CAPITOLO 5 - prima parte
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Amore, sessualità, matrimonio ed adulteri
Trovare nei Vangeliun messaggio coerente con l'interpretazione religiosa qui sviluppata, in relazione alla sessualità in generale, ed il matrimonio in particolare, è stato un impegno gravoso. Per molto tempo si è seriamente temuto di esser giunti al punto di arenarsi ma... chi la dura la vince.
Si mostrerà ora come l'etica sessuo repressiva, la giustificazione dell'istituzione del matrimonio, e, di riflesso, della famiglia patriarcale monogamica che ha costituito l'ossatura della società occidentale, cattolica e protestante, siano solo il frutto di una fuorviante interpretazione, paradossalmente opposta al senso delle affermazioni fatte in merito da Gesù.
Innanzi tutto due precisazioni: innanzi tutto preme manifestare una sorta di «istanza personale» davanti sia al tema in essere che alla risposta che scaturirà dalla sua analisi.
Nella misura del possibile si è cercato di evitare, specialmente nella trattazione di questo argomento, di far confluire «stati d'animo soggettivi» e «attese personali». Non si sa fino a quanto ciò sia stato evitato. L'analisi del tema è stata condotta senza alcun sentore della meta finale raggiunta, e la risposta che è emersa ha sempre lasciato una sorta di sottile incredulità anche a chi scrive, principalmente per il timore di aver inconsapevolmente «voluto piegare» soggettivamente la soluzione dell'analisi in corso ed ancor più di aver voluto idealizzare la questione.
Fortunatamente si è potuto disporre di riscontri esterni decisamente oggettivi, assolutamente distinti dalle proprie convinzioni ed idee – ci si riferisce alle teorie psicoanalitiche ortodosse, al lavoro di autori come Freud e Fromm – da cui sono stati tratti spunti teorici insostituibili per addivenire a certe soluzioni. Si può anzi dire che l'analisi che si va a presentare consiste «solo ed esclusivamente» nell'aver inquadrato le canoniche formulazione di tali autori nella cornice religiosa sviluppata a partire da ben altri fatti e valutazioni. Sicuramente un'interpretazione condotta sulla base dei principi e degli assunti di fondo di una teoria come quella psicoanalitica, colta sia nelle sue valenze più individuali che socio-culturali, ha condotto a delle risposte, ad un modello che forse per alcuni può apparire troppo ideale e speculativo, troppo limitativo. Si conviene, in cuor proprio, sull'eventualità di questa possibile obiezione.
Eppure si vuol confessare come proprio la possibilità di trovare delle connessioni strette, fortemente aderenti al pensiero – ed alle conclusioni – di autori così universalmente intesi come espressione forte del pensiero laico, o meglio ateo, con questi decisivi passi dei Vangeli ha rappresentato una piacevole sorpresa – a fianco ad un inquieto sconcerto.
Come è possibile che spunti così antitetici alla consueta interpretazione di tali testi siano in realtà in grado di far emergere un'interpretazione così chiara e calzante degli stessi? Come è possibile che si sia ottenuto un risultato così ambito prendendo in considerazione correnti di pensiero così osteggiate da chi per secoli ha addirittura cercato di monopolizzare l'interpretazione di tali scritti? Od è, forse, proprio questa concordanza un'evidenza inquietante della completa alterità degli stessi rispetto alla tradizione secolare con cui si è cercato – invano a quanto sembrerebbe – di piegare i Vangeli ad ideologie teoetotomistiche inadeguate e fuorvianti?
Seconda precisazione: è ovvio il fatto che il solo proporre una discussione su questo argomento presuppone un'accettazione «metafisica» del concetto «romantico» di «amore esclusivo ed individuale». Ovvero di quel concetto – per molti una pura e solo ipotesi ideale, assolutamente inesistente o comunque contingente.
È altresì palese che il solo formulare questo concetto di «amore romantico» è da intendere – nel crudo ma sempre rinfrescante linguaggio di un corretto approccio scientifico epistemologico – quale «metafisica» che può essere intesa, concepita… e perseguita – con alterni risultati – solo allorquando sia possibile contare su un appropriato contributo socio-culturale cognitivo. L'attività affettivo sessuale è in realtà una dei comportamenti umani che, in forma estesa, esprime condizionamenti procedenti da profondi stimoli ed esigenze dell'animale Homo sapiens sapiens. Istanze queste che provengono sia da ataviche fonti genetiche, retaggio del nostro passato bio-evolutivo, che da contribuiti epigenetici, ed ancor più eminentemente culturali, che dovrebbero essere analizzate procedendo da ben altro ambito.
Le serie di esigenze vertente sulla sfera sessuo riproduttiva è talmente ampia e sfaccettata da costituire una realtà assolutamente non esprimibile e limitabile ai presenti ambiti esegetici. Dunque è assolutamente «impossibile» cogliere per intero la complessa realtà biologico etologica e culturale di questo contenuto della natura umana alla luce di quanto può emergere dai quattro testi evangelici.
Sarebbe un approccio decisamente riduttivo ed ideologico, fuorviante.
Il solo porsi ad indagare un testo come i Vangeli nell'intento di trovare in essi «norme e regole assolute» di singoli aspetti dell'esistenza di una specifica specie vivente è un controsenso logico filosofico.
Vuol dire innanzi tutto non aver minimamente colto il significato epistemologico dell'affermazione del paradigma evoluzionistico, il quale dimostra come sia «intrinsecamente» impossibile che un singolo e contingente fatto bio-evolutivo – nella fattispecie l'attività riproduttiva e le valenze etiche di una specifica specie vivente eterotrofa eterogametica – possa essere inteso come elemento finale dei processi evolutivi. È questo il problema fondamentale delle concezioni fissiste su cui sono edificate le teoetotomie conosciute, le loro teologie e le loro visioni escatologico soteriologiche – le quali stanno disperatamente cercando di forzare la loro ideologia nel nuovo paradigma evoluzionistico dimenticando che... «nessuno getta vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo spezzerebbe gli otri, i il vino si spanderebbe, e gli otri andrebbero perduti. Ma si getti vino nuovo in otri nuovi. Ma nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo perché dice: il vecchio è buono!» (Lc 5, 37-39).
Ogni nuova ed alternativa interpretazione deve prendere una direzione completamente distinta da tutto questo.
Il mantenere la classica attesa interpretativa è infatti un palese disconoscimento di questi fondamenti epistemologici. Se ne è già trattato; e si è visto che solo sfuggendo dal singolo contesto bio-evolutivo, come lo è un dato comportamento etico sessuale idoneo solo per un contingente momento storico di un contingente ramo evolutivo niente affatto assoluto ed universale, è possibile intendere una alternativa «teleologia evoluzionistica».
E questa «teleologia evoluzionistica», come si è visto, delinea solo generiche istanze capaci di assumere una qualche «valenza teleologica assoluta», solo in funzione della definizione, ampia, a grana grossa, degli enti teleologici. Solo a questo livello è possibile trovare degli elementi sufficientemente generici, perciò capaci di assumere una validità teleologica compatibile con i vincoli del paradigma evoluzionistico.
Ma allora che altro trovare in questi testi? Il fatto è che nei brani che ora si analizzeranno non è affatto riportata, così come sinora pacificamente inteso, la «norma divina» che avrebbe dovuto ristabilire agli occhi dell'uomo l'«atavica ed assoluta legge divina in ambito di etica sessuo affettiva umana» smarrita in tempi remotissimi, da riprendere e seguire pedissequamente al fine di operare «nella grazia». I brani che seguono non presentano nulla di questo – anche se un grave errore interpretativo li ha delineati per secoli e secoli proprio in quest'ottica.
In realtà nei brani che si proporrà non si parla minimamente di questi aspetti – pur se questi ultimi restano sullo sfondo, base di tutta le istanze e modalità affettive a cui il tema si rivolge. In essi infatti si delinea qualcosa di più «etereo», ideale, una sovrastruttura – comunque decisiva – che ha come oggetto non «la legge sull'unione tra uomo e donna» quanto un aspetto squisitamente psico-cognitivo. E precisamente la definizione dei fondamenti ideali dell'«Amore» che dovrebbe essere alla base di un istituto sociale di indubbio risalto: la forma «socio culturale» in cui idealizzare il rapporto tra «sposi». Ovvero la definizione ideale – puramente culturale ed intellettuale dell'«Amore» tra «soggetti psico-sociali», tra «teleologici» del «Regno dei Cieli».
Come si vedrà, la valenza del «messaggio» che emerge da quei brani è focalizzata solo su questi aspetti e sembra non l'indicazione di una «divina etica sessuo affettiva» quanto una «purificazione» di un concetto assolutamente «pre-esistente», di un'acquisizione cognitiva per certi versi già condotta «a priori» pur se in modo poco «umano, troppo poco umano». Qualcosa di non «biologico» comunque, quanto «intellettivo», «spirituale».
Ritroviamo nella letteratura più cosmopolita ripetuti riferimenti culturali a questa sfera «dell'amore individuale», dell'«amor cortese». Monumenti e documenti, odi, poesie e canti, tragedie e leggende provenienti da culture tra le più disparate e da tempi oramai antichissimi, veicolano infatti questo amoroso concetto – con tutte le inevitabili sfumature – definendo un vero e proprio «universale» della specie Homo sapiens sapiens. Non c'era affatto bisogno dei Vangeli per generare questo contenuto. Né i Vangeli definiscono, come si è creduto e predicato sinora, «la forma assoluta, istituzionale, divina di unione tra uomo e donna» che fu voluta e stabilita sin dalla creazione del mondo per la specie vivente «Homo sapiens sapiens» che emergerà sulla superficie della Terra, terzo pianeta interno di una stella G2 posta alla periferia di una data galassia. Nulla di questo.
Queste più o meno implicite finalità erano infatti possibili – e di fatto «questo» è stato affermato – solo ed esclusivamente in teologie incernierate a concezioni cosmologico antropologiche antropocentriche fissiste, in cui la specie umana, nelle sue specifiche caratteristiche biologiche, ontologiche ed etologiche, era intesa sia come «meta teleologica» dei processi creativi che della soteriologia attribuita ai Vangeli, alla figura e ruolo di Gesù.
Ma questa accezione, prima con Copernico, poi con Darwin, infine con Freud ed in generale tutta la scienza moderna, è decisamente stata respinta, a favore di una ben diversa concezionem in cui non c'è spazio per quelle visioni, chiaramente anacronistiche e infondate. È dunque assolutamente fuorviante esibire lo stesso assillo, la stessa disposizione, le stesse preconcette finalità e mete esegetiche: nella misura in cui – come «costoro» han sempre sostenuto – i Vangeli contengono una «assoluta verità», i Vangeli «non possono» fare affermazioni di tal fatta. Nella misura in cui i Vangeli esprimono qualcosa di sovrannaturale ebbene, questo sovrannaturale non può «ragliare» delle favolette fantasiose ed infondate.
È un insulto ad ogni sovrannaturale «intelligenza» attribuire alla stessa congetture così infondate, così vuote, così schizofreniche. «Se» i Vangeli parlano di qualcosa di «sovrannaturale», «allora» nessuna di quelle dozzinali congetture può trovar luogo in essi. Esse sono solo banali culti antropomorfi, datati; o meglio «… un vano culto che mi rendono, insegnando dottrine che son precetti (imparaticcio di usi umani (Is 29, 13)) di uomini.» (Mc 7, 7)
In questi brani si trova soltanto una precisa definizione di «Amore», ad uso e consumo esclusivo di «Uomini» e «Donne». La definizione di «Amore», di «sposi» che si confà «esclusivamente» alla specie Homo sapiens sapiens religiosus. Un contenuto ed un profilo totalmente inaccessibile sia all' Homo sapiens sapiens teoetotomisticus che all' Homo sapiens sapiens ateisticus. Dunque non una serie di «norme divine» da attuare, da perseguire spesso in contrizione, a cui obbedire «fideisticamente» al fine della salvezza, quanto la definizione, anche qui, di un «Amore» che costituisce solo l'espressione cruciale, il punto d'arrivo dell'esser «già» Homo sapiens sapiens religiosus, «fulcro» del tessuto sociale che «questa» specie potrà considerare consono alle sue esigenze: la «Famiglia» dell' Homo sapiens sapiens religiosus.
Un vero e proprio tratto etologico, del tutto inedito quanto assolutamente inaccessibile alle altre specie viventi, così come ci è del tutto inaccessibile… il senso profondo dell'attività procreativa e della sessualità di scimmie urlatrici o di salmoni.
Dunque, non qualcosa da «scimmiottare», a cui «attenersi» nel contesto di una spasmodica, virtuosa – eppur sterile – ricerca di salvezza sovrannaturale così come definito nelle ortodosse interpretazioni teoetotomistiche, ma qualcosa da poter «esprimere» compiutamente solo una volta giunti ad essere Homo sapiens sapiens religiosus, così come è «espressione» dell'esser diventati a tutti gli effetti regine del cielo… la serie di impressionanti evoluzioni disegnate da due aquile reali adulte durante il corteggiamento nuziale.
Ed un'ultima osservazione: tutto ciò non implica che «singolarmente» queste mete non possano essere state acquisite, condivise, da questo o quelli. Possibilissimo. No, nulla di ciò. Quel che c'è da notare è che «qui», in «questi» testi, questi contenuti sono «esplicitati» con una valenza nettamente più ampia, pubblica... divina. E che «qui», in «questi» testi, queste finalità sono state «esplicitate» oramai da millenni, molto prima di quanto, nelle nostre società urbane post Neolitiche, si affermassero le più deboli avvisaglie dei fondamenti del moderno paradigma evoluzionistico. Qualcosa che lascia veramente attoniti...
Dunque si considerino i brani seguenti:
Mt 5, 27-28; Mt 5, 31-32; Mt 19, 1-12; Mt 19, 19-29;
Mc 10, 1-11;
Lc 16, 18.
Il primo: «Avete udito che fu detto: non commetterai adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna desiderandola, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore».
Quest'esplicito brano, che ha comprensibilmente lasciato interdetti teologi, ed esegeti, contiene il nocciolo del discorso: compreso correttamente questo punto tutto è semplice e chiaro.
L'affermazione è perentoria, non lascia spazio ad interpretazioni parziali, ad equilibrismi di sorta. Netta, chiara, senza mezzi termini. Cosa dice l'esegesi classica di tale brano? L'interpretazione ortodossa dello stesso è comprensibile tenendo in debito conto il retroterra culturale dell'esegeta, la sua «ovvia» e «santa» esigenza: «Evitare l'adulterio».
Mettiamoci un attimo nei panni di un teologo medievale, di uno dei Padri della Chiesa. Possiamo dedurre dalla loro secolare attività teologica come il loro fine fosse dettagliare gli ambiti in cui l'attività sessuale potesse essere «permessa», «lecita», nel contesto di un ovvio riferimento all'istituto sociale matrimoniale; quest'esigenza è però riconducibile ad un preconcetto approccio teoetotomistico incapace, per ovvi motivi, di un'esatta ed efficace interpretazione di contenuti così radicalmente diversi. Dinnanzi all'esplicita affermazione di questi passi la teologia teoetotomista cercò sì una definizione puntuale, pedante ed interiore… ma così facendo essa definì il «suo» preesistente concetto di adulterio, non quello che Gesù voleva esprimere! Una proiezione assolutamente indebita.
Proviamo ad attenerci ai testi e… a puntare forte. Per Gesù il solo «desiderare» indifferentemente una donna od un uomo, tout court, è in nuce «adulterio». Qui non si parla, si badi bene, di donne o uomini con particolari attributi o condizione sociale: solo di «una donna», nulla più. Addirittura si afferma che si «commette» adulterio non solo nell'attuare un qualche gesto esteriore, bensì nel solo formulare il pensiero di «desiderare» una donna!
«Desiderare una donna è adulterio». Questo dice Mt 5, 27-28.
Diamine: prendendo in parola Mt 5, 27-28 si rischia l'estinzione della specie Homo sapiens sapiens! Non si sta forse esagerando? Non necessariamente.
La radice etimologica della parola adulterio ha il significato letterale di «rendere diverso». Si può allora legittimamente inferire che l'intenzione di Gesù fosse quella di far giungere l'uomo ad una meta spirituale da cui non proceda il desiderio di «adulterare», «rendere diversa» la propria sessualità, il naturale istinto sessuale, manifesto nelle due polarità sessuali. È dunque un richiamo alla naturalezza; ma su che basi possono essere adulterate le manifestazioni della sessualità umana? Torniamo all'interpretazione ortodossa del brano.
Si può facilmente constatare come il forte contenuto di quest'affermazione fu «stemperato» combinando questi versetti col contesto interpretativo teoetotomistico del decalogo vetero testamentario. I vari brani, come poi gli altri passi evangelici che trattano di questi temi, vennero intesi nel quadro patriarcale autoritaristico sessuo repressivo che procedeva dalla teoetotomia ebraica: ambito da cui deriverà poi la dottrina cattolica.
I Padri della Chiesa, combinando quest'affermazione con il 9° comandamento – a cui si rifà in verità anche Gesù proprio in Mt 5, 27 –, non pensarono di errare, sempre secondo il «loro» punto di vista, affermando che «solo» nell'ambito del «matrimonio indissolubile» l'adulterio fosse scongiurato.1
Quale fu molto realisticamente il «loro» ragionamento? Si dedusse come, in suddetti brani, Gesù avesse voluto indicare «sicuramente» la «donna d'altri» del 9° comandamento del decalogo. Ma non solo: si giunse a proporre un'ulteriore «interiorizzazione» di questo precetto, autorizzati dalla profonda valenza «spirituale» che traspira da Mt 5, 28, indicando addirittura anche la «peccaminosità» di «sguardi concupiscenti», «impuri», scambiati anche tra i due coniugi!2
Ora, tale spiegazione è innanzi tutto arbitraria ed in più non tiene conto del senso letterale, inconfondibile, di tali brani. In Mt 5, 27-28 non è innanzi tutto specificato né lo stato civile della «donna» in oggetto, né si fa alcun cenno al suo eventuale passato. Non si parla in alcun modo del fatto che questa donna sia sposata, ripudiata, vedova o altro. Si parla di «una donna», tout court, punto e basta. Beninteso, ciò vale anche nel caso di «un uomo».
Come spiegare dunque tale particolare interpretazione? Non c'è in realtà alcun elemento a sostegno; ma ancor più... essa non è neanche necessaria dal punto di vista esegetico! Ma allora da quale assunto, autorità o superiorità logico teologica deriverebbe questa loro accezione interpretativa?
È facile immaginare come l'esigenza di trovare un parallelo nello spirito teoetotomistico del 9° comandamento sia originata dall'aver equivocato l'autentico spirito dei Vangeli e dall'esigenza di salvaguardare, ammettendone la liceità, il «desiderare» la «propria» donna, ovviamente smussando il contenuto di tale affermazione: una pulsione, per «loro» naturale e quindi innegabilmente legittima, che sarebbe stata prima o poi consacrata nell'istituto del matrimonio monogamico indissolubile a loro modo di vedere tracciato in altri passi da Gesù.
Ma, purtroppo per costoro – e per fortuna di tutti gli altri – non è così.
Qui si dà un insegnamento più semplice, più chiaro ed univoco, ma ben più profondo: non desiderare chicchessia come «tuo» oggetto, come «tua» proprietà. Qui si parla dell'immobilizzazione di un essere vivente nell'esclusività gelosa di un rapporto interpersonale, null'altro. Il nocciolo dell'esegesi di questo brano consiste nel non concentrarsi sul sostantivo «donna», ma sul verbo: «desiderare». Qualcosa, tra parentesi, molto «interiore». Dunque, non ci si sta limitando solo a casi manifesti, di quelle modalità di «possesso sociale» di un essere umano come quelle attuate in società dove il matrimonio è stabilito socialmente sulla base di tradizioni patriarcali e così via. Qui si sta puntando sulla sfera «psico cognitiva» dell'individuo.
Dunque il verbo «desiderare». Cosa significa in particolare? Questo verbo non sta ad indicare la pulsione sessuale naturale – e non può farlo, ci estingueremmo! –, ma un particolare «desiderio» psichico: un'esigenza psichica interiore dell'individuo che conduce a «desiderare» l'altro, un essere umano, in modo «adulterato», «diverso».
Non c'è che dire: il dubbio che si stia esagerando è forte, molto forte. Ma si provi ad insistere...
Bene: come si può desiderare in modo «adulterato», dunque «diverso», un altro essere umano, uomo o donna che sia? Cosa c'è di «adulterato» in tale desiderio? Quale spiegazione, ed ancor più, quale soluzione si può intravedere? Quale sarebbe l'atteggiamento «non adulterato» e perché intendere negativamente tale «adulterazione», tale «diversità»? Queste le domande a cui dare risposta.
Come si è accennato, la risposta prende le mosse dalle teorie psicoanalitiche, in special modo quella del «complesso edipico» – sommo dell'ironia da sempre avversate dalla teologia ed «intellighenzia» cattoliche.
Freud afferma come, sicuramente nelle società come quella occidentale, nell'adolescenza l'individuo percepisca una profonda attrazione, non esente da incomplete venature sessuali oltre che affettive, nei confronti del genitore di sesso opposto.3 Quest'attrazione comporta per l'adolescente tutta una serie di contrasti e tensioni emotive che, nell'epilogo considerato «sano», «consono» dalla teoria stessa, si compirebbe positivamente con la definizione di un nuovo oggetto affettivo, un nuovo investimento, estraneo dalla costellazione famigliare: un individuo, di solito di sesso opposto, verso il quale il soggetto sposta le sue attenzioni affettive e sessuali.
Verso questa figura esterna dunque si realizzerebbero delle proiezioni psichiche, mediate a partire dalle incestuose fissazioni precedenti, tramite le quali ciascuno cerca di surrogare il desiderio impossibile, frustrato che lo spinge con bramosia, in un sentimento di esclusivo «possesso», verso il genitore di sesso opposto. Il quadro intero della dinamica edipica deve comunque essere completato da un altro contenuto psichico.
Un'altra importante componente psicodinamica del complesso edipico, della sua evoluzione e del suo epilogo, è rappresentata dal processo di identificazione con il genitore dello stesso sesso, mediante il quale l'adolescente assimila inconsciamente i fondamentali aspetti etici, ed ovviamente ideologici, dei suoi educatori.
È intuibile l'importanza di queste dinamiche per lo sviluppo della personalità ed in particolar modo per la formazione di quell'istanza dell'Io costituita dal Super-Io. L'evoluzione e l'epilogo del complesso edipico riveste un ruolo importantissimo proprio nella compartimentazione della personalità, così come è desumibile dalle teorie psicanalitiche.
Il complesso edipico assume un ruolo centrale nella caratterizzazione etica e culturale, sociale dell'individuo. Da un lato ne condiziona il carattere, la personalità, permettendo uno sviluppo dell'istanza del Super-Io estremamente importante nella definizione del carattere sociale; dall'altro va a condizionare pesantemente, come si vedrà, l'etica sessuale e l'affettività dell'individuo. Grazie alle proiezioni incestuose procedenti dalla costellazione edipica, proiezioni trasposte dunque anche nell'epilogo «sano» di questo processo secondo le opinioni correnti, si andrebbe a formare la base affettiva, la naturale propensione interiore, con cui successivamente si costituirebbe la nuova «coppia», un nuovo, importante nucleo affettivo: la famiglia umana da cui, con lo sviluppo dei futuri figli, si ripeterebbe, all'infinito, tale dinamica. Questa teoria di sentimenti, desideri, proiezioni ed identificazioni sarebbe infatti l'epilogo normale, sano, quindi universale della specie umana che, secondo Freud, è da intendere come un retaggio atavico dell'essere umano, intrinseca ed universale manifestazione radicata nella sua stessa natura.
Egli inoltre, nel quadro della sua analisi, molto sensibile agli aspetti della sessualità, in particolare della repressione della sessualità nel contesto dell'eziologia delle psicopatologie, attribuì al mancato epilogo normale delle dinamiche edipiche le manifestazioni nevrotiche – impotenza, frigidità, timidezza, complessi d'inferiorità e di colpa, sadomasochismo, iper aggressività etc. – che individuava nei suoi pazienti.
Oggigiorno, tale teoria, seppur limata dalle forzature derivanti dal contesto socio culturale e dalla particolare situazione caratteriale di Freud, conserva un rilevante ruolo nella moderna psicoanalisi – e recentemente molte sue analisi stanno addirittura tornando in auge, sospinte dalle evidenze che si stanno accumulando da una sempre maggior sinergia tra ambiti di studio come le moderne neuroscienze e la psicoanalisi, seppur dopo un momento di riflessione metodologica a carico di quest'ultima.
Numerosi autori, tra cui Fromm,4 pur criticando infatti alcune motivazioni addotte dallo stesso Freud – attrazione sessuale verso il genitore di sesso opposto, desiderio di uccidere il genitore dello stesso sesso etc. – ne hanno comunque accettato da tempo la validità generale ed il fatto che, grazie a tale complesso di pulsioni, l'individuo, orientandosi verso una figura esterna al nucleo famigliare, giunga «naturalmente» a porre le basi per la formazione di una nuova famiglia.
Questo complesso di sentimenti viene dunque riconosciuto ed inteso quale naturale, universale «dinamica e dotazione psichica» dell'essere umano. Eppure è possibile porre un'obiezione proprio a questa conclusione; questa serie di pulsioni non rappresenta necessariamente il «sano» epilogo dello sviluppo psico sessuale dell'individuo, né la «naturale ed universale» base emotiva dello stesso, l'«ecumenico» contenuto della natura umana. Esso costituirebbe, per contro, una manifestazione particolare, contingente, dello sviluppo psico sessuale dell'uomo, ed ancor più una vera e propria «sindrome psicopatologica», ovviamente intesa nella nostra società, nella nostra cultura, come dinamica del tutto «naturale, non adulterata».
Siamo dinnanzi ad uno di quegli ambiti psico cognitivi in cui il senso comune, il carattere sociale, i più reconditi e inconsci principi e valori etici condizionano pesantemente il modo di pensare dell'individuo, dato il peso emotivo del tema in oggetto.
La psicoanalisi classica pensò dunque di riconoscere nella dinamica edipica la molla psichica fondamentale dell'amore erotico e sentimentale: una constatazione «blasfema», apparsa sicuramente riduttiva alla sensibilità dell'uomo comune e non meno a quella di chi cercava di «sacralizzare» tale unione proteggendola gelosamente da ogni pur minima ombra di «adulterio». Una delle grandi «eresie» di Freud, una delle grandi sue «colpe», secondo il comune modo di intendere, e per certe correnti di pensiero, è stata proprio questa. Estrapolando dallo specifico tema edipico per rivolgerci all'intero corpus dei suoi studi, delle sue teorie, il lavoro di Freud in realtà conduce ad una irreparabile «smitizzazione» di due delle più sublimi, idealizzate ed archetipiche concettualizzazioni dello spirito umano, dell'immaginario collettivo: Dio e l'amore. Una colpa che non gli è mai stata perdonata dalla nostra società.
Il fatto è che, mentre la sua teoria «totemica» di un Dio visto come prodotto della psiche umana, di proiezioni e identificazione riconducibili alla dinamica edipica, a rapporti di dominanza propri di un'idealistica quanto inverosimile comunità primitiva è stata superata dalle attuali conoscenze antropologiche, dal pensiero filosofico e teologico, diverso è il destino delle sue teorie della dipendenza dello sviluppo della personalità, delle spinte affettive e del comportamento umano dalle esperienze della sua adolescenza, della sua infanzia, con particolare riferimento alla sfera sessuale.5 Un riferimento sicuramente e giustamente smussato rispetto alle originali convinzioni freudiane, ma non per questo smentito dalla psicoanalisi, ove tale contenuto è solo ricondotto ad un'importanza e ruoli meno assoluti, tali da far apprezzare altri aspetti non meno rilevanti nella comprensione del comportamento interpersonale, affettivo e sessuale dell'individuo.
Freud, riconducendo le manifestazioni affettive e sessuali dell'adulto ad esperienze ed esperienze provate dal soggetto sin dai primissimi anni di vita – in particolare ad un atteggiamento educativo repressivo nei confronti della sessualità –, commise il torto d'incrinare la lucente sfera di cristallo della quale generazioni di ispirati poeti avevano cantato l'amore sublime degli amanti eterni, struggenti amori impossibili, sfera dai colori soavi e tragici con cui si era dipinto l'inconscio collettivo della nostra società. Un gesto «sacrilego», irreparabile: forse valido da un mero punto di vista scientifico, certamente estraneo agli originali intenti del suo artefice, quanto tragicamente caustico nei confronti del sistema di riferimento psichico caratteriale ed affettivo profondo dell'individuo della nostra società.
Un gesto che forse per questo è stato inconsciamente inteso dai più quale approccio riduttivo e parziale, quale irriverente «scomposizione» di un sentimento così importante dell'uomo; un'interpretazione assolutamente inadeguata per il significato totale dell'amore nell'economia affettiva dell'individuo.
In tale rigetto, non tanto inconscio, è poi individuabile il ruolo della cultura patriarcale, sessuo repressiva, della nostra società teoetotomistica. Sicuramente, anche a motivo delle sue posizioni atee, Freud attirò sul suo lavoro l'ostilità della cultura ortodossa, gli strali della critica clericale che, cogliendo al volo la successiva critica scientifica, come detto utile, giustificabile, ma non devastante nei confronti delle sue teorie, fomentò ad arte una valutazione riduttiva delle sue interpretazioni che contribuì ad ostacolarne la meritata collocazione nell'ambito del discorso sull'igiene mentale dell'uomo.
C'è da convenire come il meccanismo della dinamica edipica proposto da Freud fosse decisamente «forte». Secondo questa interpretazione il sentimento di amore tra esseri umani deriverebbe da tale contenuto dell'esperienza adolescenziale, nel quale si determinerebbero tutte le spinte interiori con cui l'individuo si rivolgerebbe idealmente verso figure sostitutive del genitore «tanto bramato», a cui ci si accosterebbe onde ovviare alla propria castrante solitudine interiore, con un miscuglio di pulsioni inconsce e di esigenze più tangibili e coscienti – come il desiderio di allontanarsi dalla propria nicchia e collocazione famigliare, od ancor più per esprimere il proprio desiderio sessuale.
Masochisticamente parlando, l'individuo ricorrerebbe a questa esperienza per superare le proprie paure, la propria presunta inferiorità con una dissoluzione simbiotica in una «monade relazionale» impossibile. La reminiscenza dell'oggettiva dolcezza, del profondo affetto dei genitori, del caldo ricordo del seno materno, dell'abbraccio rassicurante delle braccia paterne dunque condurrebbero, sotto la mediazione di altri tipici aspetti etico culturali della società, a reiterare analoghe esperienze, comunque trasposte in nuovi contenuti affettivi, in altre figure, ad investire in inedite simbiosi quell'assoluta carenza interiore, quello strappo affettivo progressivamente realizzatosi nel corso dell'esistenza. I sentimenti che infatti spingerebbero verso queste figure, normalmente – ma non necessariamente – di sesso opposto, esprimerebbero istanze emotive e psichiche profonde, contemporaneamente da rivivere e rifuggire data la diversa realtà che fa capo a questi rapporti ed alle nuove esigenze avvertite in questi stadi dell'esistenza.
A tal pro, sono interessanti alcune considerazioni di Erich Fromm: «L'attaccamento e la dipendenza dalla figura materna è più che attaccamento ad una persona: è l'aspirazione ad una situazione nella quale il bambino è protetto e amato, e non ha responsabilità da affrontare.
Tuttavia non è solo il bambino a nutrire tale desiderio. Se diciamo che il bambino è indifeso e quindi ha bisogno della madre, non dobbiamo però dimenticare che ogni essere umano è indifeso rispetto al mondo nel suo complesso.
Indubbiamente, può difendersi e provvedere a sé stesso entro certi limiti, ma se si tengono presenti i pericoli, le incertezze, i rischi che deve affrontare, e considerando d'altra parte quanto scarso sia il suo potere di venire a capo di malattie fisiche, povertà, ingiustizia, c'è da chiedersi se l'adulto sia meno indifeso di quanto sia il bambino.
Il quale però ha una madre che col suo amore allontana tutti i pericoli, mentre l'adulto non ha nessuno. Certo, può avere amici, una moglie, una certa dose di sicurezza sociale, ma anche così la sua possibilità di difendersi e di ottenere quello di cui ha bisogno è fragilissima. C'è quindi da stupirsi che porti dentro di sé il sogno di trovare di nuovo una madre o di trovare un mondo nel quale possa essere ancora un bambino? In effetti, la contraddizione tra l'amore per la paradisiaca vita infantile e le necessità derivanti dalla sua vita adulta, può a ragione essere considerata il nocciolo di tutti gli sviluppi nevrotici.»
Ed ancora, criticando i contenuti fortemente «sessuali» addotti da Freud per spiegare la natura di tale attaccamento: «Dove Freud errava e doveva errare a causa delle sue premesse, era nella visione dell'attaccamento di natura essenzialmente sessuale.
Applicando la sua teoria della sessualità infantile, era per lui logico presumere che ciò che lega un bambino piccolo alla madre è il fatto che essa è la prima donna della sua vita che gli sia vicina, e che fornisce ai suoi desideri sessuali l'oggetto naturale cui egli aspira... ma – e qui risiede il grande errore di Freud – non è il desiderio sessuale a rendere il rapporto con la madre così intenso e vitale.
Tale pregnanza si fonda sul bisogno di quel paradisiaco stato di cui ho appena parlato, e non è certo il desiderio sessuale a rendere la figura della madre così importante non solo durante l'infanzia, ma forse anche per l'intera esistenza di un individuo.
A Freud è sfuggito il fatto ben noto che i desideri sessuali di per sé non sono caratterizzati da grande stabilità. Persino la più intensa relazione sessuale, se non è intessuta di affetto e di forti legami emozionali, il più importante dei quali è l'amore, è di durata piuttosto breve, e si è probabilmente ottimisti attribuendole una durata di sei mesi...
Presumere che gli uomini possano essere legati alle loro madri a causa dell'intensità di un nesso sessuale che risale a venti, trenta o cinquant'anni prima, è semplicemente assurdo...» e conclude «... non si può comprendere la vita amorosa di un uomo se non si capisce come egli tentenni tra il desiderio di ritrovare la madre in un altra donna, e il contemporaneo desiderio di allontanarsi dalla madre per trovare una donna che sia il più possibile diversa dalla figura materna. Tale conflitto è uno dei fondamentali motivi di divorzio, poiché accade spesso che la donna non sia una figura materna all'inizio del matrimonio, ma che nella vita matrimoniale, nel corso della quale essa si prende cura della famiglia, spesso divenga una sorta di tiranna che distoglie l'uomo dal suo desiderio infantile di altre avventure: appunto per questo, essa assume la funzione della madre, e come tale è desiderata dall'uomo, che nello stesso tempo ne ha timore e ne è respinto.»6
Che dire a commento di queste affermazioni? Prima di tutto che quel che qui è proposto tra il bambino e la madre risulta, seppur più complesso, ribadito nei rapporti tra la bambina ed il padre. Quindi analoghe dinamiche sono riscontrabili anche in questa evenienza.
Secondo, che anche Fromm accetta, malgrado le sue critiche, l'assunto freudiano che attraverso la dinamica edipica si originino gli sviluppi nevrotici che così spesso penalizzano l'esistenza dell'individuo, a conferma del ruolo centrale di tali esperienze nello sviluppo della personalità umana.
Terzo, che le esperienze affettive dell'individuo in maturazione contengano, in nuce, un aspetto di contraddizione, una profonda bivalenza. L'opposizione tra un'esigenza di ristabilire utopisticamente una situazione ormai persa nelle nebbie dei propri ricordi e un'altrettanto profonda esigenza di sperimentare realtà alternative, nuove, continuamente future, completamente aliene da simili sclerotizzazioni.
Ora, tenendo in particolar conto quest'ultimo punto, si vorrebbe sottolineare, prima di proseguire, un particolare aspetto connesso all'emersione delle dinamiche edipiche. Se è dunque vero che non è la base sessuale a definire l'attaccamento al genitore dell'altro sesso, c'è comunque un qualche nesso tra le esperienze connesse all'emersione della sessualità e l'atteggiamento etico sessuale sperimentato dal piccolo individuo nella sua infanzia ed adolescenza? Ed ancora, quali legami o nessi notevoli nella determinazione della vita affettiva, nelle manifestazioni dell'adulto, possono essere evidenziati tra queste esperienze ed altri aspetti della personalità adulta?
Per quanto riguarda la prima domanda la risposta è affermativa.7
Non si può negare come, in un contesto sessuo repressivo, l'incipiente sessualità del bambino, o della bambina, inizi ad essere osteggiata dai genitori in particolar modo quando l'infante esibisce attenzioni a sfondo sessuale, sia in modo autoerogeno, sia nei confronti e dei fratelli o sorelle, sia, ancor più, verso il genitore del sesso opposto. E se è vero che l'attenzione e l'attaccamento verso quest'ultimo non sono da ricondurre ad un'attrazione eminentemente sessuale, bensì alle manifestazioni di un coacervo complesso di pulsioni affettive, è altrettanto innegabile che tali manifestazioni assumono, proprio in concomitanza allo sviluppo sessuale infantile, a seguito dell'intrinseca, naturale innocenza delle espressioni del bambino, «anche e soprattutto» un riferimento sessuale.
Il bimbo, o la bimba, veicolano «innocentemente» il loro desiderio di affetto, di protezione, di contatto fisico e di rapporto emotivo anche con i primi rudimenti, appena abbozzati, di manifestazioni sessuali, in linea a quella spontaneità, quel naturale «principio del piacere» che informa ogni loro espressione vitale – opportuno sembra il riferimento alle manifestazioni libidiche pregenitali messe in evidenza, ancora una volta, dallo stesso Freud. Ora è chiaro che il bimbo, seppur non manifesti in ciò un attaccamento esclusivamente «sessuale» nei confronti del genitore di sesso opposto, del fratello o della sorella, fa un'esperienza, profondamente castrante e penosa proprio a riguardo della «sua» innocente manifestazione di sessualità.
L'ostracismo dei genitori è infatti condizionato culturalmente a respingere e gestire con una preoccupazione per loro del tutto «naturale e scontata» le manifestazioni del piccolo o della piccola che «ai loro occhi» abbiano un apprezzabile contenuto sessuale, dunque dal loro punto di vista «inaccettabili», non quelle «lecite» al loro codice etico. Un genitore cioè non reprime, o ricaccia da sé, redarguendolo, il piccolo che si strusci affettuosamente al suo viso, baciandolo e stringendolo con le manine, mentre farebbe tutto ciò senza esitazioni se il bimbo cercasse di carezzare o scoprire i genitali dello stesso e strofinare il proprio sesso contro quelle del genitore di sesso opposto. Per questi genitori è invero «naturale» che il loro piccolo posso cercare il contatto di un viso, mentre è quanto meno «imbarazzante», segno quanto meno di un qualche misterioso, connaturato «disordine» che una bimba possa provare piacere dal carezzare – che forse sarebbe saggio intendere come espressioni d'innocente curiosità – parti intime del suo papà.
Ma tutto questo deriva da un'accezione di «naturalità/innaturalità» che in realtà è applicata in modo assolutamente infondato e superficiale. È comunque verso queste manifestazioni che si esprime l'atteggiamento dei genitori, ed è proprio questo che rende evidente al piccolo la natura «sessuo-fobica» della censura, del rigetto dei genitori, così penoso per lui. Un rigetto questo che s'affianca a quello similmente esibito dai genitori nei confronti delle sue manipolazioni autoerogene ed ad eventuali atteggiamenti di stampo sessuale eventualmente esibito con amichette od i fratelli.
Non necessariamente si deve concludere che Freud avesse voluto sottolineare ad arte quest'aspetto nell'evidenziare la matrice sessuale della teoria del complesso edipico: se è giusta la critica che porta a non interpretare come manifestazione sessuale l'attaccamento del bimbo verso il genitore, è innegabilmente sessuale la sfera in cui il piccolo, o la piccola, fanno l'esperienza di questo rigetto. L'esperienza edipica dunque è effettivamente sperimentata dal bambino nel contesto di un'etica sessuo repressiva manifestata dal tessuto socio culturale in cui lo stesso viene ad emergere, e che andrà ad interiorizzare nel corso della sua educazione.
Ecco il trait d'union che unisce, con un nesso sommerso, le repressioni delle pulsioni sessuali dell'infanzia e le eventuali rimozioni che darebbero vita alle fissazioni pregenitali, all'emersione del complesso edipico, all'eventuale fase di «latenza sessuale» e per ultimo allo sviluppo del Super-Io, che del complesso edipico rappresenta inevitabile appendice e trasformazione.
È da precisare che non si sta qui perorando un inetto lassismo educativo. Né qualsivoglia, pur flebile tolleranza a ipotesi d'incesto! Tutt'altro. Si sta solo sottolineando come questi atteggiamenti, che si condividono nel momento in cui si rivolgono a tali fasi di sviluppo psico-cognitivo ed affettivo di un infante, devono essere assolutamente «relativizzati» – specialmente, come si vedrà, in relazione a pesanti implicazioni che emergeranno quando si andrà a trasferire questa serie di istanze nel contesto di sviluppo complessivo dell'individuo, in particolare per le implicazioni socio cognitive e culturali che questo complesso di esperienze ha a livello socio culturale.
Il complesso edipico costituisce dunque la strozzatura tramite la quale processi di rimozione e d'identificazione, procedenti dalle esperienze della sfera sessuale, vengono ad esprimersi dinamicamente nella struttura compartimentata, trivalente, dello psicoide. Il divenire di tutti questi momenti dell'esperienza individuale costituisce un complesso inscindibile che ha un ruolo fondamentale nella determinazione della personalità e, parallelamente, nell'origine, evoluzione e composizione delle nevrosi, delle più penose patologie.
L'aspetto notevole di questo complesso è che esso risulta imperniato, non tanto per quel che risultano essere le pulsioni e le manifestazioni sperimentate nel corso dello sviluppo dell'individuo quanto per le manifestazioni etiche dei genitori e della cultura che lo accolgono, su di un atteggiamento repressivo particolarmente concentrato sulla sfera sessuale. Un atteggiamento dato da tutti per scontato, inevitabile, ovvio, ma che in realtà è solo locale, parziale, opinabile, culturalmente contingente. Ma torniamo al nostro complesso di dinamiche psichiche, ed al loro significato nella genesi e caratterizzazione della personalità.
Nelle originarie posizioni freudiane il complesso edipico risulta il nocciolo di tutte le nevrosi, essendo un crocevia dove convergono le manifestazioni delle rimozioni connesse con la sfera sessuale e nel contempo il trampolino per la strutturazione del Super-Io. In esso sembra convergere, per poi originarsi, riprendendo la terminologia propria di Freud, l'«... angoscia nevrotica e morale…», da porre in relazione alla dipendenza dell'Io sia dalle spinte destabilizzanti dell'Es che dal codice morale del Super-Io.8
Questa centralità della dinamica edipica nello sviluppo della personalità e le sue profonde connessioni e derivazioni dalle esperienze dell'infanzia, specialmente quelle sessuali, conducono ad un altro interessante aspetto molto importante nel novero del nostro discorso: l'emersione del carattere sado masochistico. Questa manifestazione dell'essere umano, fortemente diffusa nella società attuale, rappresenta una potente componente della personalità; componente spesso sottesa e disconosciuta nel mentre non si esprime nelle forme patologiche più clamorose, quanto più o meno velatamente presente in un gran numero di casi.
All'inizio degli studi freudiani, i più efficaci nell'analisi del contenuto profondo ed inconscio di questa «sindrome» caratteriale, le manifestazioni sado masochistiche furono associate da Freud ad aspetti riconducibili a particolari deviazioni dell'istinto sessuale. Successivamente lo stesso abbandonò queste posizioni per elaborare una teoria che cercava di spiegare tale manifestazione come prodotto di un «istinto di morte», una distruttiva valenza, profondamente radicata nella natura umana che, rivolgendosi ed allo stesso individuo od ad altri individui, determinava le espressioni sadiche e masochistiche del soggetto.9
Anche la teoria istintuale di Freud è stata pesantemente criticata, a motivo di una significativa inconsistenza di alcuni aspetti teorici della stessa, da cui deriverebbero alcune contraddizioni.10 Tralasciando i contenuti più generali, è rilevante la critica di cui è stato investito il concetto dell'opposizione dualistica, dicotomica, tra Eros e Thanatos mediante il quale Freud cercò di ricomporre, ad un certo stadio di sviluppo della sua opera, la sua interpretazione del sadismo e del masochismo, di questa aggressività e distruttività dell'uomo rivolta e verso gli altri e verso se stesso.
Il ricondurre queste manifestazioni alla contraddizione interiore, organica della natura umana, ricorrendo alla suddetta dicotomia, è stato inteso, più che un'elaborazione di una base razionale e congrua di evidenze, un tentativo, sicuramente onesto nei suoi intenti, in realtà rivelatosi solo frutto inconscio di una concezione riduttiva e fuorviante della natura umana, culturalmente condizionata, con cui Freud ha cercato di ovviare all'incapacità esplicativa dell'originaria teoria sull'origine delle sindromi sadiche e masochistiche.
L'aver tolto l'interpretazione di queste sindromi dall'angusta concezione che le definiva quali mere manifestazioni patologiche delle fonti pulsionali sessuali rappresenterebbe un'evoluzione positiva dell'analisi freudiana che però non approdò ad un'alternativa consona ed esauriente in merito alla loro reale origine.
Il problema risulta d'ordine metodologico. Freud cercò di porre un'alternativa alle sue originali ipotesi sull'origine del sadismo e del masochismo, mentre in realtà doveva solo evidenziare l'altrettanto importante complemento alle sue originali teorie: un complemento che non escludesse una fonte determinativa prossima alla sessualità ma che integrasse questa e tutti gli aspetti precedentemente discussi – rimozioni pregenitali, fase edipica e sviluppo dei Super-Io – in un quadro esplicativo e critico anche sotto il profilo sociale e culturale, mettendo in evidenza quella situazione ontologica e culturale altrettanto importante nelle loro manifestazioni, nella loro origine.
È in questo campo infatti che si può rintracciare la radice complementare di tali sindromi, nel quadro di una visione unitaria e coerente che la porrà in stretta relazione con i meccanismi eziologici delle stesse, affluenti dalla sfera delle pulsioni sessuali, delle loro rimozioni. Il primo passo da fare è quello di concepire la compartimentazione dello psicoide, composizione della personalità su cui si basa l'intero corpus delle concezioni freudiane, non quale rappresentazione di un mero ed eterno antagonismo tra Es ed Io. È possibile infatti comporre le relazioni tra l'inconscia frazione dell'Es o la cosciente azione dell'Io non in termini di «contrapposizione», «controllo e repressione» vigile dell'Io nei confronti delle pulsioni che erompono dall'Es, bensì in termini di coerente «comprensione ed integrazione» di queste due porzioni dello psicoide.
È un aspetto decisivo. È importante osservare come questo nuovo approccio derivi essenzialmente dalla disposizione cosciente dell'Io, nulla più. È la formazione culturale dell'istanza dell'Io che determina la sua azione nei confronti dell'Es. Nella teoria classica, l'Io è inteso come una sorta di censore che, posto sull'ipotetica soglia da cui erompono dall'oscurità insondabile dell'Es improvvise e profonde pulsioni, «seleziona» il loro accesso alla coscienza, ricacciando indietro tramite il processo della «rimozione» quelle pulsioni indesiderabili ed inopportune la cui attuazione comporterebbe per l'individuo insopportabili angosce, situazioni di tensione, di stress e quant'altro.
Ma si faccia attenzione: in questa visione dell'azione e del ruolo censorio dell'Io, trascurando per un attimo la contemporanea, decisiva azione del Super-Io, si va a riversare in realtà un atteggiamento etico che rispecchia una ben precisa concezione filosofica, una visione metafisica del tutto contingente. Guarda caso, in tale concezione riecheggia una «antropologia» nettamente teoetotomistica! Un «Io» conscio che cerca continuamente di ricacciare indietro le violente e disgreganti pulsioni di un «Es» oscuro e irrazionale, pregno di potenziali nefandezze, alla luce dei superiori «insegnamenti» di un «Super-Io» che si erge come intimo, onnipresente censore etico costituisce innegabilmente uno stretto, inquietante parallelo con una metafisica teoetotomistica:
___«Super-Io» ––––––– «Legge Divina-Dio»
_«Io» ––––––– «Individuo»_«Es» ––––––– «Natura corrotta»
«Super-Io», «Io», «Es» da un lato, «Legge Divina-Dio», «Individuo», «Natura corrotta» dall'altro. Il parallelo è evidente e sconcertante.
E si notino, per inciso, altri possibili, inquietanti, parallelismi socio culturali; «Società Civile-Divina», «Cittadino, espressione dei principi etici, politici e socio economici », «Realtà esterna tutta da "civilizzare" (convertire) ai sensi dei particolari principi (Divini) della società». Ecco allora una radice teologico ideologica per imperialismo, xenofobia, etnocentrismo, guerre di religioni, crociate, ma a fianco di questo, ecco quell'atteggiamento diffuso delle società teoetotomistiche di porre in essere interventi ecologico economici del tutto eccessivi, patologici, tesi non ad una comunione, uso parsimonioso e condivisione razionale e lungimirante della natura, quanto al suo feroce e psicotico piegamento, subordinazione, sconvolgimento ai fini di Società superiore, di un'artificiosità della società intesa quale antitesi, alterità di un mondo naturale inadeguato e comunque da dominare stoicamente...
La compartimentazione trinaria dello psicoide formulata da Freud, e riscontrata proprio in individui di una tipica società teoetotomistica, la borghesia viennese degli inizi del 900, assume su di sé elementi assolutamente ideologici della società in cui Freud visse: colmo dell'ironia elementi teoetotomistici, teistici, assolutamente antitetici all'ateismo che Freud professò. Un'altra testimonianza dell'assuefazione e della persistenza di certi modelli filosofici anche nelle idee di uomini, come Freud, che andarono a costituire la punta di diamante della critica laica alle teoetotomie!
Ecco in cosa si condensa il presente tentativo di interpretazione: come inquadrare il tutto in una filosofia ed antropologia religiosa, non teoetotomista? Cosa… potrebbe immaginare Freud in questo caso?
Vedremo quale risposta potrà emergere. La particolarità di un'influenza filosofica, le implicazioni di contingenti istanze cognitivo culturali, spesso ansiogene, nelle manifestazioni psichiche, è dunque sfuggita nella sua piena rilevanza anche agli stessi critici di Freud; questi tuttavia giunse ad intuirne l'esistenza.11
Prendiamo ad esempio il caso dell'«agorafobia». Lo stato di angoscia sperimentato da un soggetto a questa fobia psicologica rappresenta la reazione dell'Io al disagio dato da grandi spazi, da lunghi viali, che o lo riconducono a penose, traumatizzanti, esperienze del passato, od evocano visioni, auto percezioni tali da indurre insicurezza, timore, solitudine: valutazioni cioè angoscianti in riferimento al proprio essere «attuale» ed alla propria auto-percezione ontologica.
La fuga funzionale dell'Io da queste situazioni di disagio pone in essere sì un aspetto istintuale – l'istinto di fuga –, ma ciò avviene come conseguenza di un'elaborazione conscia, puramente intellettuale, tra un evento fisico della realtà esterna, lo spazio tangibile di una piazza, inteso come «causa», ed una sensazione interiore di disagio, di angoscia – comunque razionalizzabile –, a sua volta vista come «effetto».
Quest'associazione «spazio fisico»-«angoscia psichica», tra evento fisico esterno ed emozione profonda, viene risolta dall'Io con un atteggiamento di fuga potrebbe essere trattato psicoanaliticamente con la rievocazione dell'esperienza passata che condusse alla fissazione nevrotica, al suo approccio alla coscienza, ed infine con una successiva rielaborazione cosciente, intellettuale in grado di superare queste espressioni fobiche.
Un'analoga situazione potrebbe essere invocata anche per le manifestazioni sadiche e masochistiche.
«Sia gli impulsi masochistici che quelli sadici tendono ad aiutare l'individuo a sfuggire all'intollerabile sentimento di solitudine e impotenza che egli prova. L'osservazione psicoanalitica di persone masochiste fornisce ampiamente le prove... che esse sono piene del terrore della solitudine e dell'insignificanza. Spesso questo sentimento non è cosciente; non di rado è mascherato da sentimenti compensatori di valore e perfezione. Tuttavia, solo che si penetri più a fondo nella dinamica inconscia di queste persone, si ritrovano senza fallo questi sentimenti. L'individuo si ritrova “libero” nel senso negativo, cioè solo con sé stesso e di fronte a un mondo alienato, ostile... l'individuo spaventato cerca qualcuno o qualcosa a cui legarsi; non può più sopportare di essere sé stesso e cerca freneticamente di disfarsi della propria individualità e di trovare di nuovo un sentimento di sicurezza eliminando l'io.
Il masochismo è una via indirizzata a questo fine. Le diverse forme che assumono le tendenze masochistiche hanno un solo scopo: disfarsi dell'io individuale, perdersi; in altre parole, disfarsi del peso della libertà. Questo scopo è ovvio in quei casi di masochismo in cui l'individuo cerca di sottomettersi a una persona e a un potere che ritiene irresistibilmente forte... la soluzione masochistica non risolve nulla, nemmeno in termini relativi. Scaturisce da una situazione intollerabile, tende a superarla, e lascia l'individuo impigliato in nuove sofferenze.
Se il comportamento umano fosse sempre razionale ed intenzionale, il masochismo riuscirebbe inesplicabile, come in generale appaiono le manifestazioni nevrotiche. Tuttavia, lo studio delle turbe emotive e mentali ci ha insegnato questo; che il comportamento umano può essere motivato da impulsi causati dall'ansietà, o da un altro intollerabile stato mentale, che questi impulsi tendono a superare questo stato emotivo e tuttavia non riescono che a mascherare le sue manifestazioni più visibili, o talora nemmeno queste.»12
In conclusione allora «... le tendenze masochiste sono provocate dal desiderio di disfarsi dell'io individuale con tutte le sue manchevolezze, i suoi conflitti, rischi, dubbi, e la sua intollerabile solitudine, ma riescono solo a rimuovere il dolore evidente o magari portando a una sofferenza anche maggiore. L'irrazionalità del masochismo, come di tutte le altre manifestazioni nevrotiche, sta nella finale futilità dei mezzi adottati per risolvere una situazione emotiva indifendibile...» ma «... l'annullamento dell'io individuale, e il tentativo di vincere in tal modo l'intollerabile sentimento di impotenza, sono solo un aspetto dell'attività masochistica. L'altro aspetto è il tentativo di entrare a far parte di un tutto esterno più grande e più potente, di sommergersi in esso e farne parte. Questo potere può essere una persona, un'istituzione, Dio, la Nazione, la coscienza, o un'ossessione psichica.»13
Da questi passi di Fromm emerge perfettamente evidenziata la radice complementare, essenzialmente ontologica, che conduce alle visioni nevrotiche del masochista ed in ultimo la spinta a compensare «simbioticamente» con eventi e figure esterne, l'oceanica angoscia masochistica.
Notando la possibilità di questi legami complementari tra masochismo ed il suo opposto, il sadismo, Fromm così si pronuncia infatti: «Il piacere del completo dominio su un'altra persona (o su altri oggetti animati) è la vera essenza dell'impulso sadico. Può sembrare che questa tendenza a rendersi il padrone assoluto di un'altra persona sia l'opposto della tendenza masochistica, e il fatto che queste due tendenze siano così strettamente intrecciate può lasciar perplessi. Senza dubbio rispetto alle sue conseguenze pratiche il desiderio di dipendere, o di soffrire, è l'opposto del desiderio di dominare, e di far soffrire gli altri. Tuttavia, psicologicamente le due tendenze sono il risultato di un solo bisogno fondamentale, derivante dall'incapacità di sopportare l'isolamento e la debolezza del proprio io. Propongo di chiamare simbiosi il fine che sta alla base del sadismo e del masochismo. Simbiosi, in questo senso psicologico, significa l'unione di un io individuale con un altro io (con un altro potere esterno) in modo tale da far perdere a ciascuno di essi l'integrità, e da renderli completamente dipendenti l'uno dall'altro. La persona sadica ha bisogno del suo oggetto quanto il masochista ha bisogno del suo. Solo che invece di cercare sicurezza nel farsi inghiottire, la raggiunge inghiottendo qualcun altro. In entrambi i casi l'integrità dell'io individuale è perduta... È sempre l'incapacità di resistere alla solitudine del proprio io individuale che crea l'impulso a entrare in rapporto simbiotico con qualcun altro. Appare evidente da ciò, la ragione per cui le tendenze masochistiche e sadiche sono coesistenti. Benché in apparenza sembrino contraddittorie, esse sono radicate nello stesso bisogno fondamentale. Le persone non sono sadiche o masochiste, ma c'è una continua oscillazione tra il lato attivo e quello passivo del complesso simbiotico sicché spesso è difficile determinare quale tendenza stia operando in un dato momento. Nell'uno e nell'altro caso l'individualità e la libertà sono perdute.»
E, finalmente per il nostro discorso: «Spesso, e non solo nell'uso comune, il sado-masochismo viene confuso con l'amore. Specialmente i fenomeni masochisti vengono considerati espressioni d'amore. Un atteggiamento di completa abnegazione a vantaggio di un'altra persona, e la rinuncia ai propri diritti e alle proprie pretese a favore di un'altra persona, sono stati magnificati come esempi di «grande amore».
Sembra che non esista prova migliore di «amore» del sacrificio e della disposizione a rinunciare a sé stesso a favore della persona amata. In questi casi, in realtà l'«amore» è un desiderio masochistico radicato nell'esigenza simbiotica della persona. Se per «amore» intendiamo l'appassionata affermazione e l'attivo rapporto con l'essenza di una particolare persona, se per «amore» intendiamo l'unione con un'altra persona fondata sull'indipendenza e l'integrità dei due soggetti, allora il masochismo e l'«amore» sono opposti.
L'«amore» si fonda sull'uguaglianza e la libertà. Se si fonda sulla subordinazione e sulla perdita di integrità di uno dei soggetti, si tratta di una dipendenza masochistica, comunque si voglia razionalizzare il rapporto.»14
In queste affermazioni possiamo trovare dunque una rappresentazione esaustiva, specialmente per i nostri intenti, della profonda valenza di tali sindromi psicopatologiche nella determinazione dei rapporti interpersonali umani, specialmente quelli a sfondo sessuale – omo od etero sessuali non fa differenza. E come è intuibile, pongono oggettivi strumenti analitici, di estrema importanza per risolvere i presenti interrogativi.
Parallelamente esse mostrano come anche nello sviluppo di sindromi sado masochistiche vada considerata, aspetto finora del tutto ignorato, la particolare auto-percezione ontologica del soggetto, sicuramente mediata dalla sovrastruttura cognitivo culturale dell'individuo preso di per sé. Elementi quindi eminentemente culturali, intellettivi, ideologici, valutabili razionalmente... comprensibili, analizzabili logicamente dall'intelletto umano, accessibili dunque «chiaramente» alla sua coscienza. Quest'evidenza è fondamentale.
Questi strumenti psicoanalitici permettono infatti di proporre alla stessa stregua dell'obiezione del Daly sul «Fine Ultimo» del fatto economico, una critica del «Fine Ultimo» del fatto psichico, della maturazione psichica dell'individuo e del ruolo, della funzione dei contingenti «Fini Ultimi» proposti in distinte realtà socio culturali nell'eziologia delle nevrosi e nella stimolazione, o nell'inibizione, dello sviluppo di determinati iter dinamici della formazione del carattere.
Se la base psichica, organica dell'uomo è universale ed omogenea e se quindi è possibile osservare l'emersione di caratteristici tratti psichici in soggetti sottoposti ad uno stesso contesto socio culturale ed affettivo, si può perfettamente immaginare che distinti contesti socio culturali ed affettivi possano condurre alla maturazione di distinti tratti caratteriali – si badi bene che ci si riferisce a tratti caratteriali «modali» che non tengono conto delle singole manifestazioni individuali.
È un discorso che si approssima, ad esempio, ai contenuti dell'approccio antropologico del Boas e che permette di definire un nuovo approccio psicoanalitico. Si è visto ad esempio come le sindromi sado masochistiche siano da intendere quali reazioni, pur antitetiche tra loro, dell'individuo ad un profondo senso di insignificanza, di nullità, ad un'insopportabile senso di solitudine interiore.
La domanda a cui sinora non si è cercato in modo costruttivo di dare risposta è: «Il senso di nullità, di insignificanza e l'incapacità di sostenere tale solitudine interiore, sono davvero sensazioni connaturate nella natura umana, nella condizione psichico ontologica di una creatura auto-cosciente come l'essere umano, indifferentemente attuali nell'esperienza umana? O no.
Non possono essere piuttosto intese nel novero di una serie, non continua, quanto discreta ed esigua, di differenti “stati” psico cognitivi, in cui possa estrinsecarsi una modulazione od addirittura una inibizione da parte di differenti fattori ed istanze socio culturali?»
Come si vede, queste domande implicano risposte che non mirino ad introdurre nuove ipotesi e teorie di tipo psicologico e, tanto meno, psicoanalitico, quanto a sostenere l'eventualità di un certo relativismo culturale non tanto sull'efficacia descrittiva ed analitica di determinati passaggi teorici, quanto su una distribuzione non assoluta ma relativa, nel novero di distinti sistemi socio culturali, di aspetti anche essenziali della teoria psicoanalitica. Ad esempio è stato dimostrato che il complesso edipico presenta un'ampia modulazione nell'ambito di distinte culture, come a suo tempo illustrò il Malinowski.15
Ora, dati gli strettissimi legami esistenti tra l'attuarsi di tale dinamica psichica e lo sviluppo del Super-Io, sarebbe stato interessante disporre di studi che facessero luce sulle conseguenze di tale diversa manifestazione – od addirittura sulla sua mancanza – nella compartimentazione dell'Io.
A tal pro si possono citare i risultati del lavoro di alcuni psicoanalisti, come ad esempio i citati T. Nathan e Devereux, i quali cercano di sottoporre i casi psicopatologici a carico di soggetti provenienti da contesti socio culturali differenti con strumenti diagnostici e terapeutici in cui si sfumano molte delle caratterizzazioni e delle asserzioni canoniche della psicoanalisi classica, in cui si introducono anzi riferimenti anche forti ai particolari aspetti mitologico teologici delle culture d'origine, ai loro più esclusivi usi e tradizioni nell'ambito delle strutture parentali e affettive, con indubbi risultati positivi.16 Questi studi non fanno che stimolare l'esigenza di addivenire ad un confronto interculturale, ad una «meta analisi» epistemologica dei singoli fondamenti delle dottrine psicoanalitiche tesa ad evidenziarne eventuali contingenze e parzialità, eventuali e fuorvianti etnocentrismi.
Malgrado questa carenza ed a partire da rilievi etnologici ed antropologici indiretti, da alcuni aspetti filosofici emersi in questo lavoro, nonché da brani evangelici quali Mt 5, 27-28, è possibile giungere a delle conclusioni, per chi voglia pur'anche speculative, ma non inverosimili, decisamente originali ed interessanti.
Sulla base della differenziazione evidenziata a livello filosofico tra le distinte concezioni teologico cosmologiche dualistiche e monistiche di teoetotomie e religioni, si possono definire «Fini Ultimi» distinti, in cui prevedere distinti iter di sviluppo della personalità e, rivolgendoci all'ultimo quesito, differenti «stati» socio culturali? La risposta, per quanto detto sinora, è chiaramente affermativa.
Valutiamo dapprima quali sono i contenuti procedenti dalle teoetotomie. Èn esse sono perentoriamente affermati contenuti tali da favorire, quanto meno, momenti di sviluppo della personalità che contemplano un positivo atteggiamento sessuo repressivo, una forte caratterizzazione delle dinamiche edipiche, un altrettanto forte sviluppo dell'istanza del Super-Io ed una visione metafisica che, accanto all'alienazione della figura «adulta» per eccellenza, intrinsecamente impedita proprio dal profilo ideale teoetotomistico di uomo, caratterizza un'auto-percezione ontologica dell'individuo foriera di sensi di colpa, sentimenti d'inferiorità, castrante senso d'angoscia. Tutta una serie di contenuti tali da stimolare «positivamente», quanto in modo nefasto, gli aspetti esperienziali e psichici a cui la psicoanalisi attribuisce un ruolo causale fondamentale nell'origine delle nevrosi.
C'è un altro fatto peculiare nelle teoetotomie: queste sono il luogo culturale in cui «tutti» i suddetti fattori sono «contemporaneamente» presenti. In ogni teoetotomia la divinità si pone a giudice morale dell'uomo in un quadro che presume metafisicamente un'interiore degrado e corruttibilità dell'individuo. Ciò, delineando un profilo ideale intrinsecamente degenere dell'uomo, motiva una sua sudditanza etica e la necessità di un codice etico repressivo, zeppo di tabù e restrizioni sessuali.
Alla luce delle stesse teorie freudiane è allora possibile ricondurre lo sviluppo diffuso del cosiddetto carattere sadico-anale proprio alla presenza di un codice sessuo repressivo – addirittura sacralizzato! – da cui si alimentano continue fissazioni pregenitali sadico-anali. Ed è altrettanto immediato comprendere come l'affermazione del principio patriarcale, autoritaristico, espresso istituzionalmente nella struttura di classe delle società e nell'istituto socio economico del matrimonio patriarcale, unita all'etica repressiva di una metafisica teoetotomistica, possa profondamente stimolare lo sviluppo di dinamiche edipiche, motivando addirittura teologicamente l'atteggiamento fondato sull'autocontrollo, sull'auto repressione da cui deriva – in ultima analisi – proprio quel particolare ruolo «intermedio» dell'Io sottolineato dalla ortodossa teoria freudiana della strutturazione tripartita della psiche.
Se inoltre si considera come la condizione ontologica che si può proporre come meta per ciascun individuo alieni irrimediabilmente dallo stesso l'esercizio perfetto dell'autodeterminazione etica, come le connessioni metafisicamente definite tra la sfera etica ed il futuro destino sovrannaturale dell'individuo riescano a solcare profondamente il senso delle sue scelte, risulta quanto mai ovvio valutare la carica d'angoscia che attende l'uomo teoetotomistico alle soglie della sua maturità, ed ancor più della sua morte.
Angoscia dinnanzi alla sua maturità, allorquando sarà chiamato a recidere irreversibilmente i legami primari che inizialmente avevano sicuramente guidato ed addolcito la sua infanzia ed adolescenza ma che erano destinati poi ad interporsi tra se stesso ed il suo essere completamente ed irrimediabilmente «uno», cosciente e responsabile delle proprie scelte. Ecco affiorare l'angoscia profonda che lo ricaccerà, nelle forme su esposte di fissazioni incestuose o di manifestazioni sado masochistiche, a regredire verso gli stessi legami primari trasferiti sui surrogati delle figure parentali, a calarsi nelle simbiosi sado masochistiche.
Angoscia dinnanzi alla sua morte, quando l'agghiacciante enigma sul suo futuro, sull'irreversibilità dei suoi nascosti, celati «peccati», pervaderà quegli istanti così temuti nelle sue visioni e così tenacemente rimossi dalla sua coscienza.
È dunque quanto mai comprensibile la potenza, il rilievo di questo tragico amalgama nel condizionare l'iter della maturazione dell'individuo e risulta quanto mai immediato collocare, nel suo interno, il divenire di quei meccanismi psicodinamici che si susseguirebbero l'un l'altro; come è altrettanto immediato evidenziare la contraddizione che la visione dualistica delle teoetotomie staglia sulla realtà mondana e sovrannaturale in cui l'uomo, metaforicamente inteso come corrotto ed imperfetto, va ad incastrare la sua misera auto-percezione.
A tal pro è interessante sottolineare l'associazione evidenziata da Fromm nella sua critica alle teorie istintuali di Freud, ove dietro ai concetti di Eros e Thanatos scorse anche lui i segni di un approccio condizionato da una concezione essenzialmente dualistico, pneumatico meccanicistica delle forze della natura.17
Alla luce di queste considerazioni dunque si arriva ad una delle prime risposte prefissate. Si hanno dunque gli elementi necessari per sottolineare la presunta adulterazione della sessualità: dinamiche psichiche già diffusamente conosciute ed assodate che si dovranno solo collocare opportunamente in un contesto interpretativo che tenga conto delle innovazioni filosofiche dovute alla presente classificazione del teismo e delle differenze evidenziate tra l'ideale teoetotomistico e quello religioso.
L'adulterazione, il desiderio adultero, «diverso», di Mt 5, 27-28 sarebbe dunque da mettere in relazione alle fissazioni incestuose ereditate dalle dinamiche edipiche con cui l'individuo si accosta alla creazione delle coppie simbiotiche degli «amanti eterni», dalle quali ciascuno è mosso alla ricerca dell'«anima gemella», alla simbiosi perfetta dove «1/2+1/2=infinito».
Sarebbero dunque «adulteri» i legami simbiotici sado masochistici in cui ciascuna imperfetta individualità cerca di colmare l'angoscia del suo non saper essere «uno». Tutti «strumenti psichici» mediante i quali ciascuno cerca di «ritornare» alla sua lontana condizione paradisiaca, con cui cerca incestuosamente di ricostituire l'utopisticamente i suoi legami primari ormai scissi, ora romanticamente celati sotto idealistiche ed insospettabili sembianze.18
In entrambi questi casi si avrebbero dunque delle regressioni psichiche verso archetipiche figure affettive nei confronti delle quali il soggetto ha eseguito gli investimenti oggettuali affettivi della sua infanzia.
Sembrerebbe quindi raggiunto un primo risultato – si noti prendendo spunto, senza operare alcuna significativa revisione, da un pensiero autorevole e riconosciuto: la psicoanalisi di Freud. Uno dei «cavalli di battaglia» dell'ateismo più intransigente e zelante… diventa «chiave di volta» per una lettura religiosa dei Vangeli, un vero e proprio «cavallo di Troia» da collocare nel cuore del teismo teoetotomistico per schiantarlo.
Notevole, ed intrigante, non c'è che dire! Come si diceva.. il gioco vale la candela.
Ma non si è soddisfatti. Si vuole di più perché… «lo zelo della tua casa mi consuma» (Gv 2, 17).
Allora: perché aborrire tali fissazioni? Perché tali successivi investimenti, d'altro canto diretti su persone diverse da quelle verso cui originariamente si eseguirono gli investimenti parentali, «e consenzienti» si badi bene, rappresenterebbero un aspetto «negativo», un'adulterazione insopportabile dell'etica sessuale? Perché rifuggire tali coinvolgenti e spesso «bene accette» relazioni ed esperienze? È chiaro che l'aver individuato tali particolari dinamiche come espressioni del «desiderio adultero» stigmatizzato da Gesù in tale passo non rappresenta un risultato esauriente del nostro interrogativo sin quando non si evidenzino i motivi, «il movente» di tale rigetto e infine l'alternativa agli stessi.
Quali sarebbero quindi gli aspetti negativi di un etica sessuale ed affettiva fondata su tali manifestazioni, su tali pulsioni, e qual'è l'alternativa affettiva da considerare dunque «sana», «non adulterata»?
Perché tutta questa zelante attenzione verso queste questioni, perché questo rilievo nel quadro teleologico salvifico del messaggio evangelico? Tali risposte possono procedere solo ed esclusivamente dalla precisa definizione di due fatti, o concetti: cos'è l'«Amore», l'«Amore autentico», come, e tra quali soggetti, si può formare, stabilire tale sentimento?
Diciamo prima di tutto che l'aver evidenziato l'autentica natura degli atteggiamenti e le istanze psicologiche a cui il senso comune attribuiva gli autentici contenuti dell'«amore», più che rappresentare una smitizzazione riduttiva ed impertinente di quel sentimento «sì soave e profondo» cantato da poeti e sognato romanticamente da ciascuno di noi, risulta essere strumento quanto mai utile alla conoscenza del «vero Amore», di cui nessuno, tanto meno chi scrive, vuol affermarne il possesso e negarne esistenza e significato. Uno strumento anzi che permetterà una conoscenza superiore e perfetta dell'«Amore». Così, almeno, si spera… non senza un certo interesse personale.
Cos'è dunque l'«Amore»?
Si tenterà qui di non ricorrere alle più poetiche e struggenti espressioni coniate su tale sentimento, pienamente cosciente di potersi continuamente imbattere in definizioni nuove, sempre ugualmente belle ed espressive. Si cercherà, peraltro, di porre una definizione la più scarna possibile, sapendo di essere dinnanzi ad uno di quei tipici aspetti dell'esistenza che, come l'acqua, possono restare nelle nostre mani solo se le riuniamo a guisa di coppa a riceverli ed osservarli, mentre sgusciano irrimediabilmente via nell'attimo i cui stringiamo le mani, chiudiamo i pugni.
La seguente frase sottolinea efficacemente il nocciolo fondamentale di questo sentimento, senza peraltro porre alcuna definizione. È il titolo di una famosa canzone di Sting: «If you love somebody set them free»: in sostanza, «se ami qualcuno rendilo libero». Questo ritornello sembra sintetizzare perfettamente il senso profondo di tale espressione umana e riesce a mantenere il suo valore esplicativo, la sua esauriente valenza, anche dinnanzi a definizioni più autorevoli e circostanziate, come ad esempio la seguente, presa da Erich Fromm: «Amore è unione con qualcuno o qualche cosa, al di fuori di se stessi, che consente di preservare la solitudine e l'integrità di se stessi.»19
Bene, prendiamo tali frasi come spunto per tutta una serie di analisi. Si badi bene che non si ha alcuna sufficienza, anzi vivo timore, e si vuol operare solo con deduzioni logiche, sufficientemente realistiche, in un atteggiamento quanto mai umile e aperto al confronto, al dialogo.
Questa definizione d'amore delinea a primo acchito un'esperienza non eminentemente passionale, stoica ed appassionata, quanto un'espressione intellettuale, cosciente – che comunque non sminuisce l'ampio, coinvolgente concorso passionale ed emotivo dell'amore. Essa determina solo un'opposizione con i contenuti emozionali che, pur procedendo dai coacervi emotivi, ma ancor più da fissazioni delle dinamiche edipiche o da simbiosi sado-masochistiche, risultano comunque capaci di garantire un innegabile considerevole carico di passionalità verso tali manifestazioni, iniziando innanzi tutto a riconoscere in questi contenuti aspetti meramente «contingenti, non universali» nell'intento… di «giungere oltre».
Un programma decisamente ambizioso, non c'è che dire, che può comprensibilmente generare sarcasmo e crudo scetticismo. La prima perplessità che sorge da quest'affermazione è: la suddetta definizione di amore potrebbe essere considerata giusta, esatta, esauriente per la descrizione dell'«Amore sano», «autentico»; potrebbe anche definire un contenuto che risulti espressione «non adultera» dell'amore e, nel particolare caso di rapporti interpersonali a sfondo sessuale, della sessualità; ma non si rischia di svuotare tale «qualcosa» di quel trasporto ed immediatezza che «tutti noi» percepiamo, che agogniamo, così profondamente viscerale, così caldamente epidermico, soavemente passionale? Non rischia di voler dissezionare qualcosa che proprio nella sua totalità e nel suo essere perfettamente «a-tomico», non riducibile a qualsiasi riduttiva analisi, assume il suo significato e la sua poesia?
Pur se questa nuova accezione nega tutte le manifestazioni del cosiddetto amore risultate essere, alla fredda analisi della psicoanalisi, «solo» fissazioni incestuose, legami di dipendenza sado-masochistica o quant'altro, non è eccessivo additare di una loro presunta «incapacità» di amare tutte le persone consenzienti che si lasciano coinvolgere da tali desideri ed istanze? Da quale pulpito, da quale scienza o sublime «saggezza» possono derivare tali irriverenti, presuntuosi giudizi, tale superiore intelligibilità? Chi può arrogarsi l'«autorità» di dire certe cose, quale diritto e presunzione può far giudicare in questi termini i sentimenti più profondi e «sentiti» di milioni di milioni di persone?
Tutte queste eccezioni, sono, in nuce, comprensibili, giustificabili, e fanno appesantire tremendamente le dita… che comunque seguitano a snocciolare carattere dopo carattere, parola dopo parola.
Un piccolo, lecito tentativo di auto difesa: no, in questa sede non si «accusa» nessuno. Né si afferma che «nessuno sappia amare o che nessuno abbia amato». Non ci si arroga nulla di questo. Né implicitamente lo si afferma facendo immaginare che, nella misura che la presente accezione sia inedita, nessuno abbia potuto esprimere «Amore». Nulla di tutto questo. Si cerca solo di affrontare, con oggettività ed onestà intellettuale, alcuni aspetti puramente filosofici, formali del cosiddetto «Amore» con l'umiltà di chi si sia apprestando a «comprendere» qualcosa di profondamente sentito e condiviso, nell'intento di ottenere da tutto ciò innanzi tutto una propria crescita interiore, una maturazione personale alla luce di qualcosa, si spera, autentico.
Non si sta poi neanche cercando di render giustizia a sentimenti soggettivi ma di addivenire, se possibile, ad una comprensione profonda dei vari aspetti coinvolti. Di giungere, a partire da contributi filosofici percepiti da un'analisi di alcuni testi «sacri», si spera oggettiva, a conclusioni capaci di farci conoscere, se possibile, in modo nuovo le sensazioni così profondamente coinvolgenti che tutti noi, compreso chi scrive, sappiamo essere associate a tali espressioni affettive.
Ebbene proprio questo proposito di «afferrare», di comprendere, fa concludere a riguardo di una profonda intrinseca opposizione tra l'«amore» della precedente definizione, del titolo della canzone, e tutte le dinamiche sado-masochistiche, le istanze edipiche, di tutti questi mezzi di utopistica ricostruzione di passati legami primari, definendo tutto ciò come veri e propri «strumenti di fuga dalla fase adulta per eccellenza che contraddistingue la figura dell'Uomo e della Donna».
Il contrasto è netto. Se amare vuol dire unirsi con un qualcuno o qualcosa tale da preservare la «solitudine e l'integrità di se stessi»; se amare ed essere amati presuppone l'attuazione perfetta del principio di reciprocità, è inevitabile che «amare» è una prerogativa dell'individuo «integro e solo». Un'espressione che può essere rivolta e contraccambiata esclusivamente da un altro individuo «integro e solo».
È questa un'unione «Amorosa» antitetica a quelle procedenti da fissazioni del complesso edipico e da sindromi sado-masochistiche. Tale affermazione implica che l'individuo per «Amare» deve dapprima raggiungere la sua integrità e la sua solitudine, il suo saper essere pienamente «uno» dinnanzi al mondo.
Ecco quindi che l'«Amore» non è più un'emozione legata all'oggetto che si può trovare, in cui ci si può imbattere nel corso dell'esistenza, quanto un'espressione interiore e spontanea del «solo» essere «Univoco», «Uomo», «Donna», diretta «solo» verso altrettanti enti «Univoci», comprensibile «solo» da altrettanti «Uomini» e «Donne».
«Nell'esperienza dell'«amore» si verifica il paradosso per cui due diventano uno, restando nel medesimo tempo due.
L'«amore» così inteso non è mai limitato ad una sola persona. Se io posso amare soltanto una persona e nessun'altra, se il mio amore per una persona mi rende più distante ed estraneo di fronte ai miei simili io posso esser in vari modi affezionato a questa persona, ma non l'amo... Nell'esperienza «amorosa» risiede l'unica risposta all'esistenza umana, risiede l'equilibrio.»20
Al contrario, nel «cosiddetto amore» delle fissazioni incestuose, sado-masochistiche, i rapporti che vanno ad estrinsecarsi tra i soggetti risultano reciprocamente pervasi di ben diversi contenuti.
In queste infatti ciascuno «si cerca» nell'altro, si aspetta di trovare «nella sua fusione» con l'altro la propria integrità psichica, l'appoggio per affrontare l'esistenza, per ovviare alle proprie paure, alle proprie insicurezze. Qui l'individuo non cerca l'altro dall'alto della sua già realizzata integrità, ma cerca di realizzarsi, di completarsi diventando «una cosa sola» con l'altro. Ed è tale «legame», in sé per sé dunque, a dare ai due individui l'illusione di poter giungere a tale meta. Un «legame», si badi bene, che deve essere suggellato, garantito continuamente in modo esplicito ed esclusivo, e lo strumento per suggellare tale unione non poteva che essere un uso «adulterato», «adultero» del sesso.
Il senso di una esclusività «naturale» della reciproca attività sessuale, tratto di per sé consono e perfettamente comprensibile diviene, nella misura in cui risulta venata da tratti incestuosi, sado-masochistici e non meno, come vedremo, da uno sbilanciato atteggiamento di dominio-sottomissione all'interno della coppia, quello «adultero» di suggellare la gelosa esclusività di questa mostruosa, teratologica integrazione psichica. Una prerogativa reciproca, un reciproco «donarsi» e «possedersi» che traccia gli scabrosi contorni di questa goffa monade, di questa sclerotizzata e statica coppia simbiotica, e ne celebra l'esistenza.
Ma tale obiettivo della «cosa sola» non rappresenta in alcun modo la soluzione dell'incapacità dell'individuo di giungere ad uno sbocco positivo del complesso edipico o delle sindromi nevrotiche, delle eventuali forme sado-masochistiche, bensì una cristallizzazione della personalità degli individui, ad una fase «non adulta, non estrema», non «perfettamente» compiuta del loro sviluppo personale.
L'individuo, focalizzando il suo divenire psichico su tali ruoli e simbiosi, dà soltanto uno sfogo sterile, quanto tangibile, ai suoi cronici problemi immediati, ma non «esaurisce» e «supera» le spinte psichiche degli stessi. Queste situazioni dunque inibiscono l'evoluzione piena della personalità, bloccando lo sviluppo interiore del soggetto ad uno stadio intermedio, distinto dalla fase adulta per eccellenza, dalla dimensione estrema dello sviluppo ontologico e psichico dell'individuo contraddistinto dall'esercizio pieno e consapevole della propria, matura ed adulta autodeterminazione etica.
Al contrario, l'«Amore» della precedente definizione non è un'espressione rivolta ad una ricerca dell'integrità, quanto manifestazione spontanea, immediata ed incontenibile proprio di quella raggiunta integrità. Una differenza così ampia che non può che esprimersi con sentimenti diversi, forme alternative, contenuti distinti. Qualsiasi paragone è improponibile.
La «cosa sola» si basa su un simbiotico, geloso e reciproco controllo, mascherato da «amore» e «sollecitudine», che amputa progressivamente la libertà e le spontanee manifestazioni dell'altro, magari in un'incessante inquietudine, o necessità, di verificare e riverificare che alcun tentennamento, nessuna nuova aspirazione incrini la reciproca simbiosi, il reciproco essere «proprietà» dell'altro – e suo «proprietario».
Si delinea quindi un quadro di repressione morale di pulsioni incomprese e, nella misura in cui si accettano i principi che condurrebbero a tali simbiosi e sentimenti, incomprensibili. Nell'«Amore» l'equilibrio deriva dalla consapevolezza di poter esprimere, irradiare un sentimento ecumenico, umano, perfetto, che nello stesso tempo dona amore e lascia liberi ed integri ciascuno dei due soggetti e che «libera», e per proprio questo scambia vicendevolmente, pariteticamente, altrettanto «Amore».
Un sentimento che non si può prestare a classificazioni di sorta, o restrizioni. Un sentimento che magari non si può esprimere totalmente in un unico ambito, in un unico rapporto pur manifestandosi «totalmente» e «perfettamente» in ciascuno, ma che si diffonde moltiplicandosi, riflettendosi e ripetendosi senza meta. Un sentimento che è erotico, fraterno, materno, filiale, umano, sacro, che trascende queste compartimentazioni e resta libero, immenso: immenso come l'essere che lo genera e che lo riceve, che riesce a percepirlo, cullarlo nel cuore, che non lo mortifica disconoscendolo. Un sentimento che non è grossolano, dozzinale, superficiale, qualunquista, ma che deriva da una profonda, sofferta ricerca, e che nel suo svolgersi chiede concentrazione, vivacità intellettuale, voglia di vivere, uno zelante senso di giustizia e di libertà, di rispetto di se stessi e dell'altro, trasparenza ed obiettività, ed infine, davanti al suo mai risolto mistero, anche… una sorta di fede.
Un'espressione che non è «dovuta», che non attira sfavillando il mercante, il cercatore d'oro, il «ricco in spirito», che non è esibita nelle piazze, urlata dalla calca, ma che si posa, dolce e silenziosa come la rugiada nell'animo trepidante e puro dell'«Uomo», che si adagia calma nel ventre della «Donna», calda, tenue ed immensa.
Ecco la differenza tra l'«Amore» vero e proprio ed il «cosiddetto amore», tra l'espressione genuina ed immediata di un essere «integro e solo» e le regressioni, le fissazioni incestuose e nevrotiche di figli… di uomini e donne che non sono riusciti a divenire tali. Una differenza incommensurabile, che non conduce a porre un accento discriminatorio, di un giudizio personale, bensì a sottolineare le differenti esperienze che possono coinvolgere uno stesso individuo, che possono scaturire da una precisa scelta di fondo.
Come si vede nessuna accusa procede da queste considerazioni, nessuna sufficienza o superiorità sprezzante: solo un'umile itinerario dell'intelletto, che ha condotto ad evidenziare oggettivamente un'innegabile, radicale differenza.
A queste punto si cercherà di focalizzare i soggetti, e nello stesso tempo oggetti, di questa espressione umana, di questo sentimento. Non occorre ripetere il confronto fatto tra le figure che fanno capo alle distinte metafisiche teistiche ed atee. Rimandando a valutazioni già diffusamente fatte sulle caratteristiche ontologiche delle realtà sperimentabili nei distinti sistemi filosofici, ci si limiterà ad evidenziare alcuni aspetti importanti del contesto religioso in merito a questi temi.
L'ideale metafisico religioso «struscia via» dall'uomo «l'intero orizzonte» della metafisica teoetotomistica, disegnando un contesto socio culturale in cui vengano a dileguarsi tutte le realtà puntuali, presenti, «in blocco», nelle teoetotomie. La realtà creata dell'ideale religioso appare «perfetta», essendo diretta, incorrotta manifestazione della divinità creatrice. Le più dirette ed immediate conseguenze di tale visione sono rappresentate da un lato dall'assoluta assenza di qualsivoglia sovrastruttura etica esterna superiore all'individuo e, nel contesto della formazione della personalità, dal particolare atteggiamento etico mostrato nei suoi confronti dalle figure parentali; approccio assolutamente esente da qualsiasi sfaccettatura di tipo repressivo.
Ciò non equivale assolutamente ad affermare, si ripete, alcun lassismo, ma a sostenere un'etica in cui non viene contemplato alcun contenuto repressivo sia nei confronti delle manifestazioni spontanee, naturali, «incorrotte» del neonato, di cui ci si appresta a gestire la formazione, sia nei confronti delle «proprie» manifestazioni. Espressioni che non vengono sterilmente, oscuramente «represse» bensì «comprese e risolte».
Questa nuova condizione di fondo comporterebbe dunque una radicale trasformazione nella percezione della personalità dell'uomo ove finalmente l'Io, frazione conscia dello psicoide, perde la funzione antagonistica nei confronti dell'Es propria della teoria classica, per assumere un ruolo di armonica «complementarità» dell'Es specialmente in considerazione di un fatto decisivo: la dissoluzione del Super-Io.
La compartimentazione trinaria della personalità umana in Es, Io e Super-Io della teoria freudiana, formulazione quasi inevitabile nel complesso culturale delle società patriarcali sessuo repressive, teoetotomistiche o laiche che siano, non trova nel quadro religioso nessun substrato sociale, culturale ed etico da cui prender forma e sclerotizzare a livello psico cognitivo. Così come nelle teoetotomie la presenza di strutture socio economiche – l'istituto della famiglia patriarcale, la struttura di classe, l'etica autoritaristico repressiva dominata dall'antitesi dominanza/sottomissione – contribuiva pesantemente alla formazione di personalità dai ricorrenti contenuti sado-masochistici, nei sistemi religiosi l'altrettanto «completa e contemporanea assenza» di tutte queste componenti conduce ad una strutturazione «binaria» dello psicoide – o meglio ad una mancata, irreversibile scissione dell'Io. Una strutturazione quest'ultima non più impostata su una contrapposizione repressiva dell'Io nei confronti dell'Es, inevitabilmente gravida di «rimozioni» e conseguenti nevrosi, delle regressioni pregenitali tipiche delle personalità di base teoetotomistiche; bensì su una coerente, lucida e cosciente integrazione tra un Io univoco, integro, «solo» ma non isolato, ed un Es assolutamente non «demonizzato», foriero di pulsioni incontrollabili ed irrazionali, capaci di condurre ad angoscianti sensi di colpa.21
Un Es, come si diceva poc'anzi, percepito non più come «corrotta e sudicia» base naturale di asociali e sinistri «istinti» inferiori non consoni a qualsivoglia senso umano e civile, bensì quale «naturale ed incorrotto» residuo neuro psichico della realtà evolutiva ed esistenziale passata dell'evoluzione di una specie umana, «teologicamente divina nel suo stesso essere naturale», ove si amalgama altrettanto «perfettamente» la finale autocoscienza, l'auto-percezione ontologica e trascendente dell'uomo attuale, dell'individuo. Una realtà dunque tale da condurre all'armonica, coerente personalità, «aperta» ma «a-tomistica», univoca, «sola», dell'«Uomo» e della «Donna», in grado di esprimersi in quell'esperienza «Amorosa» ove risiede l'unica risposta all'esperienza umana, l'equilibrio dell'«Amore».
La metafisica religiosa permette dunque di disegnare uno scenario socio economico ed affettivo, culturale, in grado di condurre in teoria ad uno sviluppo della personalità profondamente distinto da quello tipico di qualsiasi altro sistema socio culturale. Una realtà capace di inficiare tutta quella base di esperienze da cui si originerebbero le principali involuzioni e rimozioni a cui la stessa teoria psicoanalitica attribuisce le principali nevrosi umane: regressioni pregenitali – con particolare riferimento alle regressioni sadico anali –, trauma edipico – con successiva latenza sessuale e sviluppo del Super-Io –, contesti parentali in cui dinamiche incestuose o sado-masochistiche si materializzano socialmente nell'istituto del matrimonio, nella prassi dell'accettazione sociale e culturale di tali unioni simbiotiche.
I dati antropologici attualmente in nostro possesso sembrano confermare l'esistenza di società in cui le pur meno affinate concezioni teistiche di tipo religioso possono essere strettamente associate a contesti sociali, economici e culturali in cui sono affermati proprio i contenuti di cui sopra. Tali sistemi sociali sono caratterizzati proprio da atteggiamenti non repressivi ed affermativi verso il sesso, personalità di base ove fissazioni pregenitali e caratterizzazioni nevrotiche tipicamente connesse a queste istanze etiche sono scarsamente presenti e dove eventuali manifestazioni di questo tipo vengono pesantemente osteggiati dal tessuto sociale. Queste sono tutte evidenze forti, che danno corpo alle presenti speculazioni teoriche e permettono valutazioni radicalmente inedite dei nostri contesti culturali e delle nostre affermazioni – forse eccessive per il senso comune. Si è consapevoli che ciò potrebbe scatenare una feroce avversione ed un chiuso ostracismo nei confronti di quest'opera: ma queste evidenze rappresentano un contributo quanto mai importante per chi scrive. Ed è questa consapevolezza di «oggettività» che conduce comunque avanti, alle più estreme conseguenze.
Si è ad esempio postulata la possibilità che in diversi contesti culturali i genitori possano porre in atto, durante lo sviluppo della sessualità infantile, atteggiamenti educativi distinti nei confronti dei bambini; è infatti possibile mettere in atto atteggiamenti che contemplano forme di punizione e di proibizione mediate da descrizioni fantastiche o minacce, così come avviene nella nostra società; ma è altrettanto possibile immaginare prassi ben diverse. Si hanno documentazioni di culture in cui l'atteggiamento educativo è improntato a ben altri contenuti: in molte società infatti «madri e padri accarezzano i genitali dei loro figli per calmarne o arrestarne il pianto...» e durante l'infanzia e l'adolescenza «... Un'altra serie di elementi importanti e variabili nella formazione è riscontrabile... il numero di fratelli, le relazioni che intercorrono fra di loro e le responsabilità reciproche che vengono a determinarsi, modelli che codificano l'attività di gioco, l'opportunità di sperimentare attività omosessuali o eterosessuali, le restrizioni per quanto concerne l'incesto e i vari tipi di minaccia e punizione applicati per reprimere pratiche sessuali culturalmente proibite.»22
Il caleidoscopico universo culturale umano fa dunque emergere chiaramente la natura etnocentrica dei pregiudizi moralisti con cui accostarsi a tali naturali manifestazioni della natura umana e chiede nel contempo, a chi voglia oggettivamente identificare una concezione ecumenica, universale e globale degli stessi, un'umiltà ed una vivacità intellettuale più consone per apprezzare, e non rifuggere sterilmente, una valutazione profonda e calzante di tali aspetti alla luce di maggiore umiltà e meno dozzinale ed infondato etnocentrismo.
Un esempio per tutti: nel corso di studi sul comportamento dei primati, rivolti alla valutazione della base genetica del loro comportamento, si è osservata un'attiva ed importantissima funzione dei genitori. Ad esempio si è scoperta l'importanza decisiva delle relazioni affettive tra madre e figlio nel quadro di uno sviluppo «positivo» della sessualità ed affettività dei piccoli.23
Dinnanzi a tali esempi, e riferendosi agli altri fatti relativi a culture umane, nei cui confronti non abbiamo assolutamente elementi tali da sottolineare alcuna superiorità della nostra cultura che non sia materialistica o tecnologico scientifica, si è maturato il legittimo dubbio che... «forse» un atteggiamento dei genitori verso i figli più coinvolgente e positivamente manifesto – non si confonda questa affermazione con una laida istigazione a rapporti incestuosi! – risulti positivo a riguardo del loro sviluppo psicosessuale. Che «forse» ciò possa risultare utile per una sana maturazione dello stesso e «probabilmente» più consono ed auspicabile rispetto al disinteresse che segue l'ostracismo spesso posto in essere nella nostra cultura nei confronti della sessualità infantile. Che «forse» un'attenzione diversa e propositiva dei genitori – ovviamente alla luce della naturale disposizione paterna e materna verso i figli – possa essere d'aiuto al bambino, o bambina, molto di più delle fuorvianti e purtroppo spesso traumatiche esperienze che gli stessi inevitabilmente possono subire, spinti dalla loro innocente, inarrestabile esigenza e curiosità dinnanzi a questo vissuto interiore che, dall'adolescenza in poi, inevitabilmente iniziano a sperimentare in un ambiente ipocritamente asettico e restio a qualsiasi fattivo contributo o lucida spiegazione. Che forse, ed è questo il vero problema, non si possiede…
Anzi, proprio a questo ruolo dei genitori può essere ricondotto un evento nodale nella crescita psico sessuale dell'individuo; la trasmissione dell'obiettivo terminale dello sviluppo caratteriale e culturale, psicologico, del fanciullo, o della fanciulla, che permetta loro di superare ed evitare le fissazioni incestuose e quelle involuzioni che porterebbero alle regressioni sado-masochistiche di cui si è detto, conducendoli finalmente a quello stadio estremo della loro crescita: diventare «Uomini» e «Donne».
Un risultato però che presuppone che anche i genitori siano «già» giunti a tale meta. Un'eventualità purtroppo impossibile in un contesto teoetotomistico, si conviene... ma quanto mai immediata in quello religioso. In una metafisica religiosa infatti è implicita la definizione di una meta ontologica della crescita individuale perfettamente confacente alle caratteristiche invocate per la figura di «Uomo» e di «Donna». Uno stadio in cui l'individuo giunge sì a porre in essere la propria auto-determinazione etica, ma, ancor più, raggiunge la sua integrità psichica, la sua unicità ontologica, la sua «solitudine», definendo in termini positivi una sua perfetta «Déità». Una meta fideistica non c'è che dire, dove ogni sforzo, scelta o gesto dell'individuo hanno come riferimento il destino futuro un suo essere trascendente incommensurabilmente gratificante per l'uomo: ovvero la percezione profonda della propria trascendenza, di essere «immagine e somiglianza di Dio». Un irrimediabile, congenito ed incorruttibile essere Déi, meta che pone all'uomo «ora», «senza condizioni», un accesso incorruttibile ed inalienabile all'infinito, all'immenso del sovrannaturale, che dona a ciascuno, tangibilmente, la preziosità della realtà divina che è in lui.
«Rispose loro Gesù: “Non è scritto nella vostra legge: – Io ho detto: siete déi -? Se ha detto déi coloro cui si è rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non si può abolire – a colui che il Padre ha santificato e ha mandato al mondo voi dite: – Tu bestemmi –, perché ha detto: – Io sono il Figlio di Dio”» (Gv 10, 34-38).
Ebbene questa meta, eminentemente fideistica, può rappresentare, nei limiti della sua cosciente accettazione, un termine ontologico, e principalmente psicologico, estremamente positivo che permette di «stabilizzare» di «armonizzare» in modo ineguagliabile la percezione ontologica di se stessi in una dimensione in cui l'individuo può cogliere una duplice valenza: una dimensione in cui egli si «fonde» con il «totalmente altro», con il «numinoso» che, nelle parole di Rudolf Otto «... non è... solamente qualcosa che solletica, adesca, stranamente rapisce, spesso crescendo in intensità fino all'ebbrezza e allo smarrimento: è l'elemento dionisiaco nell'efficacia del numen.»24
Una partecipazione dunque totale con l'alfa della realtà creata, con il «verbo», che chiude il cerchio della creazione e permette all'«Uomo»-«Déo», uno dei possibili enti teleologici, di porsi dinnanzi alla divinità – non ai suoi piedi, si noti bene! – riconoscendo in sé la stessa matrice della stessa, una analoga divinità e santità, senza perdersi. Nel contempo, l'ontologia e l'antropologia religiosa fanno sì che l'individuo non «anneghi», non «sparisca» nell'immenso di tale santità: la stessa sua libertà etica, il suo concreto essere reale, uno, definiscono la sua sfavillante individualità, un'unicità che tracima l'immanenza, il suo essere figlio, padre, madre, sposo, sposa, la sua finitude per essere espressione assoluta, intensa, perfetta di una matrice sovrannaturale, oltre i relativismi e le contingenti realtà della sua collocazione mondana.
Una valenza che spinge l'individuo ad essere «se stesso» continuamente «oltre»; oltre il contingente, l'orizzonte, il filo spinato del confine battuto dal vento, oltre l'esteriorità dozzinale, oltre il fondo degli occhi dell'altro, oltre l'alba ed il tramonto, oltre la notte, il dolore, la morte; continuamente vivo, vividamente conscio ed ebbro della sua integrità, della sua unitarietà, della sua perfetta individualità. Sontuoso come una sinfonia, struggente come un pianto, vivido come un baleno, lucido e limpido come rugiada, tirato come un assolo di Clapton!
Una valenza duplice che, pur irrorando di contenuti sì coinvolgenti l'esistenza dell'individuo, proprio in forza della propria trascendenza, così vividamente affermata, ne relativizza il senso locale delle sue scelte, il loro rilievo, smussandone in modo ineguagliabile la tragicità di ogni evento e limite mondano, il peso ontologico. Una prerogativa psicologicamente di enorme rilevanza pratica.
Questo «essere Déi», proprio dell'ideale religioso, intesse un «Fine Ultimo» disconosciuto da ogni altro modello filosofico teologico concepibile, e fa convergere l'individuo verso uno sviluppo della personalità profondamente distinto da quello caratteristico delle teoetotomie. Una meta aliena da colorazioni incestuose e nevrotiche, le quali, distogliendo all'uomo ed alla donna le mete di «Uomo» e di «Donna», vanificano il senso escatologico della creazione. Ed è questa la meta che proprio il complesso culturale delle teoetotomie inficia con le sue strutture, le sue istituzioni, la sua metafisica, conducendo all'alienazione dell'uomo, allo smarrimento della realizzazione mondana delle figure di «Uomo» e di «Donna». Ecco, per inciso, la morte di Gn 2, 17. Ed ecco la motivazione filosofica, la natura pratica della necessità di non «adulterare» la sessualità, di non «compiere adulterio», di non «desiderare» un altro essere umano. Ecco il «perché» non metafisico ma concreto, ontologico dell'insegnamento di Gesù di Mt 5, 27-28.
Gesù mostra le distorsioni che procedono da un «ethos» imperniato su atteggiamenti regressivi, la radice della sua opposizione all'adulterio: non un legame «mistico», «tragico» tra la definizione della sfera ontologica sovrannaturale futura dell'individuo e determinate sue manifestazioni sessuali, come la ortodossa dottrina sessuo repressiva ha voluto far intendere, ma l'esigenza di portare l'individuo a vivere nello splendore di quelle figure di «Uomini-Déi», di «Donne-Dée».
Tutto il contesto dei brani evangelici converge verso quest'esigenza.
E si vedrà ora, ancora una volta, come la stessa esigenza traspare anche da considerazioni che, pur procedenti da presupposti che nulla hanno a che fare con il presente approccio filo evangelico, conducono a risultati fortemente convergenti a quelli testé esposti: una convergenza che affascina, e che proprio in considerazione della trasversalità degli approcci da cui procede dona una percezione di oggettività fortissima all'analisi di queste tematiche.
Un notevole contributo è dato, ancora una volta, dalla valutazione essenzialmente psicoanalitica del significato delle regressioni, delle fissazioni incestuose dell'individuo che, nel quadro della percezione complessiva dei tratti facenti capo al contesto teoetotomistico – che per comodità potremmo indicare d'ora in poi col termine «complesso teoetotomistico» –, attribuisce contenuti fortemente negativi a tali espressioni.
Nel lavoro di Fromm: «Psicoanalisi dell'amore», si trova un'esauriente esposizione dei negativi aspetti evidenziabili, in tali fissazioni. C'è da premettere come Fromm presenti tali fissazioni quali manifestazioni incestuose che si distribuiscono in un continuum ad un estremo del quale troviamo dei legami «benigni» di profili pur incestuosi, e, dall'altro, sindromi «maligne» degli stessi. Fromm sembra dunque adottare una visione meno radicale di tali tematiche, che ancora vede, malgrado tutto, la base emotiva procedente dalle dinamiche edipiche come aspetto «consono» alla sana evoluzione psichica dell'individuo, in netto contrasto dunque con le presenti conclusioni.
Questa dovuta puntualizzazione permette un'ulteriore precisazione. Ci si rende conto della forza irrazionale, della valenza inconscia di tali espressioni psichiche dell'individuo. Ora, il fatto che l'ideale religioso prospetti vividamente all'individuo tali mete per il suo sviluppo psichico, fa sì che, d'incanto, ciascuno, dinnanzi a tale quadro filosofico, veda «scomparire» molte delle tensioni che lo porterebbero ad essere attratto da possibili regressioni incestuose. In qualsiasi contesto culturale ed affettivo i legami primari sono inevitabilmente affermati e, di conseguenza, l'individuo si troverà in ogni caso, beninteso con distinte modulazioni, dinnanzi all'eventualità di sperimentare tale profondo retaggio della sua infanzia, tali fissazioni affettive. Non si vuol qui minimamente disconoscere l'inevitabilità per ogni individuo di potersi trovare, prima o poi, dinnanzi alla tentazione-assillo di volersi rifugiare in tali regressioni incestuose; ma si vuol solo sottolineare la forza ammaliatrice delle mete religiose, la perentorietà dei loro contenuti, opposti all'attuazione di tali sbocchi incestuosi, la loro superiorità ed originalità, nel quadro delle diverse cosmologie possibili, nel focalizzare con risalto quest'opposizione, questa antitesi.
Fatta questa prudente considerazione passiamo a Fromm. Così scrive: «... c'è un altro aspetto del problema, come negli altri fenomeni..., cioè il grado di regressione all'interno del complesso incestuoso. Anche qui possiamo distinguere tra forme benigne di “fissazione materna”, forme che in effetti sono tanto benigne da potersi difficilmente dire patologiche, e forme maligne di fissazione incestuosa che io chiamo “simbiosi incestuosa”. A livello benigno troviamo una forma di fissazione materna che è alquanto frequente. Tali uomini hanno bisogno di una donna che il conforti, li ami, li ammiri: vogliono essere maternamente protetti, nutriti e curati...
Quando questa fissazione alla madre è di lieve intensità essa non intaccherà la potenza sessuale o affettiva dell'uomo, o la sua indipendenza e integrità.»25
All'altro estremo troveremmo dunque la «simbiosi incestuosa».
«Cosa si intende per «simbiosi»? Ci sono vari gradi di «simbiosi», ma hanno tutti in comune un elemento: la persona simbioticamente attaccata è parte e appendice della persona “ospite” alla quale è attaccata, senza la quale non può vivere, e se il rapporto è minacciato, si sente estremamente ansiosa e spaventata. ( In pazienti affetti da schizofrenia la separazione può condurre ad un improvviso attacco schizofrenico )... Per la persona dall'attaccamento simbiotico è assai difficile, se non impossibile, percepire una chiara demarcazione tra sé e la persona ospite.
Essa si sente di essere una cosa sola con l'altra, una parte di lei, fusa con lei. Quanto più spinta è la forma di simbiosi, tanto meno è possibile una chiara percezione dello stato di separazione delle due persone... La patologia della fissazione incestuosa dipende evidentemente dal livello di regressione... Tanto più profondo è il livello della regressione, tanto più intensi sono sia la dipendenza che il timore, i quali al livello più arcaico, hanno raggiunto un grado che si scontra con la vita sana.
Se io non riesco a recidere il cordone ombelicale, se insisto a venerare l'idolo della sicurezza e della protezione, allora l'idolo diventa sacro, non deve essere criticato… questa forma di menomazione di giudizio è molto meno evidente quando l'oggetto della fissazione non è la madre ma la famiglia, la nazione e la razza. Poiché queste fissazioni si suppone siano virtù, una forte fissazione nazionale e teoetotomistica* (nel testo originario il termine è «religiosa»: per i motivi che sappiamo si sostituisce tale termine con «teoetotomistica». Il (*) starà d'ora in poi ad indicare tale sostituzione n. d. a.) conduce facilmente a giudizi distorti e parziali che vengono presi per verità perché sono condivisi da tutti gli altri che partecipano alla stessa fissazione. Dopo la distorsione della ragione, il secondo tratto patologico importante nella fissazione incestuosa è la mancanza di esperienza nei confronti di un altro essere, inteso come pienamente umano.
Soltanto coloro che partecipano dello stesso sangue o dello stesso suolo vengono percepiti come esseri umani: lo “straniero” è un barbaro. Di conseguenza io rimango anche “straniero” a me stesso, poiché non posso sperimentare l'umanità al di là di quella forma difettosa nella quale viene sperimentata dal gruppo unito da sangue comune. La fissazione incestuosa danneggia e distrugge – a seconda del grado di regressione – la capacità di amare. Il terzo sintomo patologico di fissazione incestuosa è il conflitto con l'indipendenza e l'integrità. La persona legata alla madre e alla tribù non è libera di essere se stessa, di avere una convinzione personale, di essere impegnata; non può essere aperta al mondo, né può abbracciarlo; resta sempre nella prigione della fissazione razziale – nazionale – teoetotomistica* in senso materno. L'uomo nasce pienamente, è quindi libero di progredire e di divenire se stesso, solo nella misura in cui si libera da tutte le forme di fissazione incestuosa... Per riassumere: la tendenza a restare legati alla persona materna e ai suoi equivalenti – sangue, famiglia, tribù – è innata in tutti (gli) uomini e donne.
Essa è in costante conflitto con la tendenza opposta – nascere, progredire, crescere. Nel caso di sviluppo normale vince la tendenza a crescere. In caso di grave patologia, la tendenza regressiva all'unione simbiotica vince e sfocia nella maggiore o minore incapacità totale della persona.»26
In queste pagine dell'opera di Fromm si affaccia, accanto una valutazione psicoanalitica del senso di queste fissazioni, una valenza estremamente importante delle stesse: quella che pone delle basi esiziali alla comprensione del rilievo «sociale» di tali sintomi e, nel quadro del presente discorso, della valenza «anche» socio politica, «rivoluzionaria» della lieta novella evangelica religiosa. Valenza che non sostituisce si badi bene, il contenuto teologico ed escatologico della missione di Gesù ma che rappresenterà, più avanti, un ulteriore contributo alla valutazione dell'opposizione tra le religioni e le teoetotomie. Infatti, nel prosieguo della sua opera Fromm sottolinea un ulteriore aspetto delle simbiosi incestuose.
Continua...
Note:
1 Premm Bocklinger, Op. Cit., [1973], pag. 359-443.
2 Matteo, Ed Paoline, 1978, pag. 85 nota n° 28.
3 Benedict R., Op. Cit., [1970], pag. 106; David e Rosa Katz, Op.Cit., [1960]; Dario Zarda, Op. Cit., [1969], pag. 395.
4 Erich Fromm, Grandezza e limiti del pensiero di Freud, Arnoldo Mondadori Ed., Milano, 1979, pag. 44-59.
5 Hans Kung, Essere cristiani, Mondadori Ed., Milano, 1976, pag. 297-382; Sigmund Freud, Totem e tabù, Boringhieri, Torino, 1969.
6 Erich Fromm, Op. Cit., [1979], pag. 47-49.
7 Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1978, pag. 157, 224-250.
8 Ibidem, pag. 399.
9 Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Di Comunità Ed., 1982, pag. 133 e ss.; Sigmund Freud, Op. Cit., [1978], pag. 411 e ss.
10 Erich Fromm, Op. Cit., [1979], pag. 148 e ss.
11 Ibidem.
12 Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Di Comunità Ed., 1982, pag. 135-137.
13 Erich Fromm, Op. Cit., [1979], pag. 137-139.
14 Erich Fromm, Fuga dalla libertà,Di Comunità Ed., 1982, pag. 140-143.
15 Bronislaw Malinowski, Sesso e repressione sessuale fra i selvaggi, Univ. Scientifica Boringhieri, Torino, 1969. Marwin Harris, Op. Cit., [1990], pag. 308-309.
16 Tobie Nathan, Op. Cit., [1993]; George. Devereux, Op. Cit., [1978].
17 Erich Fromm, Op. Cit., [1979], pag. 144.
18 Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Di Comunità Ed., 1982, pag. 105.
19 Erich Fromm, Psicoanalisi della società contemporanea, Di Comunità Ed., 1980, pag. 39.
20 Ibidem, pag. 30-40.
21 Quest'accezione di un Es inteso non più quale ricettacolo disordinato ed di pulsioni irrazionali, di istanze incoerenti e negative, quanto deposito stratificato di schemi comportamentali più o meno antichi – sempre e comunque funzionali a determinate situazioni esistenziali, peraltro superate dai processi evolutivi – è un concetto fortemente in sintonia con le teorie evoluzionistiche sull'emersione della coscienza e del cervello umani a cui si è precedentemente fatto riferimento. Questa coerenza è un'evidenza importante nella formulazione teorica della possibilità di uno sviluppo «binario» dello psicoide.
22 Marwin Harris, Op. Cit., [1990], pag. 303; Bronislaw Malinowski, Op. Cit., [1969], pag. 82 e ss.
23 Robert A. Hinde, Le basi biologiche del comportamento sociale umano, Zanichelli, Bologna, 1977, pag. 92 e ss.
24 Dario Zarda, Op. Cit. [1969], pag. 107.
25 Erich Fromm, Psicoanalisi dell'amore, Newton Compton, Roma, 1971, pag. 132-133.
26 Ibidem, pag. 136-140.
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