CAPITOLO 3

CAPITOLO 21             ________________                    Back    

 

Il battesimo ed il deserto: le tentazioni.

Una tappa importante della vita di Gesù è rappresentata dal suo battesimo ad opera di Giovanni il Battista. Tutti gli Evangeli parlano di questo evento che rappresenterebbe l'inizio ed il riconoscimento ufficiale della sua missione. (Mt 3, 13-17; Mc 1, 9-11; Lc 3, 21-22; Gv 1, 33-34)

Tutti narrano in particolare della discesa delle Spirito Santo su Gesù «sotto forma di colomba».

Tralasciando le rappresentazioni poetiche, pittoriche di questo elemento esteriore, come potremmo interpretare tale magnifico evento nella sua essenza? Come decifrarlo?

Sempre seguendo la narrazione ed assumendo le ipotesi precedenti sulla sua natura e missioni teologicamente rilevanti, Gesù, a seguito di tale fatto, si troverebbe nella condizione di «possedere l'intera rivelazione dello Spirito Santo, dello spirito, della logica divina».

Un primo quesito: questo avvenne solo «da quel preciso attimo in poi»? Oppure no?

Sembra che sia valida quest'ultima posizione. Stando ai Vangeli dobbiamo infatti riconoscere a Gesù un suo esser sempre più partecipe, artefice e spettatore cosciente di un'esistenza eccezionale. Nascita eccezionale: poi, già a dodici anni, si narra come lo si trovi a discutere al tempio, con autorità, con i dottori della legge a cui, a quanto sembrerebbe, avesse molte cose da dire. Il tutto al cospetto di due genitori, ed in particolare di una madre che osservava stupita questi fatti, e nel silenzio, «... conservava tutte queste cose in cuor suo.» (Gv 2, 49-51).

Le notizie tramandateci dai Vangeli sembrerebbero allora farci optare per una lenta maturazione nei tempi e negli eventi della personalità e dello spessore sovrannaturale di Gesù: in questa chiave di lettura possiamo dunque concludere che egli giunse al battesimo del Battista «nella pienezza della presa di coscienza della sua eccezionalità».

L'incontro con il Battista sembrerebbe dunque un vero e proprio rito iniziatico, analogo a quelli che molte culture prescrivono come «rito di passaggio» per rappresentare la maturazione dei propri componenti – maschi e femmine che siano – e per scandire il loro inserimento nella comunità degli adulti. Ebbene, possiamo immaginare la collocazione di quest'evento da parte degli evangelisti alla stessa stregua di questi simbolismi, così ricorrenti nelle società umane – ed è ovvio che tale antropomorfismo è uno dei tanti elementi che, a ragione, possono essere presi in considerazione da una critica atea a determinate posizioni interpretative di questi testi.

È altresì ovvio che queste considerazioni, come minimo, vengono tenute sempre in considerazione anche in quest'intento, se non al fine di mantenere sempre e comunque vigile l'atteggiamento agnostico con cui ci si sta cimentando in questa vera e propria «simulazione esegetica».

Ma non ci si interesserà più dell'incontro col Battista. L'attenzione sarà rivolta ad un evento molto più importante nell'economia della nostra interpretazione: Gesù, illuminato dalla percezione di una divinità così totale, giunse dunque a ritirarsi, con un gesto vibrante e drammatico, nel deserto. Pervaso dalla sua oceanica, immensa valenza divina, iniziò, a partire da quell'episodio così fortemente pregno d'esteriorità, la sua missione mondana contraddistinta da portentosi e ben più significativi eventi. Così è stato tradizionalmente inteso quest'evento e così qui lo si intenderà.

Giovanni al battesimo dà la sua testimonianza esteriore, storica dell'eccezionale essenza di Gesù alle masse (Mt 3, 14). Maria, sua madre, più tardi, a Cana, ribadì quasi questo gesto spingendo per l'ultima volta, malgrado il rifiuto, la reticenza del suo «figlio», il «Dio-Gesù» alla grandezza ed al destino che gli competeva, trovando conferma ai sospetti di madre segretamente covati, per anni, nel cuore. Da lì in avanti Gesù non reciterà più alcun ruolo di «figlio» di Maria: divenne «autosufficiente», «indipendente», «adulto», «Uomo»: manifestò dunque la sua «Divinità».

Mettere in risalto la dinamica di una simile evoluzione spirituale, di tale «emersione» e manifestazione cosciente di quest'intima natura del Cristo non è semplice: i Vangeli sono vaghi, coosì come è vago congetturare «come» l'essenza divina entrò in quel corpo, nella sua materia. Si può solo notare, parallelamente a quanto visto per quel che riguarda la sua nascita, come la figura di Gesù sembra emergere lentamente dalle nebbie misteriose delle sue oscure origini. Aspetti questi, tutti, che interessano marginalmente. Da qui in avanti solo le sue parole, le sue parabole, i suoi gesti e le vicende della sua predicazione si presenteranno nitide e feconde a definire ed illustrare la logica, il pensiero, i valori di un «Uomo/Dio». E questo è quel che fondamentalmente ci interessa.

L'importante è questo: i Vangeli affermano solennemente ed all'unisono che lo «Spirito di Dio fu in Gesù». Egli ad un certo punto si sentì ripieno di Spirito Santo, maturo nella sua eccezionalità. Dopo il battesimo, che compì la missione di Giovanni il Battista, sconcertato dalla presa di coscienza di ciò, Gesù si appartò nel deserto a meditare profondamente, in solitudine. L'Uomo, il Dio che si era risvegliato in lui doveva percepirsi in completezza, coerenza e perfezione. Si ritirò allora in disparte dal mondo, dalla gente, solo col suo Dio, solo con se stesso: un atto di riflessione umano, molto umano: divino…

 

Il deserto

 

Un Uomo: solo, inebriato di umanità e divinità, confuso, sorpreso, perde il suo sguardo nell'orizzonte infuocato del deserto, tra ciottoli acuminati ed aspri rovi, rugiada cristallina, vento, sole ed ombre taglienti, sabbia e serpenti (Mt 4, 1-11; Lc 4, 1-13). Digiuno per quaranta dì, ebbe d'un tratto fame. Ed è a lui che si approssimerebbe il suo «avversario», il demonio: «Satana».

L'essenza negativa, oscura, orrenda che pervaderebbe l'universo secondo le teorie teoetotomistico dualistiche, si materializzerebbe dinnanzi all'emanazione perfetta del suo stesso creatore, del suo nemico incarnatosi in Gesù?

Lo Spirito delle Tenebre, del Male apparirebbe personalmente dinnanzi alla sua stessa opposizione sovrannaturale? Saremmo finalmente dinnanzi al titanico, epico confronto tra due opposte entità?

Ecco lo scontro finale? No! No? E perché mai?

Perché non sconfiggere «Satana», finalmente lì avanti, con un puro volere, con lo stesso «fiat» con cui furono creati il mondo, gli stessi angeli, ogni cosa, liberando con questo potente «fiat» la causa di tutti i mali del passato e la fonte di innumerevoli ed orripilanti mali futuri, sollevando l'intera umanità futura dai suoi malvagi influssi, l'universo tutto dalla presenza di questa entità negativa? Era forse Gesù incapace di farlo? Era forse un «Dio impotente»? Od era addirittura un «Dio ancora impotente», parzialmente maturo?

È ovvio che a tali quesiti – che qualsiasi teologo cattolico stigmatizzerà come semplicistici se non blasfemi – la sdegnosa risposta data sinora dagli addetti ai lavori è quella, già nota, inerente ad una nostra incapacità umana di «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore». Forse: ma, come già detto, questo non deve valere solo con chi eccepisce la posizione tradizionale, il dogma, ma anche per costoro.

In realtà non necessariamente è così. Forse la soluzione – niente affatto blasfema o minore – è che, molto semplicemente «nessun demone» si presentò, dato che, molto realisticamente, «nessun demone» esiste. Il fatto è che una concezione teologica rigorosamente monistica, letteralmente monoteistica… «non contempla quest'ipotesi» – parafrasando Laplace.

Nell'alveo della progressiva smitizzazione di ogni visione dualistica della realtà, del suo rifiuto a favore ad una visione monistico religiosa della stessa, è possibile decifrare questi brani ricorrendo ad un'interpretazione teologica diversa, ben più realistica, del tutto sufficiente a non intaccare lo spessore teologico e filosofico degli stessi, il loro ruolo, nel contesto della narrazione evangelica, nonché capace di rendere tutta la profondità, il senso di queste «esperienze» interiori di Gesù nel quadro della sua maturazione, della sua missione.

Cerchiamo di porci, per quanto possibile, nelle vesti di Gesù e d'interpretare, comprendere, se possibile, i suoi sentimenti, pensieri e sensazioni. Il disporci ad una tale «identificazione» psicologica, in analogia a quel tentativo di «simulazione teologica» che si sta conducendo, può essere un azzardo, un atteggiamento forse criticabile. Ma il livello generale con cui si condurrà tale identificazione ci porrà sufficientemente al riparo da qualsiasi eccesso.

Dunque, un Gesù sconcertato dagli eventi del suo battesimo, dai bagliori interiori di una prodigiosa maturazione spirituale, fors'anche non del tutto compresa, si appartò da tutti e da tutto, nel deserto, a meditare, riflettere, completare l'assimilazione di un evento grandioso: il riconoscimento pubblico, ufficiale della sua maestà divina ad opera di uno sconosciuto, il Battista, di quell'uomo temuto e riverito che aveva calamitato le masse nel deserto con l'annuncio di un'impellente maturità dei tempi, di una grandiosa venuta: la sua.

Come non immaginare, nel condividere un comune essere uomini, la possibilità che le sue percezioni intime, individuali, interiori, possano essere scosse da un suggello esterno, da un riconoscimento seppur ancora nebuloso, da parte delle persone che lo videro, lo toccarono, lo ascoltarono, di tutti gli spettatori di quell'episodio grandioso e clamoroso.

Egli sentì allora le sue membra, il suo spirito, pervasi da qualcosa di parimenti grandioso, eccezionale, sconfinato: divino. Gesù si approssimò dunque, - forse per la prima volta nella sua vita -, a percepire con «completezza e pienezza» il suo essere Dio. Egli si sentì totalmente, coscientemente, perfettamente Dio.

Compressa nella finitezza del suo corpo, la sua divinità interiore gli si manifestò pienamente, pubblicamente, sfuggendo quasi dalla sua pelle, dalla finitezza del suo cervello, della sua psiche, dei suoi sensi. La sua incredulità, il suo scetticismo, dovettero inchinarsi all'evidenza dei fatti. Era «Dio», era «Uomo».

Gesù dovette dunque conciliare queste due essenze, le forti pulsioni e sensazioni che da esse procedono, in una comprensione armonica, obiettiva delle due nature, degli infiniti slanci dello spirito divino e dei legami e dei retaggi del suo essere uomo, totalmente «Uomo».

La sua divinità scintillante, pura, perfetta, fu investita dei miti, dei segni, delle pulsioni più profonde della natura umana, degli incubi, degli aneliti ancestrali dell'animale uomo, degli archetipi e delle rappresentazioni più universali della psiche umana. L'anelito fondamentale, peculiare dell'«Uomo», di dimenarsi dai vincoli dell'esistenza, dall'angoscia delle propria miseria e della propria finitezza, si aggrappò disperatamente alla natura divina che era fiorita in lui.

Proviamo ancora a calarci in questa condizione, immaginiamo di sentirci in possesso di poteri e conoscenze sovrannaturali, sconfinate. Cerchiamo magari per un attimo, ma con fiducia, ma con somma prudenza, di calarci in questi panni; «se» Gesù era totalmente, come noi, uomo, condivideva la nostra natura completamente, «allora» possiamo ipotizzare di comprendere tutto ciò, di sperimentarlo nell'unica, irripetibile occasione che abbiamo, nel corso della nostra esistenza terrena, di conoscere, sperimentare l'essere uomo in prima persona dal «di dentro»: nel nostro individuale, diretto essere uomini.

È sconcertante come i sentimenti, le spinte ed i pensieri che si potrebbero affollare nella nostra mente possano essere simili, prossimi alle tentazioni che, secondo la narrazione dei Vangeli, si affollarono in Gesù durante il suo digiuno nel deserto. Il desiderio di gloria, di potere, la bramosia di ricchezze smisurate, di soddisfare senza limiti le esigenze personali materiali, di vincere il dolore, la natura, la forza di gravità, di conoscere gli orizzonti posti oltre l'orizzonte, di vincere la morte: tutti i miti ed i sogni più universali dell'uomo convergono su questi desideri e pensieri, tutti gli sforzi dell'uomo si perdono, si risolvono lungo quest'itinerario.

Dalle figure degli Déi presenti nelle più lontane e primitive culture umane alle attuali leggende sui dischi volanti, dalle più fantasmagoriche credenze dell'oltretomba ai paradossali poteri del re Mida, dal sogno irrealizzabile di una tecnologia che vince la natura, il dolore, la senescenza, alle paranoiche e banali visioni di sedicenti clonazioni raeliane, al profondo ed inconscio desiderio di ciascuno di ritrovare nel suo presente, nel suo futuro quel senso di protezione e sicurezza che procede dalle sue reminiscenze dell'infanzia, della propria esistenza intra uterina: tutto ciò coagula in questa universale utopia umana. Sogni e desideri comuni, quotidiani, umani, che, proprio per questo, anche Gesù sperimentò, dovette necessariamente affrontare in forza del suo spessore umano e che tuttavia superò in forza di una percezione di divinità che lo portò al cospetto di qualcosa di ben più profondo, assoluto, autentico e perfetto: l'Amore.

Gesù percepì e comprese l'orrore della condizione umana nei sistemi teoetotomistici, il disagio e la sofferenza dell'uomo, di una creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio e poi scagliata, suo malgrado, in una situazione esistenziale indignitosa, dove vede distrutta la sua spiritualità, alienata la sua individuale libertà; percepisce altresì la sua intima natura, sente intimamente di essere in grado di sollevare l'uomo da ciò, comprende il senso ed il significato della sua missione.

Una missione che gli si delineò con tutti i suoi interrogativi, i suoi timori, all'orizzonte, alla luce sinistra di una sua tragica pazzia o sogno insano. L'esigenza di condurre a termine quest'opera lo ghermì, lo scosse da lì al tormento del Gethsemani, all'orrendo martirio del Golgota, al suo estremo, crueto sacrificio, lungo un itinerario in cui comunque distese, mostrò totalmente la sua divinità e nel contempo la sua umanità: ovvero proprio quell'unione tra corpo e spirito che le teoetotomie avevano inficiato e distrutto, alienato all'uomo.

Essere «Uomo», amare, non poteva prescindere dal liberare gli uomini dall'oppressione e la divisione causati dalle teoetotomie, voleva dire far riemergere in tali creature quell'«immagine e somiglianza di Dio» persasi nel passato. Voleva dire conoscere l'uomo, se stesso, liberare quest'ente creato, coronare una missione «divina».

Non c'erano alternative. Sapeva che «bisognava» farlo, che «doveva» accettare di farlo, al di là di ogni suo tentennamento, incredulità, auto ironia, amor proprio, timore… e lo fece. Ma doveva, prima di tutto, conoscere: conoscere l'uomo, l'«Uomo», conoscere se stesso, indagarsi.

Solo così poteva mostrare, manifestare l'«Uomo» all'uomo, a tutti gli uomini.

L'«Uomo»: macabro scherzo della natura in cui due nature antitetiche, spirito e carne si contrappongono irrimediabilmente, opponendosi drammaticamente l'una l'altra, o piuttosto perfetto amalgama, armoniosa coesistenza di due distinte, ma concilianti, nature in un' unica entità?

La carne necessita di cibo, contatto, calore, sesso, vita; lo spirito conduce all'assoluto, alla verità, alla chiarezza, alla malinconia, all'Amore.

Ed ecco allora tre folgoranti risposte, dense di spiritualità, armonia, umanità:

«Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.»; (Mt 4, 4)

«Non tentare il Signore Dio tuo.»; (Mt 4, 7)

«Adorerai il Signore Dio tuo e solo a lui presterai culto.»; (Mt 4, 10)

Tre capisaldi filosofici interiori in grado di coacervare perfettamente carne e spirito: non una semplice, riduttiva ed incontrollabile repressione di pulsioni, ma un loro delicato amalgama.

Lo spirito si pone al centro, alla «guida» del corpo, illuminando l'esistenza dell'individuo non dall'apice di un soggiogamento assoluto della carne, ma alla luce della chiarezza, dell'armonia, della purezza con cui, nello spirito, si può comprendere la vera dimensione ontologica dell'individuo, la sua splendente collocazione dinnanzi al suo Dio, alla sua esistenza, agli altri uomini.

Tre risposte, di già in grado di indicare efficacemente i contenuti filosofici del pensiero di Gesù, che attingono ulteriore vigore anche dalla considerazione del contesto in cui sono inserite. Le tre «tentazioni» contengono in nuce i tre più universali archetipi umani: il sogno dell'esaurimento illimitato dei bisogni materiali, quello del superamento dei limiti e dei vincoli naturali della propria natura, il sogno della gloria, della potenza suprema.

Come si vede non è affatto necessario, al fine di comprendere appieno il senso di queste «tentazioni», ricorrere alla figura personale del principe del male, di questo satanasso repellente. Applichiamo dunque il rasoio di Ockham.

Basta indagare nell'animo umane per trovare le fonti di queste «spinte»; basta osservare la condizione umana per capire l'origine di questi mitici desideri. Ma basta scendere nello spirito umano, nella parola di Gesù, per trovare risposte piene, gratificanti ed esaustive a questi radicali, profondi aneliti universali ed eterni dell'essere umano.

Per comprendere e superare l'anelito di gloria, del potere, è sufficiente individuarne l'origine psicologica; un mescolamento, benché potente e spesso inconscio, anche di dilemmi esistenziali sicuramente irrisolvibili, ma che assumono aspetti indesiderabili principalmente nel loro esser spesso espressione di spinte narcisistiche, di irrisolti legami affettivi, di fissazioni «immature» proprie dell'alba dell'esistenza di ciascuno. Reminiscenze di mai sopiti o irrealizzati desideri di dolcezza, amore, dell'essere al centro dell'attenzione delle figure materne e paterne, persi sin dall'infanzia e magari acuiti dall'estrema freddezza e distacco degli eventi e rapporti interpersonali propri della vita.

Gesù, tentato dalle sue stesse idee, dalle ambizioni e dai sogni umani da lui stesso condivisi nel suo «spessore» umano, risponde a tali spinte con l'accettazione e l'attuazione della «naturale» logica umana, del suo intelletto «umano», col raziocinio ed il rigore della logica «anche» umana.

Per «superare» i naturali aspetti dell'esistenza terrena ed aspirare concretamente all'assoluta libertà, al senso di assoluta libertà da ogni costrizione fisica ed ontologica dell'essere uomo, è sufficiente l'idea di superare fideisticamente, in un'opzione religiosa, l'evento della propria morte, impregnando l'esistenza terrena di quel senso pieno di trascendenza, di divinità che solo quest'ultima sa dare, e per ottenere questo occorreva l'affermazione della parola e della figura di un «Dio» non morale ed autoritaristico: proprio quel che Gesù era e doveva ineluttabilmente mostrare, manifestare.

Una percezione del trascendente che non prevarichi l'incedere «naturale» della vita, dell'esistenza, il dipanarsi consono della natura degli eventi e delle scelte a cui ciascuno è chiamato ad essere artefice e spettatore, ma che si «agganci» ad una visione della realtà, ad una «percezione» dell'esistenza oggettiva, razionale e naturale capace, nel contempo, di impregnare quest'ultima dell'immensità, dell'infinito che sgorga dal nocciolo sovrannaturale, divino che è in ciascun «Uomo».

Una percezione dell'esistenza, di se stessi e degli altri, positiva, dinamica, aperta, pronta a librarsi sugli arditi spunti dell'intelletto con sentimenti profondi e puri verso la perfezione interiore, congenita, del nostro essere perfettamente «Uomo» pur nei nostri limiti naturali. Puri e splendenti come un diamante incastonato su di una pietra nera. Una perfezione che dunque tracimò in Gesù nel suo ritiro spirituale nel deserto colmandone lo spirito ed indicandogli, senza equivoci, il suo destino, la sua missione, l'unicità, la «completezza» e la singolarità della sua essenza, del suo essere nel mondo, del suo essere «Dio» e «Uomo».

Così purificato Gesù tornò dal deserto agli uomini, per dar compimento alle sue visioni, ai misteriosi bagliori dei profetici eventi che lo stavano introducendo nella storia umana, a quelle Scritture antiche, che dalla notte dei tempi avevano affidato all'uomo una flebile traccia, una sottile speranza.

In silenzio, in solitudine, così come era giunto, s'incamminò verso il suo destino, verso quell'angosciante, raccapricciante urlo di dolore con cui andrà a compiere perfettamente la sua irripetibile venuta.

 

CAPITOLO 41- prima parte                                                                                             Back