Capitolo V° capitolo VI° Back
Ed
eccoci giunti finalmente al libro della Genesi.
Cerchiamo innanzi tutto di fare il punto su quale
base concettuale possiamo contare nel nostro
intento. La nostra concezione del fatto religioso
è qualificata da una serie di importanti
contenuti. I primi due, di rilievo principalmente
scientifico, sono i seguenti:
1)
risulta fortemente concordante con le odierne e
riconosciute ricerche sulla storia delle
religioni, che hanno permesso uno studio obiettivo
e scientificamente valido, basato su numerose
convalide da parte di discipline quali
l’antropologia culturale, l’etnologia, la
paleo etnologia, delle forme religiose diffuse
nelle culture umane sia attuali che del passato e
ancor più di ricostruire gli aspetti fondamentali
dell’origine delle manifestazioni religiose nel
genere umano.
Ma,
oltre a queste importantissime caratteristiche, la
nostra interpretazione è significativamente
impreziosita dal presentare inquietanti quanto
sorprendenti concordanze ed affinità –
ma ancor più capacità esplicative inedite del
fatto religioso – nei confronti delle tre più
importanti basi del moderno pensiero ateo, o
agnostico ma comunque avverso al sacro, alle
odierne dottrine religiose. La nostra particolare
ricostruzione di un universo religioso diviso in teoetotomie
e
religioni,
ci permette di contare su una
base interpretativa estremamente potente, capace
innanzi tutto di vanificare, con la conseguente
rivalutazione dei contenuti del modello religioso,
le critiche delle tre delle maggiori obiezioni
poste dall’ateismo moderno all’ideale teistico
facendo addirittura propri – ed in un contesto religioso!
– l’evoluzionismo di Darwin, il marxismo
di Carlo Marx e la psicoanalisi di Freud. Fatto
questo che conduce ad una radicale revisione
dell’intero confronto dialettico tra ateismo e
teismo.
Forte
di questo decisivo e sorprendente contributo, la
nostra proposta interpretativa riesce infatti a
rivolgere gli oggettivi, e condivisi, contenuti di
queste correnti di pensiero non più in modo
generico e inefficace verso il teismo in quanto
tale ma verso una particolare forma di involuzione
religiosa: le teoetotomie. Questo ci permette di
includere la potenza e la fondatezza di
queste obiezioni tra gli elementi di risalto
assoluto dei modelli religiosi nei
confronti delle teoetotomie.
La
possibilità di includere perfettamente la
filosofia evoluzionistica nell’antropologia
espressa nell’ipotesi religiosa ci
permette di contare su di un modello teologico in
cui l’origine dell’uomo è riconosciuta senza
alcun problema procedere da un continuum di forme
in cui è possibile intendere il profilo umano
quale espressione naturale e libera di un
progetto creativo dedicato all’emersione di enti
coscienti che, proprio in forza di questa naturale,
libera disposizione, possono rappresentare la
frazione del creato che assume il ruolo di naturale,
libera interlocutrice d’elezione del
creatore. Ovviamente questa particolare concezione
richiede una revisione di molti aspetti secondari
della classica riflessione filosofica e teologica,
come ad esempio della natura sovrannaturale
dell’uomo, del come e perché questa valenza
possa emergere nel mondo inanimato prima e animato
poi e via dicendo. Ma questo non è un problema
per chi si appresta ad una rivoluzione di ben
maggior portata dell’intera architettura del
teismo. Ecco il messaggio di
Darwin: siamo stati
originati da dinamiche libere: come libera è
di essere la natura, così deve totalmente
libero di essere sia ogni uomo.
I
contributi degli altri due autori, Marx e Freud,
ci permettono poi far riecheggiare un simile
messaggio ma in più di contare su due ulteriori,
fondamentali analisi del fatto religioso, capaci
di chiarirci in modo sconcertante il vero ruolo e
significato dei fenomeni socio culturali e
psicologici coinvolti nell’espressione del
sacro. Dai lavori di questi due veri e propri
giganti, opportunamente sottoposti alle revisioni
di cui abbiamo parlato, otterremo allora le chiavi
d’interpretazione dell’autentico significato
dell’evento della fantomatica caduta biblica dei
capostipiti Adamo ed Eva.
Freud
a sua volta ci fornisce addirittura la
chiave d’interpretazione
psicologica,
gli strumenti
interpretativi necessari per comprendere il
meccanismo psicologico alla base di tale
trasformazione: quali
dinamiche psichiche profonde, interiori, individuali scuotono
e investono l’uomo coinvolto da tutto ciò, e come queste dinamiche interiori
possono manifestarsi
all’esterno, nell’ambito sociale,
spesso in modo negativo e patologico.
Su
queste basi possiamo allora interpretare
quest’evento misterioso con contenuti
decisamente concreti e verificabili, essendo
possibile collocare quest’infausto fatto in un
ambito decisamente terreno, tangibile e
verificabile senza invocare, in ossequio al rasoio
di Ockham, l’intervento di improbabili quanto
inutili interventi di principi od enti
sovrannaturali.
Penso
però che a questo punto sorga un interrogativo:
«Ma se la traduzione di questo evento è
riconducibile a fenomeni e fatti comunque terreni,
concreti, niente affatto sovrannaturali, non si
smarrisce inevitabilmente quella sacralità,
quella valenza sovrannaturale ed assoluta che le
passate letture attribuivano sia a questo evento,
ma in generale all’intero contenuto biblico? Se
tutto è riconducibile a contenuti mondani,
sociologici ed eventualmente psicologici, non si
smarrisce ogni universalità e sacralità? Quale
potrà risultare ad esempio la successiva tematica
evangelica? Perché il messia, Gesù? Cosa
andrebbe a significare la sua figura, la sua
missione ed il suo sacrificio?»
In
realtà possiamo dimostrare che la nostra
interpretazione non lede in alcun modo il risalto
universale, la sacralità e il senso complessivo
della teologia biblica, il messaggio di salvezza
evangelico o quant’altro anche alla luce della
sua chiave d’interpretazione, assolutamente
mondana, concreta e tangibile. Solo una
precisazione: si è perfettamente a conoscenza del
fatto che è in corso una diatriba feroce in
merito all’analisi e riconoscimento dei testi su
cui si baserebbe la narrazione evangelica in
particolare. Il problema dell’origine ed
autenticità dei vangeli sinottici, le accuse di
falsificazione storica da parte degli ambienti
ecclesiastici e quant’altro infuocano oramai da
secoli spesso con punte di tragica violenza. Il
nostro intento, che si completerà con un
successivo lavoro – attualmente in completamento
–, si caratterizza non nel sottoporre ad
analoghe critiche i testi ammessi dalla tradizione
cattolici, ma nel dimostrare che pur ammettendo
– per assurdo –la loro autenticità è
possibile contestare con dovizia di evidenze le
conclusioni della dottrina cattolica enucleando
conclusioni assolutamente antitetiche – ma
scientificamente validabili!
La nostra strategia è dunque quella di condurre una
critica dall’interno. L’intera dottrina
cattolica è abituata
a dover fronteggiare attacchi provenienti dall’esterno, condotti o da chi pone in
dubbio i suoi aspetti fondanti più generali –
vedi l’ateismo – o da chi pone in dubbio –
di solito su base storica e archeologica –
l’autenticità della base testuale adottata del magistero. Ed il magistero di
conseguenza ha affinato le armi – e purtroppo
non sempre in modo metaforico – contro
questi attacchi. Ebbene, noi non ci si pone
minimamente in quest’ambito di critica: si s’
cercato anzi di ammettere – seppur per
assurdo, come si fa nelle dimostrazioni dei
teoremi matematici – l’autenticità di tale
base testuale, con tutto quel che questo comporta:
accettare l’eventuale natura divina di Gesù, la
sua nascita virginale – anche omettendo il fatto
che a quanto sembra di divinità nate da vergini
il mondo della mitologia è pieno – , la sua
passione e resurrezione. Il punto importante è che
anche ammettendo questo è possibile trarre da
quei testi un messaggio che non è solo variabile
così
come ad esempio troviamo affermato nelle varie
confessioni nate su questi libri –
protestantesimo, chiesa ortodossa etc. etc. – ma
decisamente opposto a quanto si è sinora
sostenuto.È come se, ascoltando i resoconti di due lettori di un identico testo ci si trovi di fronte al primo che riferirebbe di aver letto «I promessi sposi» mentre l'altro «2001: Odissea dallo spazio». È evidente che o entrambi hanno mancato il vero contenuto del testo, il che è possibile... o che uno dei due è in errore. Dobbiamo solo stabilire chi. Come? Analizzando il testo con strumenti imparziali.
La nostra finalità è
dunque
dimostrare, pur ammettendo quella base testuale,
l’obiettiva inconsistenza dell’interpretazione sinora
data. Dunque si hanno ipotesi dai contenuti
letteralmente opposti in competizione sulla
stessa base. Popper ci ha insegnato come in questi casi sia
opportuno condurre la valutazione delle stesse.
Il contrasto è dunque deciso e caustico. Ed i risultati di questa
competizione interna altrettanto.
La cosa sconcertante è che con questa critica,
fondata come detto su aspetti scientifici e anche su
spunti propri della critica laica, deriva un
risultato inatteso: la convergenza tra i
fondamenti teologico filosofici di tali testi e
concezioni scientifiche e filosofiche che solo
recentissimamente sono diventate parte essenziale della
conoscenza umana. Un risultato che ha veramente
dello sconcertante.In biologia c'è un dato assoluto che è opportuno tenere in mente: la maggior selezione naturale si osserva sempre tra organismi che competono per la stessa nicchia ecologica. Assurdo tutto questo? No.
In
realtà il mito della caduta originale ci illustra
il sopravvenire di un infausto e ben documentabile
degrado: degrado nella percezione che l’uomo ha
di sé e del creato, un devastante degrado che andò
a sconvolgere il sentimento religioso dell’uomo,
permeando poi tutti gli ambiti che segnano
l’esistenza umana, da quello filosofico
teologico a quello socio economico, a quello socio
affettivo interiore, precipitando l’uomo in una
condizione indegna e penosa, in cui andrà a
smarrire la sua qualità più eccelsa e
significativa: quella di essere libero di vivere
quale «immagine e somiglianza di Dio» a
causa di quell’evento che intaccò disgraziatamente il suo originario e gratificante
rapporto con Dio.
Questo
costituì la caduta umana: l’aver smarrito il sublime e assoluto, dignitoso saper
guardare Dio negli occhi. E come questo accadde, e
perché lo potremo ora capire grazie alla
possibilità di salire sulle spalle di tali
giganti: Darwin, Marx e Freud.
Per
sottolineare la peculiarità della nostra
interpretazione ci confronteremo con
l’interpretazione cattolica dei primi tre
capitoli del Genesi, la quale incarna le posizioni
ortodosse di tutte le confessioni che fanno
attualmente riferimento a tale testo. Essa costituisce il
prototipo perfetto di un’interpretazione di tipo
teoetotomistico (A) legata ad una
concezione creativa DDF. Il classico ed
annoso contrasto scienza–fede verte proprio sui
problemi sollevati da questo tipo di
interpretazione. Vedremo ora come
un’interpretazione religiosa (B)
connessa ad una concezione IE dei primi tre
capitoli del Genesi risolva egregiamente tutti
questi problemi.
Dei
quarantasei libri del Vecchio Testamento il libro
della Genesi (79) assume un’importanza
fondamentale per tutta la tradizione teologico
letteraria basata sulla Bibbia. Se volessimo
sintetizzare esaurientemente i fatti che secondo
la visione cattolica sono alla base dell’intera
teologia biblica, dovremmo evidenziare i seguenti
punti:
b)
Caduta ontologica dell’uomo;
c) Progressiva manifestazione
riparatrice di Dio culminante nella venuta di
Cristo.
La
creazione dell’universo e dell’uomo è narrata
nei primi due capitoli del Genesi. In essi si
definisce la cosmologia alla base dell’intera
teologia biblica. Il primo capitolo narra di un
Dio potente e benevolo che in sette giorni creò
dal nulla l’universo in tutte le sue forme
animate ed inanimate. Il secondo si sofferma
sull’uomo, sul suo ruolo e destino originariamente
concepiti dal creatore. Il terzo capitolo narra
come l’uomo avesse smarrito la condizione
sovrumana in cui fu creato dall’originario
disegno divino. È con questo evento, conosciuto
come caduta
o peccato originale, che il progetto
divino che avrebbe dovuto culminare in un uomo «immagine
e somiglianza di Dio», s’incrinò
irrimediabilmente e per cui, di conseguenza, tutta
l’umanità cadde in una peccaminosa condizione
terrena: una corrotta condizione da cui ciascuno
si potrà salvare grazie alla fede in Gesù
Cristo, all’obbedienza alla sua lieta novella e,
non per ultimo, grazie al sangue della passione di
Cristo. La caduta
biblica rappresenta dunque nella teologia biblica
l’evento che andrà a giustificare pienamente il
successivo progetto evangelico. Una corretta
interpretazione di questi brani è essenziale per
comprendere il senso autentico della creazione e
della missione di Gesù Cristo alla luce
dell’evento che inficiò la prima e rese
necessaria la seconda.
È
superfluo ricordare gli inevitabili corsi e
ricorsi evidenziati tra la lettura di Gn 1-3 ed i
fantastici miti dell’età dell’oro, delle
origini, che ciascuna cultura riconosce nelle
proprie tradizioni religiose. In Genesi 1-2 si
esprime una delle tante mitologiche e fantastiche
ricostruzioni degli eventi tramite i quali si
sarebbero originate tutte le cose, al pari di
quanto si riscontra in altre culture.
Ma
il problema posto dall’interpretazione cattolica
non deriva da questi argomenti: il problema
consiste nel fatto che sono le nuove conoscenze e
teorie scientifiche sull’origine dell’uomo ad
essere incompatibili con le più ortodosse
posizioni dogmatiche sostenute dalla Chiesa
Cattolica nei confronti dei primi tre capitoli del
Genesi. Così scriveva negli anni quaranta A. Bea:
«Fino a
circa settant’anni fa questi capitoli -
astrazion fatta dal primo che propone la creazione
come opera di sei giorni - presentavano poche
difficoltà agli esegeti.
La
Sacra Scrittura era quasi l’unica fonte per la
nostra conoscenza degli inizi del genere umano e
della sua storia...»
ma poi «... le moderne scienze profane hanno raccolto
una tal quantità di gravi difficoltà contro
l’antica interpretazione letterale di quei primi
undici capitoli che non è più possibile
conservare semplicemente la esegesi del nostri
antenati».
È innegabile che la pubblicazione nel 1859
dell’opera «Origine
delle Specie» di C. Darwin segnò il
definitivo crollo della tradizionale visione della
natura e dell’uomo direttamente derivata dai
principi e dall’interpretazione di Gn 1,11 dei
Padri della Chiesa a cui la dottrina cattolica è
rimasta fedele; una statica, fissista visione creazionistica
dell’uomo e della natura che ha condizionato
irreparabilmente l’intera cultura occidentale
sino allo scorso secolo.
La
tensione che la teoria dell’evoluzione
darwiniana introdusse nel campo dell’interpretazione
del Genesi balzò immediatamente all’evidenza;
già ad un anno dalla pubblicazione dell’opera
ci fu da parte dell’episcopato tedesco una
solenne pronuncia ufficiale contro la teoria
evoluzionistica. I vescovi dichiararono «... del
tutto contraria alle Sacre Scritture e alla fede
la sentenza di coloro i quali ardiscono asserire
che l’uomo quanto al corpo, è derivato per
spontanea trasformazione da una natura imperfetta,
che di continuo migliorò fino a raggiungere
l’umana attuale».
Non
erano più disquisizioni sull’età della terra,
o sulle possibili cause del diluvio ad essere
oggetto delle discussioni dei dotti. L’ipotesi
dell’evoluzione faceva inevitabilmente
convergere l’attenzione sui capitoli del Genesi
in cui si narrava l’origine dell’uomo, ed i
fatti originali che erano alla base dell’intera
teologia biblica. Le difficoltà sollevate
all’interpretazione teologica
del Genesi, data la sua importanza in seno
all’edificio cattolico, erano clamorose. La
teoria dell’evoluzione, postulando una diversa
origine per l’uomo, il quale era stato fino
allora collocato senza problemi in una posizione
biologica distinta
per origini e per natura rispetto a tutte le altre
specie viventi, pose devastanti quesiti
addirittura sul sacro dogma del peccato originale.
Un’intrusione senza precedenti. Leggiamo:
Ma
la terra era deserta e disadorna e v’era tenebra
sulla
superficie dell’oceano e lo spirito
di
Elohim era sulla superficie delle acque.
Elohim
allora ordinò: Vi sia la luce.
E
vi fu luce.
Quindi
Elohim vide che era buona quella luce.
Perciò
Elohim separò la luce dalla tenebra.
Ed
Elohim diede nome alla luce giorno ed alla tenebra
diede
nome notte.
Poi
venne sera, poi venne mattina: un giorno.
Elohim
disse ancora
...» (Gn 1,1-5)Questi
sono i primi versetti del libro del Genesi,
relativi al primo
giorno della creazione. L’intero primo
capitolo si sofferma sulle fasi della creazione, a
partire dai cieli per giungere all’uomo. Esso è
completamente ispirato da un profondo e netto
monoteismo; non ci sono principi demiurgici dalla
cui azione o contrasto si originano cieli, terra,
esseri viventi. È un’unica divinità suprema
che crea ogni cosa dal nulla; non si assiste alla
trasformazione di realtà anteriori, nessuna
prodigiosa manipolazione
di realtà preesistenti da cui si originano cieli
e pianeti, mari e montagne, ma la generazione ex
novo di ogni ente naturale. Dal nulla, ex
nihilo, Dio compie l’intero progetto
creativo. Un gesto da ricondurre poi ad una
tacita, lungimirante e benevola disposizione nei
confronti delle creature in divenire.
Da notare che a ciascuna fase della creazione è
associato un aggettivo che fissa in modo esemplare
l’attributo di fondo che l’intero creato
ereditò dalla divinità: la bontà.
Costante di ogni atto creativo è la bontà: e il
redattore ripete continuamente «... Elohim vide che questo era buono...»
per sottolineare l’approvazione del creatore
dinnanzi alla propria opera. Tutto il
creato è buono: cieli, pianeti, esseri viventi,
uomo; anzi il creato tutto, dopo la creazione
dell’uomo, è «... molto
buono» (Gn 1,31). Di questo creato è parte
insostituibile l’essere uomo: anch’egli buono,
maschio e femmina, creato da Elohim «... a norma della nostra immagine, a nostra
somiglianza».
Questo
è l’attributo di fondo, teologicamente
rilevante, dell’intero Gn 1. Prima
considerazione: è indifferente che si opti, come
è stato fatto fino in tempi recenti dalla Chiesa,
per una traduzione letterale di questo capitolo
del Genesi, o che ci si rivolga ad una
interpretazione meno ingenua e più sensibile alle
conclusioni delle scienze moderne, che si
riconosca una matrice poetica, un contenuto
metaforico non corrispondente nei suoi dettagli
narrativi ad alcuna realtà oggettiva. È del
tutto fuorviante soffermarsi a mostrare come si
possano trovare paralleli tra la sequenza delle azioni
creatrici di Gn 1 e particolari eventi
cosmologico evolutivi dell’autentica storia
dell’universo descritta dalle scienze odierne.
Tutte queste oziose precisazioni nulla
aggiungerebbero al concetto di fondo di Gn 1, cioè
all’affermazione che «Dio
creò dal nulla l’intero universo, le sue
intrinseche leggi, gli esseri viventi e l’uomo,
maschio e femmina, immagine e somiglianza di Dio».
Ma
se le scoperte scientifiche nel campo della
cosmologia, della geologia, della paleontologia e
della biologia, ampliando a dismisura l’età
della terra, dell’universo ed inficiando
decisamente l’interpretazione letterale di Gn 1
sull’origine dell’uomo da un’unica coppia
capostipite nulla hanno cambiato a questo senso
teologico, ben diverso risulta l’esito del suo
confronto con le posizioni dogmatiche espresse nei
successivi due capitoli. Il
monogenismo
di
coppia, o più semplicemente monogenismo,
ovvero l’idea che tutta l’umanità sia
geneticamente derivata da una coppia iniziale,
Adamo ed Eva, è assolutamente incompatibile con
le evidenze scientifiche odierne che si rivolgono
sia ad una concezione poligenistica, ovvero
all’esistenza di più coppie contemporaneamente
presenti all’origine dell’umanità, (poligenismo),
ed ancor più vertono sull’esistenza di processi
evolutivi che uniscono geneticamente, con
continuità, le prime popolazioni umane a
popolazioni anteriori di specie pre umane,
sfumando attraverso milioni di anni l’emersione
genetica della specie umana così come la
conosciamo ora. La santa, magica condizione
originale, detta preternaturale,
dei due capostipiti e successivamente il dogma
del peccato originale, mediante il quale
l’intera umanità avrebbe perso il godimento dei
doni sovrannaturali elargiti da Dio nel giardino
dell’Eden, sono tutte posizioni di fede decisive
quanto contrastanti con i risultati delle attuali
scoperte e teorie scientifiche.
Facciamo
dunque il punto sulle posizioni ufficiali della
Chiesa Cattolica circa le odierne teorie sulle
origini dell’uomo e l’evoluzione biologica. E
si chiede venia per il dilungarsi
nell’illustrare i documenti. Cercheremo di
essere più stringati più avanti: ma è
importante avere ben chiaro come stanno ufficialmente
le cose. Le direttive ufficiali del magistero
cattolico nei confronti del Genesi sono:
1) il Decreto del 30 giugno 1909 della Pontificia Commissione Biblica (PCB).
Il
decreto sostiene l’impossibilità di «... dubitare
del carattere storico di questi capitoli (Gn
1-3 n.d.a.) in generale, tanto meno di quei fatti,
ivi narrati, che toccano i fondamenti della
religione cristiana.
A
questi fatti appartengono fra gli altri: la
creazione dell’universo fatta da Dio
all’inizio del tempo; la particolare creazione
dell’uomo; la formazione della prima donna dal
primo uomo; l’unità del genere umano; la
felicità originaria della prima coppia umana
nella condizione di giustizia, d’immunità e
d’immortalità; l’ordine dato da Dio ai primi
uomini per provarne l’ubbidienza; la loro
trasgressione, in seguito alla seduzione del
diavolo presentatosi in forma di serpente; la
perdita dello stato primitivo d’innocenza a
causa di questa trasgressione; infine la promessa
del Redentore».
Però
questo deve essere fatto in tale modo che le
ragioni delle due opinioni, cioè di quella
favorevole e di quella contraria
all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate
con la necessaria serietà, ponderazione e misura
e purché tutti siano pronti a sottostare al
giudizio della Chiesa alla quale Cristo ha
affidato l’ufficio di interpretare
autenticamente la S. Scrittura e di difendere i
dogmi di fede.
Però
alcuni oltrepassano questa libertà di
discussione, agendo in modo come fosse dimostrata
già, con totale certezza, la stessa origine del
corpo umano dalla materia organica preesistente,
valendosi di dati indiziali finora raccolti e di
ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò
come se nelle fonti della divina rivelazione non
vi fosse nulla che esiga in questa materia la più
grande moderazione e cautela».
E
poi, nei confronti del poligenismo: «Però
quando si tratta dell’altra ipotesi, cioè del
poligenismo, allora i figli della Chiesa non
godono affatto della medesima libertà.
Poiché
i fedeli non possono abbracciare quella opinione i
cui assertori insegnano che dopo Adamo sono
esistiti qui sulla terra del veri uomini che non
hanno avuto origine, per generazione naturale, dal
medesimo come da progenitore di tutti gli uomini,
oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti
progenitori; ora non appare in nessun modo come
queste affermazioni si possano accordare con
quanto le fonti della rivelazione e gli Atti del
Magistero della Chiesa ci insegnano circa il
peccato originale, che proviene da un peccato
veramente commesso da Adamo individualmente e
personalmente, e che, trasmesso a tutti per
generazione, è inerente in ciascun uomo come suo
proprio».
A
queste affermazioni ufficiali
sull’argomento potremo aggiungere a corollario
il 3)
Discorso
tenuto il 30 novembre 1941 da Pio XII
all’Accademia Pontificia delle Scienze,
nel quale il Pontefice, commentando i primi
capitoli del Genesi, affermò: «Dall’uomo
soltanto poteva venire un altro uomo, che lo
chiamasse Padre e progenitore, e l’aiuto dato al
primo uomo (Eva n.d.a.)
viene pure da lui ed è carne della sua carne,
formata in compagna che ha nome dall’uomo, perché
da lui è stata tratta.... le molteplici ricerche,
sia della paleontologia, che della biologia e
della morfologia su altri problemi riguardanti le
origini dell’uomo, non hanno finora apportato
nulla di positivamente chiaro e certo».
C’è
poi il:4)
Discorso
di Paolo VI a Nemi, l’11 luglio 1966,
ad un simposio organizzato dal rettori delle
Università Pontificie: il pontefice affermò: «È
evidente perciò che vi sembreranno inconciliabili
con la genuina dottrina cattolica le spiegazioni
che del peccato originale danno alcuni autori
moderni, i quali, partendo dal presupposto, che
non è stato dimostrato, del poligenismo, negano,
più o meno chiaramente, che il peccato, donde è
derivata tanta colluvie di mali per l’umanità,
sia anzitutto la disubbidienza di Adamo...
commessa all’inizio della storia... Ma anche la
teoria dell’evoluzionismo non vi sembrerà
accettabile qualora non si accordi decisamente con
la creazione immediata di tutte e singole le anime
umane da Dio, e non ritenga decisiva
l’importanza che per le sorti dell’umanità ha
avuto la disobbedienza di Adamo ... la quale
disobbedienza non dovrà pensarsi come se non
avesse fatto perdere ad Adamo la santità e la
giustizia in cui fu costituito».
Da
questi documenti, così incredibilmente recenti
malgrado i loro contenuti, emerge un aspetto
fondamentale dell’atteggiamento cattolico nei
confronti dell’evoluzionismo. Sin dalla
formulazione e diffusione della teoria darwiniana
dell’evoluzione, la Chiesa Cattolica espresse un
netto, esplicito rifiuto verso la teoria
scientifica. La levata di scudi che culminò
ufficialmente con le posizioni contenute nei
discorsi e nelle encicliche di cui sopra, delinea
una chiara posizione di rigetto.
E sino ai giorni attuali, la Chiesa non ha
prodotto alcun documento ufficiale atto a
colmare l’impasse in cui è caduta con il suo
iniziale rifiuto dell’ipotesi evoluzionistica
nei confronti del mondo scientifico, al di la di
eventuali proclami di riconciliazione.
A
tutt’oggi è clamorosamente assente il
riconoscimento netto, ufficiale e solenne da parte
della Chiesa del ruolo che la teoria
dell’evoluzionismo ha saputo assumere nel
contesto della scienza moderna; un ruolo ormai
incontestabile ed irrinunciabile non più di sola ipotesi
quanto di vera
e propria teoria acclamata per la ricostruzione
delle origini dell’uomo. Bisogna precisare come
la Chiesa, dopo le primissime espressioni di
rigido rifiuto della teoria stessa, stemperò
sensibilmente tramite la stessa Humani
Generis, l’Enciclica
Divino
Afflante Spiritu del 30 settembre 1943
ed il Concilio
Vaticano II le
sue iniziali posizioni di rigetto, fornendo uno
spiraglio agli studiosi che avevano in animo, nel
campo della teologia, di approfondire alla luce di
nuove problematiche l’autentico significato
dell’ermetico libro del Genesi. Per la
precisione, si hanno ulteriori affermazioni
papali, in particolare quella del 5)
Discorso
di Giovanni Paolo II il 24 ottobre 1996 all’Assemblea
Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze
sull’evoluzionismo, che comunque, al di là di
come sono state presentate ai mass media, nulla
hanno aggiunto di concreto, visto che nella stessa
si sostiene senza eccezione un concetto,
assolutamente a-scientifico, di diretto intervento
divino nelle dinamiche evolutive (ipotesi DDF).
Questi
successivi atteggiamenti delle gerarchie romane
sembrano interpretabili quali gesti necessari al
fine di evitare anche nel ’900 un nuovo «caso
Galilei» nei confronti dell’evoluzionismo:
ma, pur contribuendo ad una sensibile correzione
di rotta, almeno di facciata, non hanno la forza
necessaria per colmare l’impasse in cui la
Chiesa Cattolica si è cacciata con il suo
iniziale rifiuto dell’evoluzionismo! Il nuovo
atteggiamento cattolico difetta del cipiglio,
dell’impulso, fermezza e prontezza che, al
contrario, seppe trovare per porre la sua
avversione all’evoluzionismo sin dalla sua
proclamazione nel 1859. Ed è d’altra parte
quanto meno fazioso sostenere, come si fece
intendere tra le righe nel 1996, che il problema
dell’evoluzionismo è oggigiorno superato per il
Cattolicesimo. In esso non si accetta affatto
l’ipotesi evoluzionistica, con tutte le sue
implicazioni – su tutte l’impossibilità di
cogliere l’uomo come meta finale del processo
evolutivo. Ne va della presunta autorevolezza
interpretativa che il magistero si arroga!
La
verità è che oggigiorno si assiste ad una ampia
divisione tra ricerca teologia e dottrina
cattolica. «Questo» emerge dai documenti
e dalle posizioni ufficiali del Magistero, che si
è riparata di nuovo all’ombra di quel «pensiamo nei secoli» così caro a
Roma. L’identità perfetta tra teologia
cattolica e Magistero dei secoli passati è oramai
un lontano ricordo; i teologi moderni sostengono sì
nuovi concetti, nuove modalità interpretative nel
tentativo di cercare nuove sintesi tra tradizione
cattolica ed i nuovi concetti evoluzionistici. Ma
questo è segno che il problema è sempre lì:
sempre irrisolto e sempre più grave viste le
conferme che le teoria evoluzionistica sta
accumulando oramai in modo irreversibile.
Se
il Cattolicesimo ha le sue radici in una serie di
dogmi e verità assolute, esse devono
essere intese come tali, o almeno in una
sostanziale correttezza di fondo in tutta
la sua storia, non solo in un lasso di tempo più
o meno lungo e felice. Se tra i fondamenti della
dottrina cattolica è collocata, sicuramente fino
al 1909, la generazione della prima donna, Eva,
dal fianco di Adamo, come si potrà giustificare
l’abbandono radicale di questa affermazione a
favore di una opposta lettura mitologica di Gn 2
da cui non possono più derivare analoghe
interpretazioni? Come è possibile parlare di naturale
dissoluzione? In quale modo si potrà
spacciare per indolore
sviluppo esegetico un imbarazzante rinnegamento
di una millenaria tradizione dottrinale?
Come
strusciar via dalla memoria, dalla storia, intere
pagine di vicende personali e sociali pesantemente
condizionate da interpretazioni oramai palesemente
inadeguate, condotte da chi si arroga addirittura
il diritto, la prerogativa di una superiore intelligibilità
ed addirittura infallibilità nel campo
della fede?
In
realtà
il Magistero Cattolico risulta essere
a
tutt’oggi saldamente ancorato alle seguenti
proposizioni ufficiali di fede:
1)
l’universo è stato creato dal nulla
dall’intervento di Dio;
2)
l’uomo è stato creato per intervento
particolare di Dio;
3)
l’umanità fu creata nella persona
storica ed individuale di Adamo;
4)
dal corpo di Adamo fu tratta, sempre per
diretto intervento divino, la prima donna nella
persona individuale di Eva;
5)
la prima coppia umana fu posta da Dio nel
giardino dell’Eden in una condizione
preternaturale di giustizia, immunità, immortalità
corporale;
6)
Dio ordinò alla coppia formata da Adamo ed
Eva di astenersi dalla manducazione dei frutti
dell’albero della conoscenza del bene e del
male, al fine di provare la loro obbedienza (sono
anche possibili interpretazioni allegoriche);
7)
in seguito alla tentazione del demonio,
raffigurato dal serpente biblico, i due
trasgredirono uno dopo l’altro l’ordine dato
da Dio;
8)
a causa di questo tutta l’umanità,
originatasi per generazione naturale da
quest’unica coppia capostipite, perderà i
benefici dei doni preternaturali elargiti da Dio.
La condizione dell’umanità attuale, espressa
dai dolori associati alla gravidanza, dai sudori
biblici della fronte dell’uomo costretto a
lavorare la terra finché polvere tornerà, ed
ancor più immediatamente da quest’ultima
immagine della morte, subentra nel destino del
genere umano e lo seguirà fino alla fine dei
tempi;
9)
viene promesso l’arrivo di un Redentore.
Questi
sono attualmente i punti «ufficiali»
della dottrina cattolica. Ed a questi si deve
attenere lo stesso concetto di «dottrina
cattolica»: questa è la «dottrina
cattolica». Non ci si può allora nascondere,
all’occorrenza, dietro la tonaca di questo o
quel teologo – come nel caso del gesuita
Teilhard de Chardin, autore di uno dei tentativi
più noti ed interessanti, ma alla fine
inefficace, di mettere d’accordo evoluzionismo e
dottrina cattolica, li si è volgarmente avversati
in vita – per parare i colpi quando è oramai
evidente che la dottrina è in fallo e non si sa
come rispondere ad evidenze sempre più
significative sulla sua inconsistenza. Ebbene:
qualsiasi ipotesi esegetica di Gn 1-3 sensibile
alle attuali problematiche scientifiche, ed in
particolare dell’evoluzionismo, non può che
porsi in contrasto più o meno netto con
esso a causa dei punti 2), 3), 4), 5), 8).
La
prova tangibile di ciò deriva dall’analisi
delle ipotesi sviluppate per ottenere
interpretazioni coerenti con l’evoluzionismo di
Gn 1-3. I teologi cattolici, stanno ricorrendo ad
interpretazioni del Genesi in cui, ad esempio, il
termine Adamo viene sempre più inteso in
un’accezione plurale che indicherebbe l’umanità
in generale, non «un uomo», o ancor più
«il primo uomo»!
È
chiaro che l’idea di una disobbedienza originale
individuale, le cui conseguenze infauste si
sarebbero poi riversate in tutta l’umanità
successiva, grazie proprio al monogenismo
biologico – idea che fino a ieri sorreggeva
perfettamente il monolite dell’intera teologia
cattolica –, sia del tutto vanificata in questi
nuovi scenari, dove tale evento viene a smarrirsi
in contenuti vaghi quanto incomprensibili.
L’intento
di riparare dai problemi che scaturiscono da
un’accettazione materiale delle teorie
evoluzionistiche nell’ambito dell’edificio
esegetico cattolico di Gn 1-3 spostando il
concetto di caduta
in un piano teologico, distinto da quello
in cui si riferisce la teoria scientifica
dell’evoluzione biologica è chiaro: sfuggendo
dal terreno naturale dei processi dell’evoluzione
in una dimensione in cui l’umanità viene intesa
unicamente nell’ambito di un’economia di
salvezza sovrannaturale, si sollevano i dogmi del
canone cattolico dalle obiezioni del mondo
scientifico. Il monogenismo necessario per il
dogma del peccato originale viene così mantenuto,
ad onta delle critiche esatte
dall’evoluzionismo, in un contesto prettamente
teologico. Afferma in proposito mons. Carlo
Molari: «La sostanza della dottrina cattolica
legata al monogenismo riguarda infatti l’unico
Salvatore dell’uomo dal peccato, e quindi
l’unica economia salvifica, corrispondente
all’unità del genere umano. Abitualmente
l’unità del genere umano veniva collegata
all’origine da un’unica coppia. Quando la
teoria evoluzionistica si diffuse venne spontaneo
considerare l’unità del genere umano più come
una chiamata che come uno stato».
I
teologi cattolici, appurato che «... scientificamente
parlando dunque... un monogenismo è quasi
inammissibile, metodologicamente impensabile...
» nell’ambito della genesi dell’uomo,
iniziarono dunque ad avanzare, con esemplare
ingegno, dubbi sul fatto che «... l’affinità, attraverso la discendenza a
livello umano dell’evoluzionismo, sia veramente
il fattore più importante di unità...»
giungendo infine ed affermare, non si vede con
quanta coerenza con le stesse affermazioni di poco
antecedenti all’enciclica H. Generis, come «...
la
solidarietà umana...» così decisiva per il
dogma del peccato originale «...
è comprensibile anche se non è ancorata nella
discendenza fisica di tutti gli uomini da un solo
padre» biologico. Bella trovata!
Il
dogma del peccato originale iniziò allora ad
essere inteso in un ambito più vago, così da
aprire un qualche spiraglio per una convivenza con
l’ormai imprescindibile poligenismo biologico
per le origini dell’uomo. Purtroppo, o per
fortuna, però c’è chi ha mente libera e
montagne di documenti e fatti storici, e non si
tace sulla netta incoerenza tra queste nuove
interpretazioni di Gn 1-3 ed i punti fondamentali
sostenuti per secoli e secoli dall’infallibile
Magistero cattolico!
Ma
andiamo avanti. Cosa concludono questi tentativi
di revisione? Ecco un esempio dello stato
dell’arte di questa nuova «teologia
revisionistica di frontiera». Cosi scrive
mons. Molari: «Quanto
al peccato di Adamo, o peccato delle origini, i
teologi dichiarano apertamente di non sapere molte
cose. Certamente la catena del peccati nella
storia dell’uomo ha avuto un inizio.
Certamente le prime scelte
negative hanno esercitato un influsso notevole
nelle generazioni successive, e il peccato si è
moltiplicato con i secoli. Ma in che cosa siano
consistiti i primi errori dell’umanità, come
sarebbe progredita l’umanità se non fosse stato
commesso alcun peccato, dove e quando l’umanità
ha cominciato a sbagliare, non ci è dato saperlo.
Possiamo quindi senza alcun timore
esprimere la nostra completa ignoranza su questi
temi, che d’altra parte non costituiscono nuclei
centrali della fede cristiana»
(sottolineatura aggiunta n.d.a.).
Non
c’è che dire… un bell’escamotage
interpretativo – ma si provi a rileggere i
documenti precedentemente elencati per osservare
la coerenza di tutto ciò! Il fatto è che questo
soprassedere, pur se legittimo, a tali problemi è
essenzialmente scorretto e fazioso – e questo è
solo un eufemismo! Se negli intenti dei teologi,
della Chiesa Cattolica, c’è un autentica volontà
di accettare il dialogo proposto dalle scienze
profane, di conoscere e promulgare i contenuti
autentici di questi antichi testi; se veramente si
vuol giungere ad una base interpretativa chiara e
scientificamente convalidabile, non si può
affrontare la traduzione dei secondi due capitoli
del Genesi senza la stessa prontezza
e sensibilità opportunisticamente mostrata nel
sottolineare il parallelo tra il primo capitolo
del Genesi ed alcuni aspetti desunti da teorie
cosmologiche come quella del Big Bang.
Questa
revisione deve essere condotta introducendo senza
alcun pregiudizio le nuove conoscenze
nell’esegesi di Gn 1-3, e rispettando sempre
il taglio metodologico esplicativo della scienza,
soprattutto a quei secondi due capitoli che
pongono seri ostacoli al proseguimento di una
revisione poligenistica ed evoluzionistica del
Genesi. Il risalto teologico, esplicativo e
salvifico dell’intera Bibbia e poi della figura
ed opera di Cristo, sono sempre stati
sostenuti dalla dottrina cattolica insistendo su
una storicità che non può, alla bisogna, esser
messa sotto il tappeto e/o dimenticata ad arte.
Dal punto di vista dei contenuti è quanto meno
riduttivo circoscrivere in un ambito solamente
sovrannaturale il messaggio del Genesi, quando
tale narrazione è obiettivamente ancorata a
contenuti sensibili, ad agganci storico geografici
particolareggiati – e in grazia dei quali la si
è intesa come storica in modo esplicito sino al
1966!
La
canonica interpretazione di Gn 1-3, collocata in
un quadro fissista, non evolutivo della realtà,
compone un dramma mitologico sull’evento della caduta, da cui deriverebbe un enorme
degrado nel creato e nell’uomo. Un punto
notevole da considerare è il significato
psicologico del mito di Adamo ed Eva nel Paradiso
terrestre e della perdita delle condizioni
originarie in seguito alla loro disubbidienza. La
lettura monogenistica sostenuta per secoli dal
magistero permetteva una traduzione individuale di tale evento. Questo ha fatto sì
che il gesto della caduta fosse visto come una
scelta perfettamente soggettiva,
da intendere alla luce di quella singolarità,
fatalità ed eccezionalità che distinguono le
scelte individuali dalla valenza gregaria con cui
lo stesso può rappresentare la collettività
umana; di ciò che, in definitiva,
contraddistingue l’operato e le responsabilità
di un uomo, dalle responsabilità dell’uomo,
del genere umano. Tale distinzione, rovesciando i
termini del problema, separa oggi
l’umanità successiva e la responsabilità del
singolo individuo dalle responsabilità personali
dei due capostipiti. Ed è proprio questo poter
distinguere, in un’ipotesi monogenistica,
l’umanità dalle persone dei costituenti della
coppia originaria, i cosiddetti protoparenti, che
realizza la netta distinzione tra la coppia
primordiale ed il successivo genere umano, che così
può «prenderne le distanze».
Un
altro aspetto fondamentale dell’ortodossa interpretazione
cattolica di Gn 1-3 è rappresentato dalla
collocazione che il taglio monogenistico sa dare
all’originario evento della caduta in seno al
genere umano. L’umanità totalmente compiuta
colta fin dai primissimi istanti dell’esistenza
nelle figure dei protoparenti, supporta
meravigliosamente l’idea di un evento
primordiale – propriamente umano – dalle cui
conseguenze sarebbe stata poi investita l’intera
specie umana. L’immediatezza con cui
l’iniziale destino dei protoparenti si
riverserebbe per discendenza carnale in tutte le
successive generazioni è indissolubilmente
connessa ad una concezione monogenistica capace di
assumere perfettamente l’aspetto unico,
individuale, e nel contempo ecumenico, di evento
primordiale della storia dell’uomo. Solo
rivolgendosi ad un Adamo in cui la nostra attuale umanità
sia pienamente compiuta e condivisa, ad un Adamo toccato da ciascuno, senza eccezioni,
per una pur lontana ma diretta discendenza
carnale, per l’identico essere uomo, il
credente può scoprirsi coinvolto nell’infausto
destino scaturito dall’originaria disubbidienza.
Ciò
consente di sostenere «...
come per un uomo il peccato è entrato nel mondo,
e per il peccato la morte, e la morte raggiunse
tutti gli uomini perché peccarono... Fino alla
legge infatti c’era peccato nel mondo e, anche
se il peccato non viene imputato quando manca la
legge, la morte regnò da Adamo a Mosè pure su
quelli che non peccarono con una trasgressione
simile a quella di Adamo il quale è figura di
Colui che doveva venire...» (Lettera ai
Romani 5, 12-14 Paolo).
La
moderna visione del processo di ominazione
presenta due aspetti decisivi che contrastano
irrimediabilmente con l’affermazione che il «degrado
fisico spirituale sia ereditato da ciascun uomo e
a seguito di una totale e diretta discendenza da
individuo primogenito autore di un gesto personale
di disobbedienza a Dio». Questi aspetti
balzano immediatamente all’evidenza non appena
ci si accinge a collocare storicamente tale evento
nel processo evolutivo dell’ominazione. In quale
era dell’evoluzione umana sarebbe possibile
infatti porre questa decisiva tappa? E chi ne poté
essere l’artefice? L’Homo habilis, o l’Homo
erectus, l’H. ergaster o il Cro magnon? Questi
sono gli insormontabile, devastanti problemi che
si sono posti davanti agli studiosi che, optando
per una lettura di Gn 1 compatibile con le odierne
discipline scientifiche, si sono azzardati alla
esegesi dei successivi due capitoli del Genesi. E
qui si è tragicamente caduto nel comico. Si pensi
solo a questo problema: da quando ci fu nel
processo di ominazione quell’infusione diretta
dell’anima nell’individuo umano sostenuta
dalla dottrina cattolica? Quali di suddette specie
furono escluse? E perché, sulla base di quali
elementi obiettivi? E poi: l’infusione diretta
di tale anima deve forzatamente iniziare a partire
da un individuo. Ed i suoi genitori? Può un uomo
con anima nascere da genitori senza anima? Dove
mettere la «bandierina» con la scritta «soul
inside» se facciamo una visita ad un museo di
scienze naturali? Su quali teschi fossili?
Trattare
in questa sintesi tutte questi aspetti renderebbe
oltremodo pesante la trattazione. Ci limiteremo ad
accennare solo alcuni sprazzi. La conclusione
dunque sembra sempre di più evidente. Ogni
tentativo di proporre una coesistenza tra teoria
evoluzionistica e dottrina cattolica conduce a far
nascere più problemi di quelli che si vorrebbero
risolvere. Qui viene in mente un passo evangelico:
«Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova su un
vestito vecchio, perché il rattoppo strappa il
vestito e lo strappo si fa maggiore. Né si versa
del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si
rompono gli otri e il vino si spande e gli otri si
rovinano. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e
così l’uno e gli altri si conservano.»
(Mt. 9,16-17)
Ma
questa dimensione sembra realizzarsi completamente
solo nelle specie più recenti, come i tardi H.
erectus e i primi H. sapiens, dunque da circa 400 ¸150.000
anni or sono. Soltanto questi individui potrebbero
aver dato luogo a contesti sociali e culturali
almeno sufficientemente analoghi a quelli delle
successive popolazioni di H. sapiens sapiens,
dell’uomo moderno. Nell’ambito del discorso
relativo all’interpretazione di Gn 1-3 ciò
rappresenterebbe un argomento notevolissimo: nel continuum
evolutivo del processo dell’ominazione la
comparsa di popolazioni pienamente umane
rappresenta un evento estremamente tardivo,
verificatosi molti millenni dopo l’avvenuta
diffusione planetaria delle varie specie di
ominidi: un problema insolubile sia per
l’esegesi ortodossa che per quei fautori di una
revisione poligenistica che ipotizzano
all’origine dell’umanità non una ma più
coppie progenitrici.
Non
può dunque estendere questa valenza ad ominidi
preumani, alle popolazioni di H. habilis od ai più
antichi H. erectus, capaci di affermarsi nei più
disparati ambienti del pianeta grazie ad una già
consistente organizzazione sociale ed ad un corpo
di conoscenze materiali assai affinate. Questi
individui risultano ancora incompleti
nella maturazione di quella condizione psichica,
cognitiva ed intellettuale del proprio essere, di
quella condizione esistenziale da noi intesa e
condivisa come umana.
Il
fatto è però che questa collocazione tardiva è
in netto contrasto con la fondamentale esigenza di
garantire il principio dell’assoluta discendenza
biologica dell’intera umanità se non da una
coppia iniziale, almeno dal gruppo a cui imputare
la responsabilità locale,
circoscritta, dell’infausto gesto della caduta,
che faccia nel contempo salva anche la valenza
ecumenica dello stesso. È facile capire come le
considerazioni sul supporto psico-intellettivo
delle popolazioni a cui poter imputare
quest’evento conducano ad una collocazione
estremamente tardiva dello stesso nella storia
umana; ma rivolgendosi a tempi così recenti
risulta poi impossibile definire un gruppo
eventualmente responsabile di questo fatto che
possa essere poi inteso come nucleo biologico
originario dell’intera
specie umana attuale. Come salvare capra e
cavoli?
Dinnanzi
al processo dell’ominazione ricostruito dalla
scienza moderna, il biblista classico rischia di
perdere il lume della ragione, sonno e fede: non
può più contare neanche su uno straccio di
umanità che sia contemporaneamente
sufficientemente evoluta, geograficamente e
numericamente circoscritta e capace poi di
diffondersi in tutto il globo in modo tale da
permettere di ipotizzare che, se non una coppia,
almeno un piccolo gruppo umano originario possa
essere verosimilmente imputato di un gesto le cui
conseguenze possano poi trasmettersi per
generazione naturale in tutte
le generazioni future. Le evidenze di un umanità
ampiamente diffusa sulla terra ad orizzonti
culturali molto precedenti sono difatti
incompatibili con la necessità teologica di circoscrivere
il più possibile tale evento alle origini
dell’uomo, al fine di salvaguardarne
contemporaneamente sia l’ecumenismo che la
fatale singolarità; ciò comporta conseguenze
interpretative particolarissime.
Secondo
recentissimi studi nel campo delle neuroscienze,
ogni attività intellettuale, sia dello
stravagante inventore
o del filosofo disincantato, non risulta separata
dall’emotività, dalle passioni, così che una
dotta lezione accademica di fisica teorica possa
sembrar assolutamente distinta dalle infuocate
parole d’amore di un’amante passionale. Il
fatto è che non è più proponibile l’immagine
di una attività cosciente, lucida e logica,
fredda, mito incarnato nella separazione
cartesiana tra res
cogitans e res
extensa, come contrapposizione
ad emotività, passione e sentimento. Le
prerogative logico intellettive dell’uomo, base
di ogni evento cosciente, razionale, pescano
direttamente, senza eccezione, dalle radici
istintuali, emotive dell’animale uomo.
Sono anche esse prodotto finale di un processo di scultura
anatomico funzionale del tessuto cerebrale da
parte delle esperienze, dunque della realtà
esterna, attuato da fenomeni, in parte
geneticamente predeterminati, assolutamente
inconsci. Ovvero: «Pensare
è
un’emozione!».
In
ogni scelta etica dell’uomo, sin nella più
consapevole e razionale scelta che un essere
cosciente possa attuare, si esprime un’inconscia
quanto estesa influenza della frazione emotiva,
istintuale, animale... risultato di millenni di
evoluzione condotti
ben prima che qualsiasi barlume di umanità
o individualità cosciente tremolasse
sulla faccia della terra.
Ma
questo è quanto sostengono le scienze
moderne. Ed allora? Cosa fare? Buttare la Bibbia
alle ortiche? A primo acchito questo è un gesto
presuntuoso. Non si potrebbe, molto più
saggiamente, pensare che sia una data
interpretazione da buttare alle ortiche? Prima si
dovrebbe provare a far questo… poi,
eventualmente si vedrà.
Sì,
le cose si risolveranno… buttando
l’interpretazione. Ma torniamo a noi.
Nell’eventualità di cui stava accennando,
l’umanità resterebbe coinvolta in un gesto che
esula dall’ambito in cui tremola la fiamma della
ragione e libero arbitrio umani, per affondare
nelle nebbie ataviche della nostra radice animale.
Una scelta così totale ed ecumenica poi dovrebbe
aver coinvolto inevitabilmente ogni luogo del pianeta
uomo, dagli aspetti più soggettivi fino a
quelli della sfera socio economica, dai più
intimi rapporti personali ai tratti psicologici
collettivi, ai più disparati contenuti
sapienziali e culturali. Una frattura
di cui, nella misura in cui dovrebbe essere intesa
quale evento storico – così come recitava sino
a qualche anno fa la dottrina cattolica –, si
dovrebbe avere profonda eco nell’ambiente
sociale, materiale e culturale; di cui dovremmo
osservare in qualche modo tracce concrete, data la
sua ampiezza e rilevanza. Eppure… intorno a
noi… niente, niente di niente. Di questo
fantomatico evento originario, così decisivo e
cosmopolita, non abbiamo la benché minima
documentazione paleontologica o storica. Se anzi
volessimo trarre delle conclusioni sulla base
delle evidenze archeologiche e paleo etnologiche
in nostro possesso, dovremmo affermare che per
quel che riguarda la storia del genere umano delle
ultime decine di migliaia di anni, fino alla scoperta
dell’agricoltura (circa 8 ¸10.000
anni or sono), si può parlare esclusivamente di
un lentissimo e continuo progredire socio
biologico, pur se non si escludono intensi e
puntuali picchi evolutivi – ma non del tipo che
andiamo cercando. Un continuum
monotono, in cui nuova diversità si accumula
inavvertitamente alla precedente, spesso
sublimandola, per andare a comporre quel mosaico
che è la natura umana da noi tutti condivisa.
Nessun
segno di immani trasformazioni interiori ed
esteriori sembra emergere dai muti e delicati siti
fossili, dalle testimonianze del nostro passato;
nessuna soluzione di continuità può essere
invocata nel senso richiesto da tali ipotesi sulla
base delle odierne conoscenze circa le origini
della nostra storia. L’assunto che l’umanità
abbia conosciuto nel passato un evento universale
di cui tutte le generazioni successive
possano esser state negativamente coinvolte sotto
l’aspetto ontologico, esistenziale e spirituale,
non sembra avere alcun riscontro dalle
documentazioni finora raccolte sulla storia del
nostro sin più remoto passato.
Ma
se questa è la situazione, è giusto rifugiarsi
in dimensioni e significati sovrannaturali? Che
senso ha restare a cercare tra i muti resti dei
nostri predecessori, nelle polverose,
umili e terrene documentazioni, in quegli
ambiti dove traccheggiano materiali, confutabili e fallibili
teorie delle scienze terrene?
È
chiaro perché certe interpretazioni metafisiche,
o meglio escamotage,
siano così allettanti: grazie ad esse
l’ortodosso edificio teologico relativo alla
caduta originale si può facilmente svincolare,
con qualche ritocco, dalle contestazioni della
moderna teoria evoluzionistica, sollevando la
dottrina cattolica dai limiti e contraddizioni in
cui era rimasta imbrigliata.
Una
fuga nella metafisica, in contesti
interpretativi decisamente sganciati dalla realtà
naturale delle scienze profane, è però un’affannosa fuga
dalla realtà che denuncia solo limiti ed ambiguità
di un espediente filosofico, di un disperato
tentativo di risolvere con la fuga lacune oramai
devastanti di una consunta ideologia; non un
tentativo di giungere ad una più oggettiva
conoscenza della realtà naturale ed eventualmente
sovrannaturale dell’uomo, ed ancor più
dell’autentico messaggio celato nel testi
biblici. È solo il disperato tentativo di
salvaguardare un’interpretazione inadeguata ma
vitale per una dottrina oramai decisamente
sconfessata… ed il potere che essa dava.
Ancora
una volta i teologi hanno sacrificato alla fede
nei dogmi la possibilità di giungere ad
un’interpretazione di questi testi finalmente
coerente con la visione scientifica della realtà.
Il fatto è che per giungere a tale obiettivo
bisogna abbandonare stantie posizioni ideologiche
improntate che siano ad un rampante ateismo
scientifico o ad una cieca, insolvente fede in una
secolare quanto inconsistente tradizione
ideologica. È necessario avere ad una razionale
e fondata fiducia nelle potenzialità del
metodo scientifico unita, finalmente, non alla
fede in una qualsivoglia tradizione esegetica,
quanto nella possibilità di una oggettiva validità
del contenuto celato in Gn 1-3.