Capitolo IV°                   capitolo V°                        Back   

È giunto il momento di esaminare più da vicino come ambienti religiosi e teoetotomistici possano generare dinamiche e condizionamenti psichici e condizionare in modo alterno la personalità dell’uomo. Dai lavori di Freud in merito alla struttura della psiche e della personalità umana emergono tesi d’indubbio interesse per i nostri fini, che ci appresteremo, come sembra essere oramai una costante di questo lavoro, a collocare in ben diverso contesto! Ai nostri fini rivestono una fondamentale importanza la teoria del complesso edipico, dell’origine sessuale delle nevrosi ed infine della scomposizione della personalità psichica aspetti che, ancora oggi, rappresentano i risultati più validi e condivisi della sua opera. Freud è stato portavoce sublime di una concezione della nostra natura psichica completamente antitetica all’ideale maturato nella cultura occidentale e giunto al suo acme nella filosofia nella cultura occidentale; nella fattispecie la convinzione che il freddo pensiero logico razionale, superiore alle emozioni, rappresenti il tratto più auspicabile ed eccelso dell’individuo, il leitmotiv di un’autogestione positiva dell’individuo umano.
   
      Secondo Freud invece l’individuo risulta animato da profonde spinte, motivazioni e pulsioni interiori la cui comprensione costringe a risalire sin alle più lontane e pregnanti esperienze del passato: un retroterra nascosto e spesso inaccessibile alla coscienza individuale, in grado d’intaccare, spesso con maggior rilevanza rispetto a convinzioni esplicite e propositi coscienti, il comportamento umano.
   
      Freud postulò una struttura della personalità psichica contraddistinta dalla presenza di tre componenti che denominò con i termini Io, Super-Io ed Es (o Id). Io e Super-Io si originerebbero sin dall’infanzia ed adolescenza al contrario dell’Es, componente biologica connaturata della psiche.  
         Freud suddivide poi la personalità psichica dell’uomo, il cosiddetto psicoide, in tre sistemi: Inconscio, Preconscio e Conscio. Questi sistemi rappresentano una compartimentazione dello psicoide che risulta contemporaneamente suddiviso nelle istanze dell’Io e dell’Es le quali, in un certo qual modo, si sovrappongono ad esso. Tale sovrapposizione è forzatamente imperfetta, nel senso che l’istanza dell’Io, , come scrisse lo stesso Freud, pur sovrapponendosi al sistema conscio affonda «... una porzione Dio sa quanto importante» di sé nell’Inconscio.
   
      L’Es rappresenta l’istanza psichica in cui l’Io si continua e che si comporta quale inconscio ricettacolo delle passioni. L’Es, scrisse Freud, «... è la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità ... lo chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti ribollenti ... l’Es non possiede un’organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento dei bisogni pulsionali nell’osservanza del principio del piacere». L’Es risponderebbe dunque alla frazione animale, arcaica, connaturata delle pulsioni umane e rappresenta la frazione preponderante dell’Inconscio; l’individuo, la sua struttura psichica, sarebbe dunque un «... Es psichico, ignoto ed inconscio, sul quale poggia nello strato superiore l’Io».
   
      L’Io è la parte dell’Es modificata per diretta azione del mondo esterno; esso, sempre nelle parole di Freud, «... si sforza altresì di far valere l’influenza del mondo esterno sull’Es e sulle sue intenzioni tentando di sostituire il principio di realtà al principio di piacere, che nell’Es esercita un dominio incontrastato…L’Io rappresenta ciò che può dirsi ragione e ponderatezza, in opposizione all’Es». Ora, quali relazioni si attuano tra queste componenti? L’Io si fonde intimamente nell’Es, nel senso che le profonde pulsioni di quest’ultimo hanno la possibilità di giungere al sovrastante Io. Ma non è sempre così: alcune pulsioni dell’Es possono venir ostacolate, nel loro fluire verso la coscienza, tramite vere e proprie censure, le cosiddette rimozioni, condotte dalla frazione inconscia dell’Io. Questa censura inconscia delle pulsioni dell’Es dà luogo al cosiddetto rimosso, parte dell’esperienza psichica inconscia dell’individuo sottratta alla consapevolezza dell’Io.  
         Il rimosso conserva nel tempo l’energia con cui le pulsioni dell’Es cercano di giungere alla superficie dell’Io cosciente ed a ciò si debbono i più dolorosi sintomi della vita psichica dell’individuo. Dunque la frazione dell’Io inconscia è l’artefice delle rimozioni e pertanto l’Io viene ad essere distinto in due parti: l’Io propriamente detto ed il Super-Io, o Ideale dell’Io.
   
      Sin dalla nascita, la continua esperienza con il mondo esterno, sentimenti e percezioni, portano alla progressiva maturazione dell’Io. Nel corso di questa maturazione dell’Io l’ambiente esercita complesse influenze su questa istanza della psiche: ad esse si dovrebbe la formazione del Super-Io. Il Super-Io rappresenta una frazione dell’Io relativamente autonoma ed indipendente, capace di attuare una rigorosissima funzione censoria sull’Io. Esso è in grado in alcune personalità di ergersi a possente ed inflessibile censore morale, capace di far crollare l’individuo in frustranti e penose crisi d’angoscia e malinconia. Ma anche nei soggetti normali la sua azione risulta quanto mai cospicua, potendo dare origine a diffusi ed angoscianti sensi di colpa e complessi d’inferiorità. Il Super-Io rappresenterebbe la coscienza morale interiore di ciascuno, il censore inflessibile delle norme morali e dei vincoli dell’ambiente socio culturale in cui l’individuo è immerso.
   
      Qual è la sua origine? La psicanalisi afferma che questa porzione dell’Io deriva essenzialmente dal concorso di esperienze esterne, comunque connesse con la biologia e l’etologia umana, con i valori etici della società, in grado di stimolare importanti dinamiche psichiche durante determinati periodi dello sviluppo dell’individuo.
   
      Sin dalla nascita l’uomo attua delle scelte, dette oggettuali, mediante le quali cerca di disporre degli oggetti necessari ad esaudire i suoi bisogni pulsionali; ad esempio il seno materno, il contatto col corpo della madre ed il godimento delle sue attenzioni rappresentano la meta della scelta oggettuale del neonato nei confronti della madre, una delle prime e più importanti scelte oggettuali della nostra esistenza. Ora, a seconda della zona del corpo più interessata dal soddisfacimento dei bisogni del bambino, Freud individuò nel primo sviluppo infantile delle fasi cronologicamente successive: la fase orale, sadico anale, fallica, dette pregenitali, ed infine la fase genitale. Nelle fasi pregenitali, fondamentali per la formazione del carattere, gli investimenti oggettuali provengono principalmente dall’Es, essendo ancora estremamente debole l’Io; ma col tempo anche quest’emergente istanza della personalità inizia a manifestarsi. In base alle caratteristiche socio culturali dell’ambiente e delle esperienze affettive l’Io del bambino inizia allora il suo compito di mediatore tra l’Es e la realtà esterna – sia negli aspetti biologici che affettivi ed infine sociali.
   
      Le più importanti dinamiche dello sviluppo e della funzione dell’Io sono costituite dai processi di rimozione e d’identificazione. Con il primo la porzione inconscia dell’Io respinge  nell’Es le pulsioni istintuali inaccettabili dalla coscienza, censurabili in base alle norme etiche e le esperienze socio affettive dell’ambiente in cui si sviluppa. Il processo d’identificazione invece fa sì che egli possa sostituire l’oggetto delle proprie scelte oggettuali, magari perso od abbandonato nel corso delle esperienze esistenziali, con il proprio Io. Dice Freud: «L’identificazione è una forma molto importante di legame con un’altra persona, verosimilmente la più primitiva, e non è la stessa cosa di una scelta oggettuale. La differenza può essere espressa all’incirca così; se il fanciullo si identifica col padre, egli vuole essere come il padre; se lo fa oggetto della sua scelta, lo vuole avere, possedere; nel primo caso il suo Io viene modificato secondo il modello del padre, nel secondo ciò non è necessario».
   
      Il processo di identificazione a sua volta è fondamentale nella genesi del Super-Io e nella compartimentazione dell’Io, specialmente in relazione all’influenza del complesso edipico sullo sviluppo sessuale. Il Super-Io deriva principalmente da un legame emotivo e dalle ambivalenze proprie del complesso edipico. L’altra fondamentale fonte del Super-Io è data dalle figure e ruolo dei genitori e in generale dei soggetti da cui l’individuo assimila gli ideali, i principi sociali, etici e culturali della società. In ultima analisi il Super-Io è il retaggio dell’intenso rapporto con i genitori e con le figure che rappresentano la frazione affettiva ed educativa più importante e preponderante della prima infanzia, tutti comunque rappresentanti del complesso delle norme etico sociali della comunità. Il primo rapporto si cala direttamente alla realtà biologica ed etologica più intima e naturale, la famiglia dell’uomo, il secondo risulta intriso dei contenuti contingenti di un determinato sistema socio culturale; ed è qui che rivolgeremo la nostra attenzione. È opportuno però fare una breve considerazione. La moderna psicologia ha sottoposto le teorie freudiane ad un profondo affinamento ed una revisione in alcuni casi radicale. Ad eccezione della psicanalisi ortodossa, nell’ambito della quale le teorie freudiane sono essenzialmente mantenute inalterate rispetto alle originarie formulazioni, si può descrivere la psicologia moderna come un quadro assai differenziato, articolato com’è in filoni teorici distinti. Si è avuto comunque uno sviluppo di teorie e tecniche di analisi della personalità che  sembrerebbero raccogliere l’eredità freudiana: oltre alla teoria psicanalitica vera e propria si hanno teorie come la teoria cognitiva, interpersonale, evolutiva dei disturbi della personalità – in cui, per inciso, rientra anche la definizione del prototipo di normalità della personalità. In queste teorie la valutazione della personalità del soggetto e del suo comportamento si coagula essenzialmente nella valutazione di fenomeni di apprendimento ed imitazione, dunque esogenetici, culturali, pur non disconoscendo la radice connaturata, biologica, di molti aspetti comportamentali.  
         Molto interessante ai nostri fini sembra essere la valutazione che la teoria evoluzionistica della coscienza sembra porre al concetto freudiano dell’Es. Alla luce di tale teoria esso non può più essere inteso come «... parte oscura,» della psiche, che «non possiede un’organizzazione, non esprime una volontà unitaria» visto che, rispondendo ad esigenze evolutive come ogni altra creazione naturale, ha dovuto inevitabilmente assumere una sua organizzazione ed un proprio significato adattativo.
   
      In altre parole l’Es non assume più quella valenza di assoluta caoticità, irrazionalità e disorganizzazione del pensiero freudiano, rappresentando una frazione della nostra psiche sicuramente inaccessibile alla coscienza, ma nel contempo supporto essenziale di quest’ultima, dotata allora di organizzazione, di dinamiche proprie, ma comunque di capacità percettive ed operative evolutivamente valide, rispondenti cioè ad oggettive necessità di sopravvivenza biologica. Quindi non abbiamo a che fare con una frazione inaccettabile, da intendere in un alone di negatività, da dover solo inibire e controllare in forza della sua intrinseca, assoluta disorganizzazione, alla luce di una superiore razionalità cosciente, quanto una frazione del nostro più totale essere uomini, piuttosto da decifrare, comprendere ed armonizzare con quest’ultima.
   
      Il modello freudiano sembra non essere dunque più di tanto vanificato dagli sviluppi della psicologia e delle neuroscienze, specialmente negli aspetti di fondo dello sviluppo della personalità. C’è infine da sottolineare come la valenza universalistica che Freud attribuì alla sua opera risulti oramai più sfumata, anche e soprattutto grazie alla recente ricerca etno-psicanalitica, che ci permette di osservare come certe deduzioni di Freud si mostrino molto meno valide per una lettura dei quadri psicologici al di fuori della nostra cultura.
   
      Prendiamo ad esempio il complesso edipico. Questo fenomeno rappresenta uno dei pilastri del pensiero di Freud. Secondo la teoria freudiana il bambino, a partire dai quattro, cinque anni di età, inizia a manifestare una predilezione erotica per il genitore di sesso opposto, entrando contemporaneamente in competizione con l’altro genitore nel tentativo di monopolizzare le attenzioni e l’affetto del primo. Ciò avverrebbe per il maschietto nei confronti della madre, per la femminuccia nei confronti del padre. Ovviamente queste dinamiche risultano in realtà più complesse ed ambivalenti dato che tali pulsioni, che Freud denominò come sessuali, erotiche, si vanno a manifestare in modalità ben più ampie e generali della sola valenza sessuale, in un contesto affettivo ed in uno stadio dello sviluppo psichico dell’infante ancora immaturo, quanto critico. C’è da sottolineare comunque che i concetti di sessualità ed erotismo, di libido di Freud non sono circoscritti alla sfera eminentemente sessuale così come può essere recepito nel nostro senso e lessico comuni. Secondo Freud gli investimenti oggettuali del bambino e della bambina sui genitori, la prevalente disposizione verso il genitore di sesso opposto, andrebbero a sfociare, con il positivo superamento del complesso edipico, in predisposizioni universali nell’uomo che indirizzeranno e condizioneranno le manifestazioni dell’adulto. Parallelamente a ciò, i residui degli investimenti edipici daranno luogo alla formazione del Super-Io. Così scrisse Freud: la «... neocreazione di un’istanza superiore dell’Io è strettamente vincolata alla sorte del complesso edipico, talché il Super-Io appare come l’erede di questo legame emotivo così importante per l’infanzia... Nel corso dello sviluppo il Super-Io accoglie anche gli influssi di quelle persone che sono subentrate al posto dei genitori, ossia educatori, insegnanti e modelli ideali…e queste identificazioni forniscono persino, di norma, importanti contributi alla formazione del carattere, che in tal caso riguardano solo l’Io, non influiscono più sul Super-Io, il quale è stato determinato dalle primissime imagines parentali...
   
      Esso è anche l’esponente dell’ideale dell’Io, al quale l’Io si commisura, che emula, e la cui esigenza di una sempre più ampia perfezione si sforza di adempiere...
   
      Il Super-Io è per noi il rappresentante di tutte le restrizioni morali, l’avvocato dell’anelito alla perfezione; è, in breve, ciò che siamo riusciti a comprendere in termini psicologici degli aspetti più elevati della vita umana. Poiché risale essenzial­mente all’influsso dei genitori, degli educatori e così via, il suo significato risulterà ancora più chiaro se ci rivolgiamo a queste sue radici. Di solito i genitori e le autorità analoghe seguono, nell’educazione del bambino, i precetti del proprio Super-Io. Quale che sia l’accomodamento a cui il loro Io è giunto nei confronti del loro Super-Io, essi sono severi ed esigenti nell’educazione del bambino. Hanno dimenticato le difficoltà della propria infanzia e sono contenti di potersi ora identificare pienamente con i propri genitori, che a suo tempo hanno imposto loro tante gravi limitazioni.
   
      Così in realtà il Super-Io del bambino non viene costruito secondo il modello dei genitori, ma su quello del loro Super-Io; (e così via a ritroso n.d.a.) si riempie dello stesso contenuto, diventa il veicolo della tradizione, di tutti i giudizi di valore imperituri che per questa via si sono trasmessi di generazione in generazione. È facile indovinare di quanto aiuto possa essere la considerazione del Super-Io per comprendere il comportamento sociale degli uomini... L’umanità non vive interamente nel presente: il passato, la tradizione della razza e quella del popolo, che solo lentamente cedono alle influenze del presente, ai nuovi cambiamenti, sopravvivono nelle ideologie del Super-Io e, finché agiscono per mezzo di esso, hanno nella vita umana una parte possente che non dipende dalle condizioni economiche». Il concetto freudiano del Super-Io costituisce uno strumento fondamentale per i nostri intenti. Esso ci consente d’individuare addirittura nello sviluppo della struttura psichica dell’uomo il meccanismo che verrebbe innescato dai contenuti filosofici di un dato modello metafisico, dagli aspetti etico teologici di una credenza religiosa: il Super-Io costituirebbe il substrato psichico suscettibile di venir attivato da simili fattori culturali. Si può dunque porre una correlazione tra le personalità di base riferite a diversi contesti socio culturali e relative strutture del Super-Io.
          Le differenze dei distinti modelli socio culturali hanno dunque un parallelo nelle differenze tra distinte istanze del Super-Io. Queste differenze si riflettono in diversi approcci dell’individuo all’esistenza mondana. In un sistema teoetotomistico ad esempio, il Super-Io non fa che progressivamente accrescersi alla luce di una collocazione teologica dell’individuo segnata dall’affermazione della dipendenza etica e del ruolo censorio della divinità; una collocazione che attribuisce una congenita imperfezione e fallacità all’uomo. Spesso in esso l’uomo risulta succube della manifestazione di principi sovrannaturali in grado di condurlo a comportamenti nettamente opposti alle volontà conclamate dalla divinità suprema. E ciò costituisce un altro contributo notevole a certe forme di degenerazioni psicologiche.
   
      Una società teoetotomistica dà dunque origine al complesso di principi e valori che contribuiscono nella loro globalità all’emersione e caratterizzazione del Super-Io. Il fatto è che tali fattori sono in grado di favorire uno sviluppo ed un’azione abnormi di quest’istanza psichica dell’Io assolutizzando od amplificando determinati contenuti etici e sociali. Da ciò risulterebbe, al di là dell’innegabile variabilità individuale, una struttura psichica modale (P.d.B.) in cui il Super-Io sarebbe rappresentato da un’istanza addirittura ipertrofica.
   
      Un ideale teoetotomistico infatti esprime tutta una serie di assunti filosofici essenziali per lo sviluppo e la determinazione del Super-Io:
        a) sostiene la subordinazione etica di un dato ente rispetto ad un altro ente instaurando teologicamente il principio della sovranità etica divina sull’ente naturale subordinato – l’uomo;
        b) afferma e sostiene il principio dell’esercizio con modalità repressive di un’autorità etica sovrana a livello sociale e individuale;
        c) Afferma l’intrinseca imperfezione ed inferiorità dell’uomo al cospetto di una perfezione superiore connessa con autorità e sovranità; perfezione a cui peraltro l’uomo potrà anelare esclusivamente con una completa ubbidienza e remissione alle volontà dell’ente sovrano, dell’autorità esterna;
        d) assolutizza la validità della norma etica, della legge dalla cui obbedienza deriva l’assolutezza della perfezione, prerogativa della sola divinità – e non per ultimo lega a ciò la salvezza nell’oltretomba.
Notare come questo quadro teologico evochi la stessa compartimentazione psichica in Super Io, Io e Es. L’individuo, l’Io, è in tutta la sua vita, dalla culla alla tomba, messo di fronte ad un ente morale tutore di norme ed esigenze etiche superiori ed assolute: ecco la divinizzazione del Super-Io, sovrano e censore. L’individuo/Io è eternamente preso dalla necessità di render conto dell’intransigenza morale del Dio/Super-Io e nel contempo costretto a far fronte alle richieste energiche, spesso amorali, di una frazione dell’essere psichico intesa come oscura ed inaccessibile alla razionalità, alla consapevolezza: l’Es. Un quadro questo chiaramente condito dall’idea tutta teoetotomistica di una natura imperfetta, corrotta, peccatrice! L’instabilità della situazione teologica di un ideale teoetotomistico può essere colta, nel suo parallelo psicologico, dalle stesse parole di Freud: «Se si seguono gli sforzi cui è costretto l’Io per soddisfarli (il mondo esterno, il Super-Io, l’Es n.d.a.) contemporaneamente, o meglio, per ubbidire ad essi contemporaneamente, non ci parrà fuori luogo avere personificato questo Io, averlo presentato come un essere a se stante.
   
      Il poveretto si sente stretto da tre parti, minacciato da tre specie di pericoli, ai quali reagisce, in caso estremo, sviluppando angoscia.
   
      L’Io, data la sua origine dalle esperienze del sistema percettivo, è destinato a rappresentare le richieste del mondo esterno, ma al tempo stesso vuole essere il fedele servitore dell’Es, rimanere con l’Es in buona armonia, raccomandarglisi quale oggetto e attirarne su di sé la libido.
   
      Nel suo sforzo di fare da intermediario fra l’Es e la realtà, l’Io è spesso costretto a rivestire i comandi inc dell’Es con le proprie razionalizzazioni prec, a occultare i conflitti dell’Es con la realtà, a far credere, con diplomatica ipocrisia, di aver preso in considerazione la realtà anche quando l’Es è rimasto rigido e inflessibile.
        Dall’altro canto, viene osservato passo per passo dal severo Super-Io, che, senza tener conto delle difficoltà provenienti dall’Es e dal mondo esterno, esige l’ottemperanza a determinate norme di comportamento, e punisce l’Io, in caso di inadempienza, con spasmodici sentimenti d’inferiorità e di colpa... Se è costretto ad ammettere le sue debolezze, l’Io prorompe in ango­scia: angoscia reale dinanzi al mondo esterno, angoscia morale dinanzi al Super-Io, angoscia nevrotica dinanzi alla forza delle passioni dell’Es
». L’approssimazione è sconcertante, talmente stretta dall’aver indotto a suo tempo Freud a postulare, cadendo però in errore nel ovviamente attirandosi le ire del clero, l’origine della fede in Dio da questa radice della psiche umana: «È facile mostrare che l’ideale dell’Io (il Super-Io n.d.a.) risponde a tutti i requisiti che gli uomini si aspettano di trovare nell’essere superiore.
   
      Nella sua qualità di formazione sostitutiva della nostalgia del padre, l’ideale dell’Io contiene il germe dal quale si sono sviluppate tutte le religioni (il termine qui non è inteso nell’accezione introdotta in questo lavoro n.d.a.).
   
      Il giudizio sulla propria pochezza derivante dal confronto fra l’Io e il suo ideale, produce la sensazione di devota umiltà alla quale si richiama il credente nel suo fervore.
   
      Nel corso dello sviluppo umano maestri ed autorità hanno continuato a svolgere le funzioni del padre; i comandi e i divieti di costoro hanno conservato la loro efficacia nell’Io ideale, ed esercitano ora, come ‘voce della coscienza’, la censura morale... Religione, morale e sentimenti sociali  questo contenuto fondamentale di ciò che nell’uomo è più elevato  sono stati in origine... acquisiti filogeneticamente a partire dal complesso paterno: la religione e le limitazioni etiche mediante il superamento del complesso edipico vero e proprio, i sentimenti sociali per la necessità di dominare la rivalità residua fra i membri della giovane generazione». Una deduzione di nuovo arguta, ma di nuovo errata. Ecco dunque l’errore di Freud. Freud cadde come Marx nell’errore di vedere nei sistemi teoetotomistici la forma universale, canonica, definitiva e superiore del teismo, col risultato di scambiare l’effetto con la sua causa. È da notare come lo stesso Freud sottolinei più volte nei suoi scritti il fatto che il Super-Io rappresenti – a livello di sviluppo individuale – un’istanza non originaria della psiche umana, se messa in relazione alle altre componenti della stessa. Qualcosa che avrebbe potuto fargli intuire la vera realtà a livello sociale e culturale! Il Super-Io, scrive in «L’Io e l’Es», «... lo abbiamo derivato proprio da quelle esperienze che hanno generato (poi n.d.a.) il totemismo... », e poi, riferendosi comunque all’origine del Super-Io nel corso della storia dell’individuo: «... Se pure tale coscienza è qualcosa ‘in noi’, non lo è fin dall’inizio... La funzione che più tardi assume il Super-Io viene dapprima svolta da un potere esterno, dall’autorità dei genitori... » che «... esercitano il loro influsso e governano il bambino mediante la concessione di prove d’amore e la minaccia di castighi... Quest’angoscia reale precorre la futura angoscia morale: finché essa domina, non c’è bisogno di parlare di Super-Io e di coscienza morale.          Solo in seguito si sviluppa la situazione secondaria - che noi siamo troppo disposti a ritenere quella normale - in cui l’impedimento esterno viene interiorizzato e al posto dell’istanza parentale subentra il Super-Io, il quale ora osserva, guida e minaccia l’Io, esattamente come facevano prima i genitori col bambino». Il fatto è che quel Super-Io che Freud rintracciò con così grande costanza dall’analisi psicoanalitica dei suoi pazienti, non risulta necessariamente un tratto regolare dell’Io, almeno con il rilievo e la durata che lo stesso Freud intese, bensì un aspetto psichico tipico, modale, di una particolare struttura culturale: le teoetotomie.
   
      L’istanza del Super-Io deve la sua origine a dinamiche psichiche e influenze socio culturali peculiari, ed il suo sviluppo e strutturazione sono dovuti principalmente all’attuazione di schemi educativi tali da innescare la complessa ed ambivalente costellazione del complesso edipico. Eppure il complesso edipico risulta alimentato dalle energie connesse a delle pulsioni riconosciute in tutto e per tutto facenti parte della sfera sessuale: dunque pulsioni erotiche. Si rifletta su come questa sfera goda di considerazione molto peculiare, quanto problematica, nella nostra società teoetotomistica!
   
      È possibile allora ipotizzare che in opportuni contesti etico sociali tali pulsioni possano aver sbocchi sostanzialmente differenti da quelli, auspicati ma erroneamente ritenuti normali, positivi, dalla teoria psicoanalitica.
   
      Partendo dunque dalla strutturazione del Super-Io e procedendo a ritroso nello sviluppo dell’individuo ci imbatteremo nel divenire del complesso edipico, nel suo epilogo. Questo complesso è innescato e condizionato dalle modalità con cui il bambino, o la bambina, possono gestire i propri investimenti oggettuali, erotici, sui loro genitori, dall’ambivalenza con cui possono sperimentare i loro sentimenti alla luce di determinati schemi etici - in particolar modo nei riguardi della disposizione di questi ultimi in merito alla sessualità del bambino. Freud osservò con sorpresa, nel corso delle sue pratiche psicoanalitiche, come la rimozione degli impulsi istintuali connessi col complesso edipico del bambino verso la madre, e da cui di lì a poco seguirà l’identificazione parentale col padre e l’affermazione interiore dell’ideale dell’Io, derivasse da uno stato d’angoscia precedente, che lo stesso Freud definì nevrotica e concepì essere originato dalla frustrazione dei primi investimenti sessuali del bambino.
   
      In sintesi, non appena il bimbo inizia ad esprimere la propria sessualità, vuoi per via auto erotica vuoi verso i genitori, sperimenta l’ostracismo e l’avversione che nelle società come la nostra sono fondamentalmente rivolti verso il sesso. È proprio dalla percezione di quest’alone di repulsione che in tenera età va ad innescarsi quell’angoscia da cui prende le mosse tutta la teoria psichica successiva. È in quest’esperienza che l’individuo inizia a subire ed interiorizzare l’influsso etico e filosofico di un determinato sistema culturale e, tramite l’angoscia conseguente, a causare le rimozioni decisive nella determinazione del suo carattere, della sua futura sessualità.
   
      Questa manifestazione del carattere è interpretabile alla luce delle teorie psicoanalitiche come aberrazione dell’energia libidica sessuale distolta dalle sue mete. Il fatto che il fanciullo provasse «... angoscia dinnanzi ad una pretesa avanzata dalla sua libido - nella fattispecie l’amore per la propria madre -... » , che tale innamoramento gli apparisse «... come un pericolo interno (al quale deve sottrarsi rinunciando a quell’oggetto) solo perché esso evocava una situazione di pericolo esterno... (da cui la sua angoscia isterica n.d.a.)» deriva in tutto e per tutto dall’atteggiamento etico degli stessi genitori, dall’assimilazione dei primi fondamenti educativi tipici dell’ambiente culturale. Ma tutto ciò altro non è che la trasposizione concreta di assunti filosofici, di fattori intellettivi, culturali e concezioni etiche proprie di un contingente edificio culturale; nulla più. Pur nella centralità della sua funzione la pulsione sessuale mostra comunque un’infinita serie di sfaccettature, una complicatissima teoria di dinamiche psichiche da cui deriva infine la struttura psico sessuale dell’individuo. Pertanto dobbiamo attenderci che anche aspetti etici ed esperienze apparentemente insignificanti possano in realtà condizionare tali manifestazioni. Siamo dinnanzi a fenomeni psichici estremamente polimorfi e delicati, processi potenti a cui è associata una grande frazione di energia psichica. E tale energia dovrà assolutamente fluire, esprimersi, compiersi: ad un fiume si possono solo proporre alvei, percorsi, ma mai si potrà opporre uno sbarramento tale da contenere tutta la sua energia; il fiume traboccherà, sciamerà oltre gli argini, trovando comunque una via alternativa, e spesso devastante, verso il mare.
   
      Se tale è dunque la centralità delle pulsioni sessuali, la loro mutevole espressione nella determinazione del carattere, è lecito dedurre che il moralismo della cultura occidentale, disposta ad un fondamentale atteggiamento repressivo, di ostracismo nei confronti del sesso, pur tra mille paradossi, sia la causa prima di molte degenerazioni, perversioni, nevrosi, aberrazioni e ipertrofie della personalità dell’individuo. Questa fu la constatazione di Freud: lo studioso si trovò in grembo questa conclusione, scomoda, pericolosa quanto inevitabile, non appena la sua teoria delle nevrosi lo condusse alla consapevolezza di come e quanto la pulsione sessuale potesse scatenare indesiderabili e penosi effetti se repressa o rimossa dai suoi oggetti più inevitabili ed immediati.
   
      Ma rifacendosi ad opinioni comuni Freud mitigò, se non rimosse inconsciamente il significato di tale affermazione, accettando il pregiudizio che «... mediante questa deviazione di forze pulsionali sessuali dalle mete sessuali e il loro riversarsi su nuove mete - processo che merita il nome di ‘sublimazione’ -, si ottengono importanti componenti per tutte le operazioni della civiltà». In «Il disagio della civiltà» Freud illustrò anzi come questi processi avrebbero dischiuso all’uomo lo scrigno della civiltà, le sue luci e le sue ombre e collocò questa originaria acquisizione nella preistoria dell’uomo.
   
      Completando l’esposizione dell’influenza dei modelli teoetotomistici nella formazione della personalità psichica, non ci resta che sottolineare un aspetto: l’impossibilità dell’individuo posto in tali realtà di poter anelare, nei soli limiti della sua condizione terrena, all’autodeterminazione, all’esercizio della propria libertà etica. Ciò assolutizza irrimediabilmente una subordinazione etica dell’uomo, una condizione nella quale perde la speranza di poter esercitare ogni completa e responsabile autogestione della propria persona, essendo condannato ad un eterno stato subordinato, di non adulto,davanti a Dio.
   
      La presunta imperfezione, peccaminosità ed inferiorità di cui l’individuo si sente espressione contribuiscono infatti positivamente a rafforzare meccanismi come la fissazione edipica, lo sviluppo del Super-Io etc. Da queste dinamiche derivano gli stati d’ansia, le rimozioni, le nevrosi e le perversioni che dunque caratterizzano e pervadono – come dimostrò lo stesso Freud – le personalità di base tipiche delle società teoetotomistico classiste! In sintesi, un sistema teoetotomistico costituisce un contributo fondamentale nell’enfatizzare i meccanismi psichici in grado di originare le più dolorose nevrosi, le più sinistre perversioni della personalità a seguito dell’affermazione di principi con i quali l’uomo è sottoposto ad una frustrante distanza ontologica nei confronti della divinità, ad una congenita e indegna sudditanza etica, corruzione ed inferiorità.
   
      Al contrario, un modello religioso esprime principi etico filosofici in grado di ribaltare radicalmente sia l’ambito socio culturale che economico in cui si ha la formazione dell’individuo. Il modello religioso (B)e la relativa cosmologia IE sostengono infatti che:
   
      a) in grazia alla perfezione, onnipotenza, generosità e bontà della divinità creatrice, l’universo, opera della stessa, non può che riflettere nella sua globalità questi attributi. La prodigiosità, bontà e libertà di tale gesto si riflettono nella prodigiosità, bontà e libertà del creato. L’uomo, ente parimenti creato, è anche esso inteso alla luce di identiche prerogative di bontà e libertà;
         b) l’uomo è parte di una dimensione sovrannaturale alla quale potrà incondizionatamente accedere con pienezza dopo la morte; questo lo conduce a riconoscersi pienamente in un’essenza sovrannaturale e divina. Tale valenza trascende l’essenza naturale dell’uomo illuminandone l’esistenza e, superando l’evento disgregatore della morte, gli dona sin da subito la speranza di una intima partecipazione alla sfera sovrannaturale della divinità;
   
      c) tale essenza sovrannaturale può essere riconosciuta nel corso dell’esistenza mondana nella misura in cui l’individuo riesce a rendere tangibili i contenuti filosofici di quest’acquisizione intellettualistica, di questa fede, impostando la propria esistenza alla luce di una spiritualità profonda senza comunque subire alcun condizionamento etico – neanche dalla stessa divinità;
   
     d) ogni individuo allora ha diritto ad esprimere la propria essenza sovrannaturale attraverso l’esercizio dell’indipendenza etica e di gestire tale dono in autonomia ed armonia;
   
     e) la divinità non manifesta nessuna azione morale, censoria, nessun giudizio definitivo postumo nei confronti dell’uomo. Quel che è scontato per una teoetotomia, dove l’individuo, creatura fallace e peccatrice, è destinato a rimettere la propria autonomia etica fuori di sé, nel rapporto con la divinità morale, è dunque perfettamente assente nel contesto religioso. L’ideale religioso ricuce allora perfettamente ed in modo ineguagliabile la distanza tra queste figure, proponendone una similitudine, un livellamento – verso l’alto – che poi non si può che riaffermare in modo altrettanto perentorio tra uomo ed uomo, padre e figlio, uomo e donna, tra singoli uomini nel consorzio sociale e così via.
   
       E poi: l’autorità, la potenza, la grandezza filosoficamente attribuibili all’essere creatore non rappresentano un discriminante tale da sminuire, al confronto, la creatura umana. Ebbene, socialmente parlando ciò riveste un’importanza fondamentale poiché sancisce come tali qualità non possano essere causa, origine e giustificazione di una qualsivoglia differenza sociale tra uomo ed uomo. Così come l’uomo non è eticamente subalterno ad una divinità così non dovrà esserlo rispetto ad ogni altra entità o potere mondano.
   
       Quest’affermazione di principio della libertà e rispetto sacri per l’individuo, per ogni individuo, trascende e permea allora ogni aspetto contingente, sociale, naturale e si riversa in ogni relazione umana: il genitore non è, in quanto tale, superiore al figlio o così il marito alla moglie, e viceversa; un’autorità, un re, un capo sacerdote non hanno un ruolo superiore a quello dei suoi subalterni, all’uomo comune e nessuna collettività può sopravanzare il singolo. Cariche, titoli, status sociali, anzianità o diritti patriarcali e matriarcali, norme, consuetudini sociali, sesso e costumi non rappresentano più elementi di differenziazione e di subordinazione né sociale né tanto meno ontologica; siamo esclusivamente creature divine aventi diritto di essere ed esistere in piena libertà e responsabilità. Si noti come ciò esprima, di converso, una positiva disposizione della divinità per l’individuo. La divinità esprime considerazione positiva e rispetto per l’espressione etica personale della sua creatura, poiché essa, come ammette la Bibbia, è «... molto buona» (Gn 1,31)! Un altro aspetto decisivo è rappresentato dalla concezione della bontà intrinseca e non corrotta della natura di cui l’uomo è parte. Nell’ideale religioso si ha per definizione filosofica la possibilità di concepire l’universo quale oggetto immutato del prodigioso intervento originario della divinità creatrice, e non di una realtà che possa esser stata in modo postumo oggetto di un evento corruttore.
   
      L’ideale monoteistico solitamente collegato a tali sistemi fa risalire alla creazione, alla libera e cosciente volontà e potenza divina, l’origine di ogni sfaccettatura del creato. Di conseguenza l’uomo non è in alcun modo sottratto alla prodigiosità e perfezione della natura di cui è parte, e di cui rappresenta una delle possibili materializzazioni delle intrinseche disposizioni del Dio.
   
      Di conseguenza la comprensione della propria corporeità non contaminata, dell’appartenenza ad una natura incorrotta, segno ed espressione pura e originaria dell’intento divino, definisce un ideale in cui l’uomo esprime un’integrazione perfetta e sublime tra il suo nucleo naturale, il proprio intelletto ed il proprio spirito. Questi aspetti definiscono dunque situazioni sociali, affettive e culturali in grado di;  
        a) minimizzare le fonti d’angoscia che innescano le rimozioni psichiche da cui si origina la dinamica edipica;
   
     b) evitare esperienze capaci di sostenere positivamente la formazione ed una fissazione ipertrofica e durevole dell’istanza del Super-Io; al contrario di affermare contenuti filosofici capaci, col sopravvenire della fase adulta, di ottenere un riassorbimento, addirittura completo, del Super-Io da parte dell’Io (vedi fig. 7.1).
   
     c) dimostrare nei confronti della sessualità un atteggiamento responsabile ma affermativo e non repressivo che, impedendo le rimozioni di cui al punto a), permetta uno sviluppo sessuale armonico e continuo;
   
     d) negare, in forza dei propri principi filosofici, qualsiasi atteggiamento sociale autoritaristico sessuo repressivo, affermando valori e contesti socio economici e culturali caratterizzati  da una radicale avversione verso atteggiamenti aggressivi e competitivi;
   
     e) esprimere ostracismo verso quelle aberrazioni della personalità e dell’attività sessuale per contro diffuse e/o tollerate nei sistemi teoetotomistico repressivi classisti.

 Fig. 7.1

 In prospettiva del successivo tentativo di condurre l’interpretazione del Genesi, è interessante notare, in riferimento al punto c), lo sconcertante accostamento alla descrizione operata dall’autore del Genesi per commentare gli immediati effetti dell’aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male sui protoparenti: «... Si aprirono allora gli occhi di ambedue e conobbero che essi erano nudi; perciò cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture» (Gn 3,7). Questi brani rivestono un notevole significato specialmente se li si pone in confronto con la descrizione fatta, sempre in riferimento ad Adamo ed Eva, per descrivere il loro stato, di immagine e somiglianza di Dio, nella situazione antecedente al gesto della caduta: «Or ambedue erano nudi, l’uomo e la sua donna, ma non sentivano mutua vergogna» (Gn 2,25). Come si vede il riferimento ad influenze di tale trasformazione su aspetti collegati alla sessualità è immediato. E tutto questo, alla luce del pensiero di Freud – e questo è sicuramente una sorpresa – è ora immediatamente comprensibile. Ma tutto questo diverrà più chiaro dopo l’illustrazione di come sarà possibile ottenere un’interpretazione del Genesi in sintonia con quanto sostenuto sinora. Per concludere, le teorie freudiane sull’origine delle nevrosi, della scomposizione della personalità psichica, del complesso edipico e del ruolo della sessualità rappresentano un risultato di per sé geniale. Le deduzioni di Freud risultano però condizionate dalla contingenza socio culturale in cui sono maturate. Eppure, se opportunamente collocate, esse sanno sostenere una fondata analisi critica della società occidentale di assoluto risalto. Sembra che Freud, nella convinzione che la famiglia patriarcale occidentale rappresentasse il prototipo per eccellenza, universale, della famiglia umana, il superiore e più evoluto modello di istituto famigliare umano, si fosse sviato nelle sue deduzioni.  
         Per Freud le costellazioni sudditanza etica-autorità, devozione-affetto furono fondamentali nel contesto delle sue teorie, in special modo per quelle relative all’origine della credenza di una divinità morale. Egli intendeva il complesso autorità-subalterno come indifferentemente presente ad ogni livello dell’universo socio esistenziale umano, in tutta la storia della civiltà umana. A sua difesa, dobbiamo sottolineare come a quei tempi gli studi antropologici ed etnologici di altre civiltà erano impregnati di sufficienti pregiudizi etnocentrici. Ma in una nuova prospettiva critica, e su base di una diversa ricostruzione scientificamente valida, possiamo facilmente osservare quanto le influenze proprie di un sistema classista teoetotomistico quale la civiltà occidentale risultino negative rispetto ai sistemi religiosi, ove per contro sono attuati atteggiamenti educativi e principi filosofici non autoritaristici e non repressivi nei confronti del sesso rilanciando in modo nuovo l’argomento.
   
      Un dato di fondo che proviene da ripetute ricerche è che di norma in società primitive del tipo dei cacciatori raccoglitori, a fronte di un atteggiamento in generale comprensivo ed attento alle esigenze manifestate dal bambino nei confronti del sesso, sono riscontrabili personalità di base dell’adulto e strutture socio economiche volte all’affermazione di caratteri sociali positivi, come cooperazione, scarsa competizione nonché armonica vita sessuale. Non che l’atteggiamento verso il sesso in ciascuna delle sue direzioni sia l’unico fattore a cui ricondurre tali differenze; ma è indubbio il suo ruolo centrale nella determinazione di tali caratteri della personalità.
   
      Come è da attendersi dalla stessa teoria freudiana, la mancata attuazione di un atteggiamento sessuo repressivo dovrebbe rimuovere gran parte delle condizioni da cui si andrebbero ad innescare gli stati d’angoscia a cui sono ricondotte le dinamiche del complesso edipico e la formazione ipertrofica del Super-Io. Si potrebbe allora affermare che tale evento possa portare ad una dissoluzione naturale del fenomeno edipico, a di conseguenza ad una dissoluzione, nella fase adulta dell’individuo, del patologico ed ipertrofico Super-Io che deriverebbe da soluzioni negative o quanto meno problematiche delle dinamiche edipiche?
   
      Quest’eventualità risulta perfettamente realizzabile, ovviamente in opportuni contesi socio culturali. L’etnopsicanalisi moderna sembra corroborare tale ipotesi, seppur già nel passato vari autori avevano addotto elementi a suo favore. Già le ricerche di B. Malinowski portarono un sostanziale chiarimento sul fatto che il complesso edipico non deve la propria costituzione al solo aspetto sessuale, ma principalmente ad una componente autoritaristica che può essere presente in figure non identificabili con quella paterna, con il risultato che lo schema edipico può essere validamente disposto in costellazioni differenti da quelle postulate da Freud. Altri, come Erich Fromm, ripresero tale conclusione nel conte­sto di un condiviso atteggiamento critico della società autoritaristico patriarcale. Tutto ciò ci permette di concludere che nei sistemi religiosi si potrà auspicare la mancata formazione, od addirittura il riassorbimento dell’istanza del Super-Io. Quest’ultima evenienza sarebbe riconducibile ad una momentanea formazione infantile del Super-Io destinata a soccombere con la completa maturazione dell’Io adulto. Il principio egalitario dell’ideale religioso implica un riconoscimento addirittura divino dell’intrinseco valore positivo della persona umana e ciò è in grado di ostacolare eventuali spinte verso un’ipertrofia del Super-Io a causa della consapevolezza forte di un rapporto con la divinità in cui l’individuo può esprimere addirittura la propria indipendenza etica rispetto quest’ultima.
   
      Tale coacervo di principi filosofici ed i susseguenti aspetti educativi potrebbe poi inibire altri problematici processi psichici connessi alla sessualità. Ci riferiamo al caratteristico rafforzamento di alcune sublimazioni delle fasi pregenitali a cui fa seguito una particolare disposizione caratteriale, diffusa in modo rilevante nelle società teoetotomistiche sessuo repressive. In particolare alle degenerazioni sadico anali. Queste dinamiche furono interpretate da Freud, come profonde rimozioni che il soggetto andava ad erigere a seguito degli stati d’angoscia dovuti a esperienze – spesso di natura repressiva – vissute dal bambino nei due, tre anni di età  in relazione alle sue spontanee, ma per la società inammissibili, manifestazioni erotico sessuali.
   
      Questa relazione, specialmente per quel che riguarda le sublimazioni pregenitali, è largamente condivisa da autori come ad esempio Fromm, il quale spinse la sua critica della società occidentale in ambiti a cui Freud non si avvicinò mai nei corso della sua opera. Egli sottolinea come determinate realtà socio economiche, dunque determinati valori etici e filosofici, siano fondamentali per l’affermazione e diffusione sociale di sindromi caratteriali, vere e proprie architetture patologiche del carattere. In particolare egli evidenza come i sintomi della sublimazione dell’erotismo anale dessero origine ad una carattere contraddistinto da una spiccata parsimonia, alla propensione all’accumulo, all’ordine, all’ostinazione etc. Tali personalità sono inoltre contraddistinte da elevata distruttività, crudeltà, sadismo, adorazione di archetipi autoritaristici, ipocrisia, culto del potere, spersonalizzazione, disposizione positiva a collocazioni gerarchiche , al controllo ossessivo ed ad atteggiamenti repressivi caratteristici di società autoritaristico patriarcali sessuo repres­sive quali le società occidentali. Tale configurazione caratteriale sarebbe alla base di quell’aggressività che Fromm denominò maligna, di quella necrofilia di spiccata origine culturale da cui, a causa delle peculiari capacità intellettive dell’essere uomo e della sua singolare condizione esistenziale, avrebbe origine l’abnorme crudeltà e distruttività umana che lo stesso concluse non esser connaturata della natura umana. Scrisse Fromm: «Dando pure per scontato che non abbiamo una grande conoscenza diretta della psiche umana prima dell’inizio del Neolitico, vi sono, come abbiamo visto, buoni motivi per presumere che gli uomini più primitivi, a partire dai cacciatori raccoglitori di cibo fino ai primi agricoltori, non fossero caratterizzati da distruttività e sadismo.
   
      In realtà, le qualità negative attribuite comunemente alla natura umana si potenziarono e diffusero di pari passo con lo sviluppo della civiltà». Il carattere sadico anale, prodotto da una sublimazione dell’erotismo legato alle pulsioni di ritenzione-espulsione delle feci nel bambino, alla gestione di tale attività erotico sessuale, è caratterizzato da una progressiva attenzione ed accumulo di oggetti materiali, da un’autoconsiderazione sado narcisistica del proprio Io e rappresenterebbe un aspetto socialmente modale solo in associazione ad un determinato ambito culturale. Questi aspetti si riflettono pesantemente nel quadro socio economico della comunità, caratterizzandone profondamente le dinamiche in una chiave di competizione ed aggressività, feroce sfruttamento e senso di controllo, di possesso forte di tutto l’ambiente circostante.
   
      All’indagine etnologica questi tratti risultano assenti nei sistemi sociali come quelli dei cacciatori raccoglitori attuali, i più prossimi alle autentiche società preistoriche antecedenti alle società statali. Marshall Sahlins, studiando società di cacciatori raccoglitori, concluse: «Il cacciatore, saremmo tentati di dire, è un ‘uomo non economico’. Almeno per quanto concerne i beni non alimentari, è l’esatto contrario di quella tipica caricatura immortalata nella prima pagina di ogni trattato di economia. I suoi bisogni sono scarsi e i mezzi (relativamente) abbondanti.  
   
      Di conseguenza, è relativamente esente da difficoltà materiali...
» , non ha «senso del possesso...», rivela un «immaturo senso della proprietà...», è «completamente indifferente a ogni pressione materiale, manifesta disinteresse a sviluppare il proprio apparato tecnologico,... Non è che cacciatori e raccoglitori abbiano frenato i loro impulsi materialistici; semplicemente non li hanno mai istituzionalizzati... e forse proprio per questo dovremmo ritenerli liberi». Questa diversa configurazione caratteriale riscontrata nelle società selvagge, associabile ad atteggiamenti socio economici, principi filosofici e concezioni cosmologiche nettamente diverse da quelle delle società civili, sembrerebbe suffragare l’ipotesi che la mancanza dei fattori repressivi autoritaristici, od ancor più l’affermazione di principi radicalmente opposti, eliminando le cause di tali rimozioni e sublimazioni, non attuerebbe tali condizionamenti permettendo uno sviluppo psico sessuale immune da tali sindromi.
   
      Laddove l’ambiente culturale non esprime strutture e modelli sociali, filosofici e cosmologici rivolti all’affermazione di principi autoritaristici sessuo-repressivi, vengono infatti a mancare le cause delle rimozioni traumatiche, degli stati d’angoscia ascrivibili alle primissime e castranti esperienze del soggetto, in grado successivamente di originare la fissazione di tali tratti caratteriali e le involuzioni psico sessuali.
         Lo sviluppo di personalità di base contraddistinte da tratti come la sindrome sadico anale, caratteristica degli individui delle civiltà civili, gli eccessi distruttivi e sadici che tappezzano gli ultimi millenni della nostra storia, rappresentano dunque non il pedaggio per la civiltà quanto il frutto di una subdola e infausta trasformazione culturale.
   
      Il confronto tra i modelli metafisici delle teoetotomie e delle religioni pone dunque all’evidenza, in un’ampia sintesi scientificamente sostenibile, una diversa, antitetica influenza degli stessi sui meccanismi che influenzeranno lo sviluppo della personalità dell’individuo. I sistemi teoetotomistici, per la particolarità della funzione censoria che compare nella caratterizzazione della divinità e per la subalterna collocazione dell’uomo – inteso come ente inferiore e peccatore – nei suoi confronti, sottolineano la necessità di una continua tensione esistenziale, di una tenace e vigile repressione della presunta corruzione connaturata nella natura umana.
   
      Tali condizioni originano, a livello individuale e collettivo, influenze che a livello psicologico si traducono in un’abnorme e persistente attivazione di meccanismi psichici estremamente critici nella strutturazione della personalità. Aspetti e dinamiche psichiche come un esisto comunque irrisolto del complesso edipico esito, rimozioni abnormi e dolorose, un Super-Io ipertrofico e duraturo rappresentano cioè reazioni contingenti della psiche umana che solo in particolari contesti culturali, sociali ed etici assumono quel ruolo patologico e quella persistenza negativa indicate dalle teorie psicoanalitiche classiche.
   
      Per contro, nei sistemi religiosi la perfetta assenza nella figura della divinità di qualsiasi componente censoria e l’affermazione di una positiva collocazione dell’individuo dà spazio ad una antropologia nella quale il raggiungimento dell’autodeterminazione etica, della fase adulta, responsabile e libera, viene decisamente stimolato ponendo le basi per un’inibizione di questi degeneri processi psichici. Secondo questa interpretazione dunque, i principi filosofici associati a determinati sistemi sociali rappresenterebbero un nucleo decisivo della determinazione culturale del comportamento umano verso cui l’uomo deve rivolgere l’attenzione per gestire autenticamente la propria esistenza.  
         Tramite l’alterna disposizione dei diversi modelli culturali nei confronti della natura umana, questi valori possono incanalare la collettività o verso l’affermazione di atteggiamenti cooperativistici, tolleranti e non aggressivi, o verso forme socio economiche contraddistinte da un comportamento fortemente competitivo, autoritaristico e repressi­vo. La maggiore o minore aggressività manifestata nelle diverse strutture socio economiche sarebbe dunque riconducibile all’influsso di distinte istanze filosofiche.
E con questo abbiamo collocato l’ultimo tassello della base di evidenze e conferme sorprendenti, procedenti tutte, si noti bene, da autori che sinora sono stati intesi quali esponenti di punta del pensiero ateo, della nostra concezione dualistica, dicotomica, dell’universo del sacro.
   
      È singolare osservare come tutte queste teorie siano invece perfettamente collocabili in un contesto teistico e come tutti i maggiori argomenti di contrasto esistenti nell’ortodossa contrapposizione tra ateismo e teismo sono perfettamente dissolti, ad eccezione ovviamente del credere o meno nell’esistenza di un Dio creatore. Un argomento questo che non affrontiamo minimamente in questa sede, lasciando a ciascuno le proprie convinzioni, o meglio ignorando bellamente tale problema in prima battuta.
   
      L’ideale religioso, contrapposto a quello teoetotomistico, permette dunque di stemperare radicalmente la controversia ed ancor più di inquadrarla in modo assolutamente inedito. Esso si basa su aspetti fondanti delle scienze biologiche e psicologiche odierne e ottiene un sostanziale riscontro anche alla luce di teorie sociologiche quali il marxismo – evidentemente per quanto riguarda il solo problema religione e società.
   
     È ovvio che questi singoli aspetti possono e devono essere continuamente al centro di ulteriori conferme e affinamenti, o anche confutazioni. La psicoanalisi freudiana, l’evoluzionismo darwiniano e la sociologia marxista del fatto religioso hanno avuto nel passato ed avranno ancora davanti a loro, in quanto teorie umane, sicuramente un lungo periodo di dura verifica e affinamento. Così è e sarà inevitabilmente per ogni congettura scientifica o presunta tale formulata dall’uomo. Ma già solo il fatto di poter sollevare tali teorie dall’essere intese in modo fuorviante come strumenti di parte nel contrasto scienza fede potrà rasserenare gli animi di teologi – quelli non confessionali e dogmatici ovviamente –, scienziati e filosofi, e permettere una più serena disanima e valutazione oggettiva delle stesse. Il risultato che si è ottenuto è comunque significativo. Abbiamo una duplice collocazione dei concetti di credenza religiosa. Uno di questi è perfettamente in sintonia con le teorie scientifiche. L’altro in aperto e irrisolto contrasto. L’uno, (A), sostiene l’esistenza di un Dio morale e implica una osservazione etica dei suoi precetti ad un uomo subordinato alla legge divina. L’altro (B) sostiene l’esistenza di un Dio non morale e afferma la libertà etica dell’uomo addirittura rispetto a Dio. Il primo, (A), è potenzialmente e realisticamente all’origine di orrori, oscurantismi, sofferenze e sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di soprusi e violenze inaudite, di contrasti feroci tra culture, così come l’intera storia umana dimostra senza eccezioni. L’altro, (B), a noi sconosciuto nella prassi e filosoficamente sorprendente, è in grado di opporsi a qualsiasi sfruttamento dell’uomo sull’uomo ed è tipico di forme sociali in cui questo è ampiamente ostacolato – come ci dimostrano autentiche messe di dati antropologici ed etnologici. Al di là di questo aspetto, che comunque dovrebbe e potrebbe essere più che sufficiente, ovviamente, uno dei due è palesemente sbagliato. Ebbene: quale? (A) o (B)? Per alcuni il fatto che il secondo (B) goda di una coerenza con le teorie scientifiche potrebbe essere insufficiente per una decisione. Ebbene, quale ulteriore elemento, oltre a quanto detto, potremmo allora utilizzare per giungere ad una più ampia e ponderata scelta?Potremmo immaginare di verificare la bontà di questa inedita concezione... sottoponendo le nostre tesi ad un intento che a tutta prima si presanta quasi disperato. Un intento che, comunque sia, potrebbe mettere alla frusta la nostra concezione non nella limitatezza degli ambiti oggetto dell'indagine scientifca, quanto rivolgendoci all'ambito teologico per eccellenza: l'interpretazione di quei passi del genesi in cui si parla dell'origine dell'uomo e del peccato originale, argomento questo su cui addirittura la dottrina cattolica, come abbiamo accennato, confessa la sua impotenza esplicativa. Ebbene: la nostra concezione sembra poter riuscire dove gli altri, tutti gli altri, hanno sinora miseramente fallito, donandoci una interpretazione finalmente chiare e comprensibile, netta, la quale e questo è veramente decisivo potrà mantenere intatto il significato teologico a cui l'intero corpus biblico, VT e NT sono ovviamente dedicati. Dunque passiamo al Genesi.

  Capitolo VI°                                                                Back