentissimi, un
modello interpretativo della fisica moderna che ha
generato con il suo apparire innumerevoli e famose
controversie. E a quanto pare sembrerebbe che il
grande Einstein, quando parlò delle partite a
dadi di Dio, fosse nel torto, forse distolto da
una concezione teoetotomistica!
E pensare come questo eccelso pensatore ci abbia
donato aforismi squisiti quali «Dio
è sottile ma non malizioso», spunto calzante
sia per commentare questi tentativi che per
valutare filosoficamente l’interpretazione che
si sta qui delineando.
È
come se la realtà fosse strutturata su due
livelli tra di loro compenetrati, che agiscono
reciprocamente l’uno sull’altro, ma nello
stesso tempo disaccoppiati casualmente da una
soluzione di continuità, o cesura
ontologica. Alla deterministica rigorosità
dei livelli macroscopici fa da contrappunto una
base caotica in cui si osserva una realtà
strutturalmente e logicamente
diversa. Si pensi, per inciso, quale risalto
possono rivestire queste considerazioni a temi
come il libero arbitrio!
È
infondato giustificare le mirabili creazioni
naturali tramite l’operato di un alacre e Dio
puntiglioso, onnipotente ed onnisciente, in grado
di fornire alibi alle prodigiose strutture
biologiche, alla bellezza ed armonia delle loro
forme per mezzo dei suoi puntuali ed onniveggenti
interventi. Queste ingerenze
divine nell’ordine naturale delle cose (ipotesi DDF)
sembrano goffe ed inopportune, sterili, e non meno
superflue dinnanzi alla sufficienza che la natura
esibisce nelle sue potenzialità. La complessità
e la non linearità della stessa realtà naturale
costringerebbero poi l’intervento divino non più
nei termini di una economica supervisione delle
dinamiche naturali.
Non
è possibile predisporre una dinamica evolutiva
con pochi interventi essenziali, come ad esempio
per «...
dare il La» all’origine della vita o
all’emersione della specie uomo tramite pochi ma
fondati interventi. La natura caotica, non lineare
delle dinamiche in gioco renderebbe assolutamente
vane, dinnanzi all’influenza continua di
infiniti fattori di turbamento, tali sporadiche correzioni
di rotta delle dinamiche evolutive. Davanti a
queste dinamiche la divinità sarebbe costretta ad
un intervento ossessivo, puntuale, per attuare un pan-determinismo
di ogni infinitesimo aspetto della realtà. E
questo, si noti, si rivela assolutamente
incompatibile con un contenuto, decisivo di ogni
ideale teologico: il libero arbitrio delle
creature coscienti. Come affermare infatti la più
debole ipotesi di libero arbitrio davanti ad un
intervento così ampio ed onnicomprensivo della
divinità nelle dinamiche naturali? Dovremmo
relegare la divinità a supervisionare certi
fenomeni e non altri od ad agire in certi tempi e
non n altri… ma questo è decisamente poco
elegante, sia sotto il profilo biologico che
teologico. Questa sarebbe la creazione compiuta da
un deuccio tappabuchi, non un Dio creatore! Non
possiamo attribuire a Dio la nostra insipienza, i
nostri limiti intellettuali!
Il
problema dell’esistenza di Dio resta una
questione tutta da affrontare anche alla luce
delle attuali conoscenze scientifiche; ma tale
tematica, proprio per la sua eterna urgenza, deve
essere rivisitata affrancandosi finalmente dagli
oscurantismi di una tradizione fossilizzata su una
visione medievale di Dio e del creato. Se è
nostra intenzione ottenere una visione teologica
dell’universo capace di coesistere senza
affanni con la scienza moderna, dobbiamo saper
definire gli attributi essenziali di tale divinità:
e l’unica risposta coerente è: «Divinità
creatrice». Poi basta.
Ma
poi? Ecco che ci corre in aiuto la distinzione tra
teoetotomie e religioni – e relativi
profili di divinità. Lo scarno profilo religioso
di «Divinità
creatrice» è sicuramente inadeguato per chi
è abituato a una concezione teoetotomistica. Ma,
alla luce di quanto stiamo sostenendo, questo
rappresenta il polo universale del concetto di
divinità su cui convergono e si rispecchiano gli
universali filosofici e teologici della classe
delle religioni (B): un ideale che,
in una visione evolutiva dell’emersione ed
affermazione del sacro nell’universo uomo,
si colloca su di una posizione nodale e
originaria. La figura di una divinità eminentemente creatrice, dunque religiosa,
sembra dunque coerente con l’ipotesi IE.
E noi la prenderemo per buona. La creazione di questo
universo da parte di una divinità (B) e
con modalità IE può rappresentare
l’attuazione di una volontà, di un proposito
creativo? Si potrebbe intendere ciò come gesto rivolto ad una qualche categoria
ontologica, a qualcosa, o qualcuno, in grado di
comprendere completamente il senso della
creazione? La risposta è: «Sì».
L’odierna
visione cosmologica dell’universo pone
significative restrizioni alla formulazione di
adeguate risposte a questi interrogativi.
Restrizioni, paradossalmente, quanto mai opportune
al fine di districarsi dalla valenza ideologica
delle attuali concezioni filosofico teologiche.
Abbiamo visto come lo studio dei meccanismi che
condussero all’emersione di forme viventi sulla
terra abbia condotto l’attenzione degli studiosi
su una fondamentale e sconcertante casualità di
fondo negli eventi evolutivi che ne punteggiano la
storia. L’evoluzione biologica ha indubbiamente
dato origine ad una trama di imprevedibili
fluttuazioni casuali a carico di un’immensa
quantità di materiale genetico: e nella sequenza
di questi eventi è tale da vanificare la
possibilità di cogliere in ciò la realizzazione
di un disegno finalizzato su una particolare
specie vivente. Si può comunque osservare nei
processi evolutivi una qualità sulle prime
apparentemente in contrasto con la neutralità che
emerge da una loro analisi: l’emersione di realtà
biologiche contraddistinte dalla presenza di
organismi complessi.
In
natura la competizione che viene ad instaurarsi
tra specie spezza irrimediabilmente la neutralità
che accompagna l’emersione casuale delle
mutazioni genetiche. Si instaura dunque un senso di fondo nella sopravvivenza
degli esseri viventi. Il meccanismo evolutivo,
seppur innescato da mutazioni genetiche casuali,
si concretizza in un selettivo accumulo di
mutazioni capaci di migliorare la sopravvivenza (fitness)
dell’individuo, parallelamente
all’eliminazione delle mutazioni che ne
intaccano negativamente la fitness. Da questo
deriva la lenta, irreversibile trasformazione
delle forme viventi che conduce all’affinamento,
al miglioramento dei loro strumenti
esistenziali, all’acquisizione di raffinate,
inedite strategie di sopravvivenza. Si origina così
un itinerario evolutivo del tutto imprevedibile
nei suoi dettagli e nel contempo si mantiene un
dinamico quasi equilibrio tra forme sempre più
adattate. È possibile quindi comprendere come, a
partire da una qualsivoglia realtà biologica, si
possa verosimilmente attendere, attraverso la
naturale azione della selezione cumulativa, un
affinamento quantitativo e qualitativo del grado
di complessità medio delle forme viventi.
Ovviamente a livello statistico.
I
progressi recentissimi nel campo
dell’astrofisica hanno confermato la diffusa
presenza negli spazi siderali di molecole
indispensabili per la formazione iniziale di
strutture organiche e l’esistenza di pianeti
attorno altre stelle. Questo sta inducendo a
pensare a processi biologici diffusi
nell’universo. Ma nel quadro di un universo
disseminato di realtà bioevolutive, e non
parliamo minimamente di UFO e amenità simili,
l’uomo dovrà condurre una profonda revisione
della propria immagine e del proprio ruolo
filosofico nella quale il suo profilo perderà
inesorabilmente l’esasperata unicità e
particolarità assunte finora, ma non per questo
verrà degradato a contenuti inadeguati al suo
significato anche in un contesto teologico.
La
specie umana può allora essere colta come quella
forma vivente che, a seguito di casuali eventi
evolutivi approdò, sul terzo pianeta interno del
sistema planetario della stella Sole, alla realtà
cosciente;
realtà umana
nella quale l’individuo percepisce la sua
condizione esistenziale pur nella tragicità della
sua finitezza, dell’ineluttabilità del suo
destino biologico. Questa condizione umana sarebbe
da intendere non più come privilegio esclusivo
della specie H. sapiens sapiens, bensì quale plateau
evolutivo, aspetto dell’evoluzione accessibile a
forme di vita sufficientemente evolute sotto il
profilo psichico. È possibile immaginare dunque
un universo non più muto e vuoto, quanto
condiviso da mondi viventi, ed eventualmente –
seppur come minima frazione – da forme di vita
intelligenti in grado di partecipare, pur in
scenari diversi, ad una realtà cosmica capace
di promuovere ed affermare universalmente
le tematiche oggetto nella nostra ricerca sui
fondamenti del sacro. L’uomo dunque può essere
inteso in una distinta collocazione: non più
quella di apice filogenetico del creato, ma solamente
nella figura di un particolare essere
intelligente, tra i tanti potenzialmente
originabili nell’universo attraverso distinti
scenari bioevolutivi.
Nel
concerto delle possibili forme di vita
intelligente in grado di condividere tali
problematiche dell’essere,
sarebbe dunque riservata alla specie umana una
collocazione forse meno elitaria, ma non per
questo inadeguata, in un consorzio universale che
nel suo complesso possa rivestire il ruolo di entità
cosmica interlocutrice di Dio.
Quest’ipotesi metafisica, assolutamente
compatibile con le odierne concezioni
scientifiche, potrebbe indicare l’inedita
soluzione dello spinoso problema della
inscrutabile finalità della concezione
evoluzionistica della natura. Nell’ipotesi che i
processi evolutivi si ripetano nell’universo,
l’insormontabile difficoltà di porre la
concezione evoluzionistica nell’ambito di una
visione finalistica, incentrata sul genere umano,
può essere sostituita con una concezione coerente
con l’evoluzionismo (ipotesi IE) fondata
su un’idea religiosa
di creazione e divinità. Cogliendo
l’evoluzione non nell’esclusività di una
singola realizzazione ma su scala universale, cosmica,
l’aleatorietà che permea il processo
bioevolutivo sfuma nell’ampio alveo di questa
pluralità, tracciando così una direzione
altrimenti improponibile.
Questa
proposta, in grado da salvaguardare una
sufficiente plausibilità scientifica in rapporto
alla versione filo evoluzionistica, verte su una
divinità religiosa (B) autrice di
un gesto
creativo tipo IE che permette ad un
consorzio di esseri autocoscienti di originarsi
nell’universo nel corso di ripetuti ma
indeterminati eventi bioevolutivi.
Questo
è il significato teologico delle attuali
evidenze scientifiche. L’universo, nel suo
realizzarsi, nelle sue espressioni, esibisce
un’autonomia, una libertà...
pienamente da tutelare ed evidenziare in
un’ipotesi teologica. Una libertà che si può
concretamente realizzare solo nel rapporto tra una
divinità creatrice religiosa (B) e quella frazione
dell’ente creato che col suo apparire si colloca
come sua interlocutrice d’elezione: gli esseri
autocoscienti, intelligenti, eticamente
liberi, emergenti nell’universo quali «orchidee
su un letto di humus» – rifacendosi ad un
suggestivo detto del neuropatologo P. Yacovlev –
dal caldo tepore dell’evoluzione biologica.
Dinnanzi
alle attuali concezioni scientifiche, dobbiamo
obbligatoriamente abbandonare l’obsoleta
immagine non solo della divinità che crea direttamente
e plasticamente
le sue creature, ma anche di qualsiasi creatore
che intervenga personalmente
in eventi nevralgici dei processi naturali per
garantire l’imbocco di determinati itinerari
evolutivi (ipotesi IE) e che poi, alla luce
di questa concezione, continuando questa
disposizione, o prassi, si intrometta nella sfera
etica dell’individuo (B)!
Come
si vede le strette connessioni IE↔(B)
e DDF↔(A) si delineano
clamorosamente fin d’ora! La funzione creatrice
della divinità si ridurrebbe allora a “dare
il La” al creato? Il suo unico fine sarebbe
al più quello di realizzare le condizioni
fondamentali affinché gli eventi naturali, una
volta innescati,
possano condurre ad un universo quale quello
conosciuto? Il ruolo della divinità si
limiterebbe alla giustificazione di un universo
fisico inteso nella categoria metafisica di ente
creato?
Non
esiste alcuna superiorità in un Dio che crea
personalmente ogni particolare naturale e ogni
creatura rispetto un Dio che si limiti ad essere
causa prima di un universo aperto
in evoluzione. Anzi è vero il contrario! Il
presunto scadimento del concetto di Dio che si
potrebbe sulle prime lamentare è soltanto il
frutto di un profondo condizionamento
teoetotomistico: un Dio che crea personalmente
rappresenta un profilo molto meno dignitoso di
quel che si possa sulle prime pensare. Un Dio che
si rispetti non si abbassa minimamente a queste volgari
attività, non confacenti alla sua divina
potenza! Queste scadenti, grezze concezioni sono
solo frutto di limiti immaginativi – sicuramente
umani e angusti – e di evidente presunzione, non
raffinate ipotesi teologiche.
Il
fatto è che non necessariamente siamo
parte di un l’universo dovuto al possente,
immane progetto creativo di un Dio laborioso,
puntiglioso ed alacre nello scandire da cicli
cosmici e definire direttamente, personalmente
fenomeni biologici del tipo «Ghe fasso tutto mì…».
Siamo parte piuttosto di un universo aperto,
coerente, univoco, capace di far
emergere spontaneamente – questo sì che
è consono ad un divino creatore! – soggetti
coscienti, dinamicamente traboccante di un
susseguirsi d’inedite, affascinanti sequenze di
oggetti naturali.
L’attuale
visione scientifica dell’universo – di per sé
assolutamente neutrale – permette sì di
cogliere lo stesso anche
come entità creata giustificabile
dall’esistenza ed azione di una divinità.
Costringe però ad ammettere come eventuale
termine finale di tale gesto divino solo
l’aperta realtà di una natura intrinsecamente
autosufficiente, libera di realizzarsi nei suoi
successi e nei suoi fallimenti nel corso
d’imprevedibili itinerari evolutivi. La meta evolutiva
non risulta però necessariamente chiusa,
appigliata al realizzarsi di una precisa realtà
verso la quale sono dirette tutte le forze positive
del creato e da cui lo stesso potrebbe essere
distolto dal verificarsi di un ventaglio di
dinamiche naturali negative
tale da giustificare il puntiglioso intervento in
itinere della divinità.
Anche
nelle religioni la divinità, nella sua majestas,
si pone dinnanzi alle sue creature dall’alto
della sua serena funzione creatrice; ma
questo sereno divario risulta poi
amplificato, trasceso e radicalmente sconvolto,
perso in modo sinistro nelle teoetotomie a causa
della profonda sudditanza etico morale delle
creature richiesta dalla divinità
teoetotomistica. In esse il Dio si profila quale giudice
supremo, severo seppur amorevole,
delle scelte di ogni individuo. La sua superiore
onniscienza, calando nella sfera morale e sociale
dell’esistenza, impone un confronto in cui una
qualsiasi creatura cosciente non può che
risultare surclassata, schiacciata... sconfitta.
L’intervento
divino nella definizione fine degli schemi etici
rappresenta un’intrusione pesantissima ed
inaccettabile in quello che, nel contesto
teleologico della creazione, dovrebbe invece
rappresentare il coronamento del disegno creativo:
la libera
esistenza di queste creature. Laddove la divinità
giunge ad affermarsi nell’ambito etico di tali
creature, queste vengono di fatto
irrimediabilmente private della possibilità di
dar fondo a questa prerogativa. La presenza
mondana di una legge divina rappresenta un
monolite attorno al quale questi esseri possono
solo assuefarsi:
un macigno opprimente, che preclude senza scampo
l’orizzonte dell’autodeterminazione.
Come
si vede una quantità sempre più ampia di evidenze e opportune considerazioni
teologiche fanno sì che l’ipotesi teoetotomistica (A), e di conseguenza
le modalità DDF, risultino essere sempre più in totale contrasto con
la scienza moderna. La concezione evoluzionistica della natura IE circoscrive
in ben precisi ambiti qualsiasi tentativo di sua coesistenza con un’ipotesi
teistica. Leggi ed equilibri naturali danno luogo ad un universo capace di ospitare
l’evoluzione di forme viventi, l’emersione dell’intelligenza ma solo in un divenire
storico imperscrutabile a priori e ciò può rappresentare l’evidenza solo
ed esclusivamente di un disegno divino rivolto alla completa manifestazione
della più significativa ed elevata qualità dell’esistenza di una qualsiasi forma
di vita intelligente: l’esercizio pieno e responsabile del proprio libero
arbitrio, dell’autodeterminazione etica. Ecco il significato teologico che
deriva dalla scienza moderna: il diritto concesso dalla stessa divinità all’esercizio
della propria libertà!
Così
come l’intero universo fisico è lasciato
evolvere nella più completa sufficienza, ciascun
essere vivente – uomo compreso – è lasciato
esistere nella più completa autosufficienza. Non
ci sono determinati equilibri biologici e
comportamenti prestabiliti dalla divinità da
rispettare, a cui ciascuno debba adattare la
propria biologia ed ancor più sacrificare
l’espressione naturale e spontanea del suo
stesso essere libero. Scrisse Jacques Monod: «L’uomo finalmente sa di essere solo in
un universo immenso e indifferente... Non ha né
destini né doveri prestabiliti».
L’idea
di una divinità morale impegnata nella
realizzazione di un preciso quadro ontologico,
avvezza ad intervenire nelle vicende naturali per
guidare il creato verso futuri, insondabili
approdi, è un preconcetto assolutamente gratuito
quanto incompatibile con l’odierna visione
scientifica del creato, dovuto solo al nostro essere
assuefatti ad una cultura teoetotomistica.
L’associazione
dei modelli religiosi (B) nell’ambito dell’odierna concezione di un universo
in evoluzione (IE) è dunque immediata. La mancanza delle norme assolute
ed universali con le quali ogni divinità teoetotomistica esercita un’azione
censoria delle azioni umane consente alle divinità religiose di trasporre
perfettamente il loro referente teologico
nell’orizzonte indeterministico evoluzionistico (IE) dell’odierna concezione
scientifica del creato. I connotati di queste divinità vengono anzi affinati
ed esaltati in questo nuovo contesto, dando origine ad una costellazione metafisica
il cui valore sicuramente profondo sfugge nella sua interezza.
L’attuale
cosmologia scientifica dunque propone all’uomo
una comprensione dell’universo e del senso
dell’incedere degli eventi di cui è parte
sicuramente incompatibile con certe
ipotesi teistiche, ma non inconciliabile con il
teismo in generale. L’accostamento
dell’odierna visione scientifica della natura ai
modelli religiosi permette anzi di
formulare modelli teologici di sconcertante
attualità e coerenza formale, capaci di dare un
taglio interpretativo dell’esistenza
estremamente positivo. Questo tipo di edificio religioso,
che potremmo nominato religione naturale, può rappresentare
l’essenza di una nuova opzione dell’uomo: una
derivazione esplicita dalla filosofia della scienza della
sua ancella: la teologia
della scienza. Un'altra significativa
inversione dei ruoli. A questo punto rivolgiamoci
all’ultimo argomento necessario per affrontare
compiutamente l’interpretazione dei secondi due
capitoli del libro della Genesi: Freud e la
psicoanalisi.