CAPITOLO 2


CAPITOLO 11                 ____________                    Back    

 

Il Battista ed i Farisei

Nel 30 d. C. circa, in Palestina, un uomo semplice, parco, un eremita, appare dal deserto, luogo preferito dal demonio secondo le credenze ebraiche: «Indossava una veste di peli di cammello, stretta ai fianchi con una cintura di pelle; il suo cibo erano locuste e miele selvatico» (Mt 3, 4). Il suo nome è Giovanni, il Battista; chiama il popolo a convertirsi, ad un battesimo d'acqua e di penitenza, annuncia la prossimità del «Regno dei Cieli» (Mt 3, 1-13; Mc 7, 2-8 ; Lc 3, 2-18; Gv 1, 19-28).

Ed ecco che i Farisei ed i Sadducei corsero da lui. Chi erano costoro?

I Farisei: i «Separati». Fedeli, ossessivi osservanti della legge, della Tôrâh, esteriormente irreprensibili, assolutamente obbedienti anche alle più impalpabili sfumature della stessa. Tradizionalisti, conservatori, profondamente praticanti. Credevano nell'aldilà, che l'individuo sarebbe stato ricompensato nel «grembo di Adamo» o punito per l'eternità in relazione al suo operato terreno. Vivevano parcamente, secondo tradizione, rispettavano gli anziani, non erano arroganti, quanto profondamente moralisti. Questi sono alcuni tratti caratterizzanti della personalità dei Farisei tramandatici da Flavio Giuseppe.1

Da questa, pur sommaria, descrizione sembra emergere una immediata e profonda similitudine tra i Farisei e le classi medio agiate di una qualsiasi società teoetotomistica, come ad esempio le classi sacerdotali delle odierne teocrazie islamiche o le classi borghesi, mercantili, politico imprenditoriali della società occidentale connesse al calvinismo ed al protestantesimo che agli inizi del secolo scorso furono al centro delle critiche e pertinenti riflessioni di Max Weber.2

Nulla, al di fuori della particolarità del loro credo, li rende diversi dagli altri soggetti riscontrabili in queste altre realtà teoetotomistiche. I Sadducei rappresentavano per contro un'élite propensa ad accettare la cultura romana, sganciata dalle tradizioni, dei quali si riporta come il comportamento reciproco fosse «... in qualche misura selvaggio e la loro conversazione barbara, come se fossero stranieri l'un l'altro».3

Questa classe feudale si trovava al di sopra dei Farisei, classe media urbana. Alla base della società ebraica di quei tempi, ai piedi della scala sociale c'erano gli «Amha-aretz», la classe proletaria, dei braccianti e dei contadini, il «popolo della terra» che, come narrano le cronache dei tempi, si opponeva socialmente e politicamente ai Farisei ed al loro seguito. Questi ultimi erano poveri, disperati, emarginati. Odiavano i Farisei e venivano dagli stessi disprezzati. Vivevano in condizioni inumane: le loro donne venivano poste al più basso rango umano e sociale. Da questo proletariato proveniva una massa informe di delinquenti, ladri, ribelli e prostitute.

La Palestina di quei tempi era inoltre martoriata da continui tentativi d'insurrezione, repressi in bagni di sangue. La realtà sociale della Palestina sottoposta all'impero romano era dunque quella ogni una classica società classista, centralizzata, autoritaristico sessuo repressiva di tipo teoetotomistico, ove caste politico clericali, classi dominanti spesso senza scrupoli governavano e controllavano classi medie agiate, profondamente ideologicizzate e credenti, ed infine sfruttavano fino alla fame un proletariato ed un sottoproletariato ribelle e schiacciato.

L'equilibrio sociale tra Sadducei, Farisei e gli Amha-aretz, le tensioni tra queste classi della Palestina imperiale, rispecchiano dunque quelle tra le classi padronali, i vertici politici e clericali consenzienti, ed il proletariato che langue nelle repubbliche sudamericane, negli U.S.A., nelle economie di mercato del mondo occidentale quanto nelle tirannie degli stati africani, nelle dittature fasciste e nei sinistri ed «illiberali» società comuniste sparse nel mondo, passando dal Cile alla Cina maoista, dall'Ungheria alla Russia comunista che sorse dalla rivoluzione d'ottobre.

Il proletariato dei sobborghi di New York, Santiago, Bombay, Honk Kong, Manila, le popolazioni tibetiane e curde oppresse e avversate per decenni sino ai limiti del genocidio, gli emigrati meridionali del boom economico italiano del dopoguerra, dai «paisà» delle traversate oceaniche del fine secolo verso gli Stati Uniti sino agli extracomunitari che giungono alle nostre coste, tragicamente calcati su fatiscenti barconi; le minoranze etniche segregate nei ghetti di Los Angeles, massacrate in Caucaso, schiacciate nelle lugubri fabbriche dell'era industriale dell'inizio del secolo ed oggigiorno sfruttati da rapporti di schiavitù in molte parti del mondo4, i servi della gleba medievali e così dicendo, sono tutti paralleli storici del «popolo della terra» palestinese, degli Amha-aretz.

Ora, è singolare osservare come, sia il Battista sia poi Gesù, si scaglieranno contro i Farisei senza distinzione e con un'ostilità assolutamente singolari. Contro costoro Gesù scaglierà le sue più minacciose accuse; con singolare foga costoro si scaglieranno a loro volta contro Gesù. Essi polemizzeranno continuamente ed acerbamente con lui e cercheranno di contestare, controbatterne gli insegnamenti facendo continuamente riferimento alla legge della Tôrâh e, nel rispetto della stessa, infine lo manderanno a morte.

Il più profondo dissenso, la più profonda avversione di Gesù è rivolta proprio contro queste classi sociali, in blocco, così simili alle odierne classi dominanti, imprenditoriali, terriere, politiche, alle attuali borghesie, benpensanti ed ipocrite. «Razza di vipere» (Lc 3, 7-9) addirittura chiamava costoro il Battista quando questi si avvicinavano per essere battezzati. Perché questa genericità, perché questa dozzinale opposizione e questo atteggiamento così indiscriminato e nel contempo così settoriale? Il Battista non si rivolge a «certi» Farisei o «certi» Sadducei, ma a queste due classi sociali «in blocco». Più avanti Gesù si scaglierà con la stessa genericità contro il loro «lievito», le loro opere ed usanze. Perché? Perché poi quest'assoluta opposizione? Non sembra fuori luogo questa ostilità generica e dozzinale contro queste classi?

Rispetto al prudente fondamento, sempre attento alla valenza interiore ed individuale dell'uomo, all'attenzione scrupolosa per la valenza individuale di ogni singolo uomo, manifesti nell'intero messaggio di Gesù, che emerge dai suoi insegnamenti, questa generica opposizione rappresenta una evidente stonatura. Non è altresì singolare, per un Dio che vorrebbe liberare l'umanità dalla corruzione di un Male che sembrerebbe aleggiare al di sopra del singolo individuo o classe sociale, dalla macchia di un peccato che attanaglierebbe l'uomo al di là della sua appartenenza a classi sociali o ranghi politici, scagliarsi contro una intera classe sociale in un modo così… banale, qualunquista e superficiale?

È possibile, nell'ambito della nostra interpretazione, dare una risposta esauriente a questa palese incongruenza, a questa contraddizione?

In questi brani il Battista e Gesù si scagliano non contro degli esseri umani colti nell'unicità delle loro personalità, delle loro storie, delle loro esistenze, quanto contro i portavoce ed i rappresentanti di ideali socio culturali, contro individui accomunati solo ed esclusivamente dal loro esser espressione di particolari ruoli e valori socio culturali. L'aspetto interessante è che tali figure ed ideali sono le stesse che, concretizzatesi negli ambiti culturali e tecnologici delle varie culture storiche, sono riuscite, malgrado l'impressionante evoluzione avutasi nel corso della storia umana, a sopravvivere pressoché immutate dal Neolitico ai nostri tempi. Figure ed ideali socio culturali che sono tutt'ora propri dell'uomo del 2.000 esattamente come lo erano alle soglie del Neolitico, nelle prime civiltà centralizzate e teoetotomistiche del passato… e come parimenti lo erano nella società ebrea dei giorni di Gesù, del Battista.

Questi Farisei e Sadducei sono colti ed accomunati nella loro ipocrisia, attaccamento materiale, vuoto spirituale, falso virtuosismo morale, maschera di una malcelata personalità negativa ed una sessualità teoetotomistica evidentemente distorta e repressa. E questi sono profili di individui che ruotavano attorno alle concrezioni di potere, arpionati alle loro ricchezze terrene, ai loro patrimoni, alle loro stesse maschere, alla loro rispettabilità, al loro «rango» ed onorabilità sociale, quasi incapaci di ogni slancio autentico, di qualsivoglia atteggiamento realmente «genitale»: tutto comprensibile e facilmente rinnegabile, ma… del tutto simile a ciò che si può osservare nelle nostre attuali società.

«Sepolcri imbiancati», pervasi di ombre, fantasmi, colmi di immondizie, di scheletri e putrefazione, intrisi di paura. La Chiesa ci ha dipinto costoro come malvagi, increduli, «sordi» al messaggio d'amore portato loro da Gesù a causa della loro superficialità e della loro avidità, dell'ostinazione a voler restare attaccati alla loro esteriorità, ma non meno al loro credo ed al loro ipocrita perbenismo. Eppure tali figure dei Farisei, dei Sadducei, se viste senza la lente distorsiva di un'ideologia, ed ancor più di una tracotanza e supponenza di giudicare «le pagliuzze negli occhi» gli altri senza scorgere «le travi nei propri occhi», sono paurosamente simili a quelle dell'odierno cittadino delle nostre società occidentali, così cattoliche e protestanti al di là della laica facciata costituzionale.

Il «Fariseo» era l'individuo puntiglioso, tradizionalista, «per bene», attaccato alla sua proprietà, timoroso nel suo credo e nella sua società alla stessa, identica stregua di un odierno cattolico, musulmano, protestante; sottomesso, né più né meno, come ciascuno di questi, all'autorità sociale, al suo Dio teoetotomistico, e magari contemporaneamente despota e censore nel suo intimo verso gli altri, i subalterni – bivalenza caratteriale questa tipica dell'individuo medio di una qualsiasi società autoritaristico patriarcale.

Viveva nella legge, da perfetto cittadino, patriottico e laborioso, parco nei suoi bisogni, fiducioso nel riconoscimento sociale della sua esteriore onorabilità, della sua conclamata appartenenza al credo istituito nella sua società, di solito lo stesso credo che ha passivamente assimilato dai suoi genitori, dalla sua famiglia e lo stesso credo che si accinge ad inculcare – magari virtuosamente – alla sua discendenza, attento all'irreprensibilità della sua persona e della sua famiglia, accorto nella gestione della sua proprietà; premuroso con i figli, sottomesso ai suoi genitori. È padre e padrone nello stesso tempo, autoritario e sovrano sulla sua sposa, osservante scrupoloso della legge divina, servo fedele, ed addirittura attento studioso delle Sacre Scritture. Il fatto è che non è possibile scorgere in questi tratti sociali e caratteriali alcunché di particolarmente più fosco e di negativo – o di maggiormente negativo – rispetto ai tratti caratteristici dei credenti di un'altra, qualsivoglia dottrina teoetotomistica, nulla di singolarmente degenerato e di malvagio.

Sotto quale principio è dunque possibile accusarli in tal modo? Erano «soltanto fedeli alla loro legge, al loro Dio»: qualsiasi altro uomo, come loro perfettamente calato in un analogo contesto sociale, come loro scrupolosamente attaccato alle tradizioni, al credo della sua società, anche se costretto da una palese evidenza, non si allontanerebbe tanto facilmente dalle sue convinzioni, dalla sua fede. Si può verificare questo ogni giorno. Come disse Gesù «... nessuno chiede vino nuovo dopo aver bevuto quello vecchio, perché dice: “Il vecchio è migliore”» (Lc 5, 39). Una constatazione calzante, ma amara.

È preferibile dunque inquadrare da un'altra posizione, molto più esplicativa, il problema di questi generici atteggiamenti del Battista e di Gesù nei confronti di costoro. Un proponimento in cui torna alla mente il pensiero del Weber, le sue riflessioni, di taglio squisitamente sociologico, sui legami esistenti tra determinati sistemi socio economici, culturali e ben definite figure sociali.5

I Farisei ed i Sadducei rappresentavano le classi dominanti del clero, del tessuto economico urbano e, non meno, del sistema dei possedimenti terrieri della società ebraica. Classi sociali che concentravano nelle loro mani la quasi totalità del potere economico e politico della società. Erano «queste» classi sociali che determinavano l'economia, la distribuzione della ricchezza, dei beni, delle risorse e che controllavano poi militarmente, politicamente ed economicamente – magari in una certa sintonia e con l'avallo del potere imperiale romano – il tessuto sociale ebraico. Esse rappresentavano nella società palestinese del tempo l'amalgama delle concrezioni di potere autoritaristico, repressivo e sessuo repressivo tipici delle società patriarcali. Tramite loro viene effettuato il controllo e gestione locale, dettagliato, del culto e dell'economia, della cultura e della politica. Un controllo, ampio, fine, fatto di applicazione, zelante osservanza, presenza assillante in ogni parte del tessuto sociale, continuo e meticoloso impegno quotidiano.

È innegabile: il Battista si scagliò «solo» contro «queste» classi sociali, in blocco, con un'insolita foga e violenza; più avanti Gesù si opporrà, con altrettanto indistinto ed inaudito vigore, «solo» contro costoro, contro «queste» stesse, identiche classi sociali. Non contro «certi» Farisei o «certi» Sadducei, ma contro «i Farisei» tout court ed «i Sadducei» tout court, senza eccezione.

È evidente. L'attacco più veemente è mosso contro i più ortodossi rappresentanti della società ebraica, del potere politico economico di quella società teoetotomistico classista, esempio e prototipo del generico modello di cultura teoetotomistico classista. Gesù si oppose dunque con insolita violenza proprio ad un preciso modus vivendi, comunque collocando tale opposizione sociale nel contesto di un ben più ampio discorso teologico e filosofico, rivolto a permettere ad ogni uomo che accettasse il suo messaggio redentivo, la sua «lieta novella», l'approccio ad una concezione del trascendente… persasi nella notte dei tempi.

Quest'avversione feroce, così come compresa nel quadro socio filosofico e teologico che si sta qui accennando, assume la forma di un attacco inequivocabile nei confronti di un'etica teoetotomistica infarcita di esteriorità, tradizionalismo, materialismo e parsimonia, di propensione al paternalismo, alla repressione sessuale e sociale, ad un evidente culto psicopatologico dell'ordine – che, ricorrendo alla terminologia e la casistica psicoanalitico sociale, potremmo definire come tratti tipici di una profonda «analità» caratteriale, direttamente susseguente alle realtà socio culturali teoetotomistiche.

Il loro è un rifiuto netto e clamoroso dell'intero complesso di attributi patriarcali che fanno capo all'ideale teoetotomistico, alle società classiste da questo originatesi, di cui le figure dei Sadducei e dei Farisei non sono nulla più che i rappresentanti ortodossi; dunque un attacco netto all'espressione più pura di quella contingente realtà socio culturale contro cui Gesù si scagliò nella sua predicazione.

Un'opposizione questa che, finalmente, può essere intesa in una chiave di lettura, da una prospettiva a cui potrebbe essere elegantemente – e sorprendentemente per molti – riallacciata addirittura tutta la tradizionale critica «laica» che secoli dopo, sulla spinta delle ipotesi e teorie marxiste e freudiane, molti studiosi, filosofi ed intellettuali composero coraggiosamente contro la società paternalistico repressiva occidentale – e che è possibile rintracciare già nelle pagine della tragedia greca e di particolari correnti intellettualistiche e di pensiero del mondo antico.6

Un aggancio culturale che comunque non esaurisce l'intero senso del pensiero e dell'opera di Cristo, di quella sua «venuta» che il Battista, realizzando la profezia di Isaia, annunciò alle genti della Palestina preparando «... la via del Signore...» e raddrizzando «... i suoi sentieri» (Mt 3, 3; Is 40, 3-4). Cristo comporrà e manifesterà pubblicamente quest'opposizione nel contesto di una missione teologico metafisica inedita per l'uomo, che in alcun episodio precedente e successivo della storia umana ha avuto e molto probabilmente avrà mai pari.

Il messaggio redentivo di Gesù, il suo pensiero, andranno a stagliare agli occhi dell'uomo una visione filosofico teologica nettamente distinta da ogni precedente formulazione nota, una visione penetrante ed acuta come una lama, trasparente e rilucente come un diamante, fresca come l'acqua che zampilla da una sorgente, affinché chiunque si disseti con essa non abbia più sete.

Il compimento di antiche profezie, rappresentato dalla sua venuta, sembra esser stato il suggello di un'attesa snervante, ansiosa, misterica, che proprio in quei tempi ed in quei luoghi giunse al suo culmine. Così diceva il Battista: «Io, sì, vi battezzo in acqua perché vi convertiate; ma colui che viene dopo di me È più forte di me, ed io non sono degno di portarne i calzari; È lui che vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco; ha nella mano il ventilabro per mondare la sua aia; raccoglierà il suo frumento nel granaio e brucerà la pula con fuoco inestinguibile» (Mt 3, 11-12). Frasi queste che sembrano ammonire dell'imminenza di un evento da cui deriverà una discriminazione profonda, di un fatto eccezionale per l'uomo: «... il grano verrà separato dalla pula...».

Quest'ultima immagine, infine, è stata intesa, in un approccio esegetico prettamente teoetotomistico, come ammonimento per l'uomo dell'imminenza di un fine e supremo giudizio, della definizione di una «pietra di paragone» su cui ciascuno, nella propria individualità ed eccezionalità, si dovrà ineluttabilmente confrontare in relazione al suo futuro, alla sua sorte terrena, ma ancor più al suo destino d'oltretomba.

Proviamo a saggiare come questi passi possano assumere un significato quanto mai immediato ed esplicativo nella ben diversa interpretazione religiosa che si sta formulando. L'approccio teoetotomistico classico ha rappresentato sinora l'unico strumento interpretativo in grado di condurre un'esegesi dei vangeli con significativi connotati teologici ed escatologici caratterizzando e monopolizzando l'interpretazione degli stessi verso tale paradigma. Ebbene la modalità esegetica religiosa è in grado di condurci, sulla falsariga di quanto fatto sinora per il Genesi, ad un'interpretazione dei Vangeli radicalmente rivoluzionaria, in cui tali episodi possono mostrare un ben più coerente ma ben distinto significato, pur mantenendo uno spessore teologico ed escatologico non inferiore al precedente.

Quest'ulteriore approccio esegetico inquadra la figura, missione e pensiero di Gesù sullo sfondo di un'umanità piegata non da un'intrinseca corruzione ontologico spirituale della natura umana, in un universo dualistico in cui l'operato di una divinità negativa, opposta al Creatore, abbia condotto un'incrinatura ontologico spirituale gravissima, assolutamente esiziale per il progetto divino; bensì in un quadro monistico religioso in cui l'essenza sovrannaturale dell'uomo, anziché manifestarsi nell'esistenza terrena dell'individuo, risulta purtroppo mortificata, inibita culturalmente e psicologicamente, ineluttabilmente smarrita a causa del mero influsso di una realtà socio culturale ed economica negativa, originata dall'assuefazione e condizionamento ad una precisa accezione filosofico metafisica: l'ideologia teoetotomistica.

Questo nuovo approccio permette di focalizzare l'obbiettivo dell'opera di Gesù non nelle inconsistenti figure dei «malvagi», dei «peccatori», dei «corrotti» dal demonio bensì al «di fuori» dell'uomo: nelle strutture filosofiche teoetotomistiche.

In questa chiave di lettura si vede come Gesù mirasse a far risplendere di nuovo la divinità dell'uomo e non ad estrarre dallo stesso un misterioso, pneumatico cancro spirituale, insito nel suo stesso essere, nella sua degradata natura. Egli voleva mostrare all'uomo piuttosto la menzogna che l'uomo stesso aveva generato, una menzogna che aveva potuto ghermire l'uomo e alienarlo da una figura sfavillante di uomo libero, autonomamente libero anche e soprattutto davanti al proprio ideale del Sacro, di Dio. Infine voleva mostrare come liberarsi da quelle fuorvianti ideologie e riappropriarsi di quella libertà e dignità. E nel far ciò Cristo manifesterà continuamente di non voler assumere il profilo del paladino, di guida sovrumana, di sovrano dei «buoni», di loro tutore nei confronti delle angherie dei «cattivi», in una ulteriore visione dicotomica dell'uomo e della sua esistenza, in cui sempre e comunque opposte fazioni vengano irrimediabilmente separate da un baratro, da un netto confine; piuttosto indicare a «tutti gli uomini, al di là di origine, ceti e classi d'appartenenza, nazionalità» come affermare l'autentica natura di «Uomini religiosamente liberi» smascherando l'orrenda menzogna delle teoetotomie, gli abominevoli meccanismi che erano stati in grado di impedire, con la paura, il ricatto, tale prodigiosa conquista per ogni uomo.

Nel quadro di questo inedito taglio interpretativo dunque, questi brani, e quelli che seguiranno nella lettura dei Vangeli, assumeranno un diverso significato. Prendiamo ad esempio Luca. (Lc 3, 9 e 3, 16-17): «La scure è già posta alla radice degli alberi: ogni albero che non fa frutti buoni, sarà tagliato e gettato nel fuoco... Egli tiene in mano il ventilabro per separare il frumento dalla pula: raccoglierà il grano nel granaio...» etc.

In un'ottica religiosa tali brani, cui l'analogia con l'esposizione del Genesi, con gli «alberi» dell'Eden è strettissima ed intrigante, possono avere un distinto significato: ogni «frutto non buono» per l'uomo, ogni residuo e sporcizia, verranno «allontanati» dall'uomo, dal suo cuore e dalla sua mente: gli déi delle teoetotomie, il frutto della «conoscenza del bene e del male» verranno rigettati: la scure posta alla base degli alberi, di quest'albero, è un efficacissimo simbolo dell'imminenza dei tempi e dei contenuti.

Possiamo dunque lanciarci, magari con una sorta d'incoscienza epistemologica, in una interpretazione molto stretta quanto immediata e rivelatrice di questi brani. Ogni albero che porti frutti cattivi per l'uomo – ogni rappresentazione che corrompa l'animo umano –, verrà tagliato – abolito –, consumato, vinto. Colui che verrà donerà lo Spirito Santo – «la logica, le verità divine» –, pulirà la sua aia, raccoglierà il frumento, i suoi frutti – simbolo dell'abbondanza e della pace, della preziosità della vita – dopo averlo mondato finemente, col ventilabro, da tutta la paglia, dalla pula, che verrà irrimediabilmente bruciata.

Tutto ciò, seppur simboleggerebbe un'imminente, intima e netta divisione, non risulta rivolto all'uomo, direttamente ed individualmente, bensì a qualcosa che, pur essendo partorito dallo stesso, dal suo intelletto, lo va a sovrastare senza scampo «dal di fuori». Il grano, il fine ultimo dell'opera divina, l'essere cosciente ed indipendente, l'uomo simile a Dio creato a «sua immagine e somiglianza», verrà affrancato, diviso, liberato dalla sporcizia – la pula: il peccato, i falsi déi e le false metafisiche teoetotomistiche.

È dunque imminente una discriminazione profonda – «Disse allora Gesù: Per una discriminazione sono venuto in questo mondo: perché coloro che non vedono ci vedano e coloro che vedono diventino ciechi”.» (Gv 9, 39) –, discriminazione che, nella nostra accezione, dividerà le religioni dalle teoetotomie e darà all'uomo la redenzione mondana. L'uomo tornerà, con ben diversa pienezza, alla stessa condizione paradisiaca antecedente alla caduta ed il Male, inesistente, artificiale quanto subdola creatura dell'uomo stesso, verrà definitivamente sconfitto.

Si torna a ribadire come «togliere il Male» non implica necessariamente che si debba «sconfiggere una divinità negativa, il suo eventuale, malefico e sovrannaturale influsso in un formidabile scontro universale», bensì possa perfettamente intendere l'intento «scalzare – localmente – un preciso concetto cosmologico teologico dalla mente dell'uomo»: un risultato che richiede inevitabilmente – ed ecco una risposta alle domande poste nei precedenti capitoli sul perché di quella che abbiamo definito una «strozzatura escatologico soteriologica» – il concorso obiettivo, libero e cosciente dell'individuo, un gesto individuale di risposta ad una chiamata che coinvolgerà totalmente l'animo umano.

È facile a questo punto capire perché Farisei e Sadducei vennero respinti prima dal Battista, poi da Gesù, senza appello: essi si accalcavano gemendo presso questi ultimi non per rispondere a questa chiamata, «per capire», ma «per paura», esclusivamente per timore sulla loro sorte. Ecco la paura del giudizio divino, tipicamente teoetotomistica, l'angoscia per la loro sorte futura, la paura di perdere se stessi e tutto ciò che avevano.

Non dimentichiamo, come accennato, il clima storico di attesa di quei tempi.7 Il Messia era atteso, doveva venire, ma anche quest'attesa fu vissuta da costoro nel quadro delle loro stesse erronee e paranoiche visioni teoetotomistiche. Il Battista, Gesù furono sulle prime riconosciuti nell'ambito di queste attese e paure, di queste visioni apocalittiche. Solo il loro pavido «timor di Dio» – espressione questa che, progressivamente, comincia ad assumere un nuovo, intrigante e profondissimo significato –, la loro insana e castrante paura li portava da Gesù, da Giovanni; si avvicinavano a loro dunque «non per capire», vivere finalmente nell'amore, bensì «per salvare» le loro miserie terrene, il loro «Io», le loro anime, spinti dal terrore, dalla loro incapacità di sperimentare e vivere l'amore, nel solo intento, o meglio esigenza egoistica di salvare se stessi, il loro destino (Mt 3, 7).

Ebbene: costoro furono duramente respinti. Un aspetto su cui meditare…

 

Note:

1 Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche. - XVIII, 1-4.

2 Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1965; Max Weber, Le sette e lo spirito del capitalismo, Milano, Rizzoli, 1977.

3 Erich Fromm, Dogmi, gregari, rivoluzionari, Di Comunità Ed., 1980, pag. 32.

4 Kevin Bales, I nuovi schiavi. La merce umana nell'economia globale, Feltrinelli, Milano, 1999.

5 Max Weber, Op. Cit., [1965], pag. 258-308; David e Rosa Katz, Trattato di psicologia, Boringhieri, 1960; pag. 518; R. H. Tawney, La religione e la genesi del Capitalismo, Feltrinelli, Milano, 1967.

6 Erich Fromm, Psicanalisi della società contemporanea, Di Comunità Ed., 1980; Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Di Comunità Ed., 1982, pag. 123; Erich Fromm, Dogmi, gregari, rivoluzionari, Di Comunità Ed., 1980, pag. 209; Michel Cattier, La vita e l'opera di W. Reich, Feltrinelli, 1970.

7 Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, Club degli Editori, Milano, 1976, pag. 93 e ss.

 

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